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GIÙ LE MANI DALL'AFRICA

L'Africa visitata dal Papa si racconta. Ma occhio all'ideologia

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I discorsi e le omelie pronunciate da Papa Francesco durante il suo viaggio in Congo e Sudan del Sud sono stati raccolti nel libro Giù le mani dall’Africa. Un testo pieno di incontri, racconti e testimonianze strazianti. Ma rischia di essere presentato come l'ennesimo pamphlet anti-occidentale. 

Ecclesia 26_05_2023
Papa Francesco nel Sud Sudan

I  discorsi e le omelie pronunciate da Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Repubblica democratica del Congo e Sudan del Sud sono stati raccolti in un libro edito da Libreria Editrice Vaticana, intitolato Giù le mani dall’Africa. Il volume contiene anche le testimonianze di diverse vittime di violenza incontrate dal Papa nei due Paesi: in Congo, dove le regioni dell’Est ormai da decenni sono territori di scontro e razzia di decine di gruppi armati, e in Sudan del Sud, dove le due etnie più potenti, i Dinka e i Nuer, hanno aperto le ostilità nel 2013 scatenando una guerra.

Nella prefazione, attingendo ai discorsi e alle omelie e rievocando le parole, i gesti di conforto di Francesco per le tante persone sopravvissute a esperienze terribili, eppure ancora capaci di sperare nella giustizia e impegnarsi per costruire un futuro diverso, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie definisce l’incontro del Papa con le popolazioni dei due Paesi “un omaggio all’importanza primaria degli esseri umani comuni”. Una delle testimonianze più toccanti raccolte nel libro è quella di Emelda M’karhungulu, che in Congo, nel 2005, all’età di 16 anni è stata catturata insieme ad altri abitanti del suo villaggio dai combattenti di un gruppo armato, per tre mesi è stata la loro schiava sessuale, ha visto uccidere in modo atroce altri prigionieri, per non essere uccisa a sua volta ha dovuto più volte mangiarne la carne e tuttavia ha la forza di dire: “perdoniamo i nostri carnefici per tutto quello che hanno fatto e chiediamo al Signore la grazia di una convivenza pacifica, umana e fraterna”.

Ma tutte le persone che si sono presentate alle udienze del Papa tra il 31 gennaio e il 5 febbraio scorsi hanno mostrato, ciascuna a modo suo, di aver saputo perdonare, di non essere state sopraffatte dalla mostruosità della violenza estrema alla quale hanno assistito, e alla quale in parte hanno partecipato sebbene involontariamente. C’è chi – Kombi, un ragazzo di 16 anni – si è presentato all’incontro con un machete, simile a quello con cui a suo padre è stata tagliata la testa davanti ai suoi occhi e portata via in un cesto, e lo ha deposto davanti alla Croce ringraziando Francesco per la sua visita; e un ragazzino ha fatto altrettanto consegnando in segno di perdono e pace il coltello abbandonato dai miliziani, da lui raccolto e conservato, usato per uccidere tutta la sua famiglia. “È difficile comprendere una tale malvagità, questa brutalità quasi animale. Di notte non riesco a dormire” Kombi ha confidato al Papa. Gli uomini che hanno ucciso suo padre hanno portato via sua mamma e di lei non si sono più avute notizie.  

Il Papa ha infuso fiducia e speranza in questa umanità violata, mostrandosi – scrive Chimamanda Ngozi Adichie – capace di prestare attenzione  “alle minuzie della sofferenza delle persone, al peso e al valore delle emozioni, dei sentimenti”, di dare l’esempio “esortando gli altri a non perdere il senso di meraviglia davanti all’incontro umano”. 

Per questo si concorda con Alex Zanotelli quando dice che il libro è importante e auspica che circoli nelle parrocchie e nelle comunità cristiane “perché si incominci a capire il dramma di questo continente”. Se non che per il missionario comboniano, che ha presentato Giù le mani dall’Africa al Salone del Libro di Torino nei giorni scorsi, i drammi dell’Africa sono “le esperienze coloniali, neocoloniali, neoliberiste”, il “rifiuto dell’altro, soprattutto il volto nero”, i  Paesi come l’Italia in cerca di materie prime per cui “alla fine è semplicemente un succhiare il sangue senza lasciare nulla sul territorio” e “i governi africani prigionieri di questo sistema economico”.

Anche per i Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi, quel che conta è il messaggio di denuncia contenuto nel libro. “Papa Francesco è da sempre in prima linea contro le ingiustizie e l’avidità dell’Occidente interessato a depredare le ricchezze del continente africano” – così inizia la recensione pubblicata sulla loro rivista, Africa, il 23 maggio – questo libro evidenzia la sua vicinanza a due popoli feriti dalla guerra, impoveriti da potenze straniere predatorie, indeboliti dalla corruzione della classi politiche locali”. Sicuramente i Padri Bianchi concordano però con Zanotelli sul fatto che la corruzione delle classi politiche locali è a sua volta colpa delle “potenze straniere predatorie” e soprattutto del famigerato Occidente che pure, chissà come, è riuscito a generare loro che invece tanto si prodigano per il prossimo nel bisogno. “Risuona nel cuore di queste pagine – prosegue la recensione – il grido di Papa Francesco per il continente, al suo arrivo a Kinshasa (la capitale del Congo, n.d.A.), davanti alle autorità congolesi: giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”.

Ma proprio questo “grido” è stato il momento più critico, forse delicato del viaggio. Il Papa infatti è a quelle autorità, e a tutte le autorità politiche del continente, che doveva ordinare di smettere di soffocare, sfruttare, saccheggiare l’Africa come fanno ormai da quasi 70 anni: meglio ancora, non l’Africa, ma gli africani, perché è davvero deplorevole continuare a riferirsi ai 55 Stati africani e agli 1,4 miliardi di africani chiamandoli “Africa”. Mal consigliato, Papa Francesco forse davvero crede che tutto in Africa dipenda dalle ingiustizie e dall’avidità dell’Occidente e non si rende conto che, nel bene e nel male, l’Africa, ovvero i suoi abitanti, è già protagonista del proprio destino, come lo è sempre stata nel corso dei millenni, anche se due colonizzazioni, quella arabo-islamica durata secoli, e quella europea, lunga meno di 100 anni, hanno lasciato la loro impronta.

Prima di Francesco, Papa Benedetto XVI aveva capito che le cause prime e principali dei problemi africani sono il tribalismo e la corruzione e le aveva denunciate durante i suoi viaggi apostolici in Camerun, Angola e Benin.