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IL LATINO SERVE A TUTTO/XXIX

L’affetto per gli amici e per il fratello nei versi di Catullo

Il Liber catulliano non è riducibile soltanto all’amore per Lesbia, anche se certamente il sentimento nutrito per quella donna domina incontrastato, nelle sue differenti sfaccettature dell’illusione, dell’entusiasmo, della gelosia, della delusione e della rabbia per il tradimento.

Cultura 14_10_2018

Il Liber catulliano non è riducibile soltanto all’amore per Lesbia, anche se certamente il sentimento nutrito per quella donna domina incontrastato, nelle sue differenti sfaccettature dell’illusione, dell’entusiasmo, della gelosia, della delusione e della rabbia per il tradimento. 

Il pensiero per l’amata ritorna sempre, com’è tipico per gli innamorati, anche quando Catullo scrive o pensa agli amici. Richiamandosi alla moda alessandrina degli inviti a cena tramite i biglietti, Catullo invita l’amico Fabullo in modo particolarmente scherzoso: gli chiede di portare con sé, quando andrà a casa sua, 

una buona e abbondante
cena, non senza una bella ragazza
e vino e sale e tutta l’allegria.

Queste sono le condizioni perché i due amici possano cenare bene. Catullo, infatti, ha il portafoglio vuoto, così vuoto e inutilizzato che i ragni vi hanno intessuto dentro le ragnatele. Chiaramente Catullo ricambierà, per come gli è possibile, la generosità di Fabullo, facendogli dono di tutto il suo genuino affetto e un regalo alquanto raffinato: un profumo che gli è stato regalato dalla sua donna. La conclusione allegra e comica, che non lascia dubbi alla serenità del rapporto tra il poeta e Lesbia, desta il riso del lettore: il profumo è così buono che quando l’amico l’avrà annusato chiederà agli dei di farlo diventare «tutto naso». 

Il testo latino, appartenente alle nugae (numero XIII del Liber), è costruito sapientemente con l’espediente dell’aprosdòketon o fulmen in clausula, ovvero l’uso di una frase o di un termine inaspettato.  Ben tre fulmina in clausula sorprendono il lettore: «si tecum attuleris bonam atque magnam/ cenam» («se porterai con te una buona e abbondante cena»), «tui Catulli/ plenus sacculus est aranearum» («il portafoglio del tuo Catullo è pieno di ragnatele»), «deos rogabis,/ totum ut te faciant, Fabulle, nasum» («pregherai gli dei che ti facciano tutto naso»). 

Nel 58 a. C. Catullo viene raggiunto dalla triste notizia della morte del fratello maggiore, che curava gli interessi della famiglia nella Troade in Asia minore. Il poeta si reca a Verona dal padre, in possesso solo di alcuni libri. Invia al famoso oratore Ortensio Ortalo la traduzione di una celebre elegia di Callimaco e una sua elegia. Spedisce, poi, altre due elegie ad un amico che aveva favorito la sua notte d’amore con Lesbia. 

Nel componimento LXVIII, indirizzato ad Allio, confessa il suo dolore per la scomparsa del fratello: 

Oh fratello tolto a me infelice,
tu a me, tu con la tua morte spezzasti la mia felicità, fratello,
con te, con te, tutt’intera è sepolta la nostra famiglia;
tutte con te, con te, sono finite le nostre gioie, cui tu,
mentr’eri in vita, nutrivi e il tuo dolce amore:
e io, alla tua dipartita, da tutta l’anima discacciai
questi pensieri e ogni diletto dello spirito.

Nel carmen XXX Catullo rimprovera ad un amico il tradimento, l’ingratitudine, l’indifferenza che gli ha riservato dopo il tragico lutto, nonostante le promesse precedenti di un’eterna amicizia:

Alfeno, ingrato e infedele con gli amici d’un solo cuore,
proprio ora non hai pietà, crudele, del tuo povero amico?
Proprio ora abbandonarmi, proprio ora mancarmi non ti periti, mancator di fede?
Eppure le cattive azioni dei bugiardi non piacciono agli abitatori del cielo.
Ma tu non te ne dai pensiero, e me lasci, solo, infelice, nella sventura.

Catullo non trova consolazione nei rapporti di amicizia che ha instaurato in quegli anni. Nella primavera del 57 a. C. gli si offre l’occasione di partire per la Bitinia al seguito del propretore Gaio Memmio. Catullo può così badare agli interessi di famiglia e sistemare la tomba secondo l’uso e la tradizione romana. Nel contempo, il viaggio in provincia senza l’obbligo di svolgere compiti lavorativi onerosi gli permetterà di distrarsi, di conoscere città e civiltà antiche: un viaggio simile, quindi, a quello che molti compiono all’epoca in Grecia. Catullo sembra respirare una stagione diversa, almeno in alcuni giorni:

Già primavera, a sciogliere il gelo, riporta il bel tempo,
già le furie del cielo equinoziale
si tacciono alla care aure di zefiro.
Si lascino, Catullo, le pianure di Frigia
e la fertile campagna della bollente Nicea: 
alle chiare città d’Asia voliamo.
Già l’anima nell’attesa palpita,
brama andar in giro,
già, lieti, i piedi si sentono, dalla voglia.

Poi, di fronte alla tomba del fratello, il dolore di Catullo si esprime in tutta la sua acutezza e si profonde nel più bel carme dedicato a quel lutto, il celeberrimo carme CI, che in latino recita così:

Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
heu miser indigne frater  adempte mihi!
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.

Nella traduzione italiana: Di gente in gente, navigando per molti mari, Sono arrivato, fratello, a queste pietose inferie, per renderti il postremo ufficio della morte e parlare al muto cenere, invano: poiché la fortuna te mi portò via, tutto te, oh infelice fratello acerbamente tolto a me. Ora tuttavia intanto queste offerte che, secondo l’antico rito dei padri, sono state presentate, per triste ufficio, alle inferie ricevi, grondanti di fraterno pianto e per sempre, fratello, addio, addio.

Quando nel 1801 il fratello di Foscolo, di nome Giovanni, muore suicida, forse per debiti di gioco, Foscolo decide di dedicargli un componimento. Si chiede per prima cosa quali autori nel passato abbiano già cantato il dolore per la perdita di un fratello scomparso o della donna amata. Come può non ricordarsi del carme CI composto da Catullo per la morte del fratello più di milleottocento anni prima? 

L’arte è sempre contemporanea all’uomo, parla sempre al suo cuore quando è vera e autentica, perché sa toccare le corde più profonde e ridesta le domande che sono proprie di ciascuno di noi. L’arte ha sempre vissuto nel rapporto dialettico della contemporaneità con le opere del passato, in un rapporto, cioè, d’innovazione costante all’interno, però, della tradizione.