L'addio di Pisapia inguaia il Pd ma fa felici i milanesi
L’annuncio di Giuliano Pisapia di non ricandidarsi a sindaco di Milano scatena nella sinistra renziana la corsa a mettere le mani su Palazzo Marino. Ma anche il centrodestra vorrebbe riconquistarlo dopo averlo occupato per una ventina d’anni e perso nel 2011. In ogni caso, l'addio di Pisapia è un bene per Milano.
L’annuncio di Giuliano Pisapia di non ricandidarsi a sindaco di Milano ha già scatenato un’avvincente corsa alla successione. Manca ancora più di un anno alla scadenza del suo mandato, ma la sinistra renziana non vede l’ora di mettere le mani su Palazzo Marino e il centrodestra vorrebbe riconquistarlo dopo averlo occupato per una ventina d’anni e averlo perso nel 2011.
Il toto-candidature impazza. Si contano almeno una ventina di nomi papabili, da quelli di stretta osservanza partitica (Salvini, Fiano, Lupi, Quartapelle, Gallera), a quelli espressione della cosiddetta società civile (Sala, Passera, Micheli, Ambrosoli, Guerra, Profumo, Sallusti). Ma il nodo da sciogliere riguarda in primo luogo l’idea di città e di sviluppo della città. Il mito di una sinistra utopica e radical-chic, della quale Pisapia è un’espressione matura e presentabile, ha coltivato per cinque anni un modello di metropoli all’insegna del buonismo, dell’accoglienza di tutti, dei servizi gratuiti per tutti, dello stop a qualsiasi progetto di sviluppo che potesse deturpare l’ambiente. La giunta in carica ha pensato più alle piste ciclabili e alle moschee che non allo sviluppo urbanistico e alla crescita economica, ha frenato i progetti già varati dalle giunte precedenti senza elaborarne degli altri. Se si eccettua l’area C, l’attuale amministrazione rischia di essere ricordata come l’emblema dell’immobilismo sbiadito e incolore.
La Moratti, quattro anni fa, non fu rieletta perché non riuscì a creare empatia con l’opinione pubblica e perché i milanesi, votando contro di lei, vollero lanciare in realtà un monito a Berlusconi e al centrodestra, che stavano governando il Paese. Il mito “arancione” attecchì con relativa facilità perché ampi settori dell’elettorato morattiano, espressione della borghesia e dei ceti medi produttivi, non si sentivano più rappresentati dal berlusconismo e preferirono andare al mare anziché recarsi alle urne. I frutti di quattro anni di governo Pisapia sono sotto gli occhi di tutti: una città agonizzante, dove forse si è ridotto il malaffare, ma semplicemente perché non è stato fatto nulla, si è preferito frenare ogni iniziativa di sviluppo con l’incubo delle infiltrazioni mafiose, ma così facendo si è sensibilmente impoverito il tessuto produttivo e imprenditoriale e si è spinta la “polpa” dell’industria a emigrare, a delocalizzare, a puntare su altre piazze.
Mentre l’attuale giunta conduceva battaglie ideologiche istituendo il registro per le coppie di fatto o legalizzava i matrimoni omosessuali celebrati all’estero, il mondo delle professioni e dell’imprenditoria sperimentava l’assoluta sterilità dell’azione amministrativa e l’incapacità di chi governa Milano di costruire opportunità e condizioni favorevoli per le intelligenze vive e per le forze creative della città.
Anche il popolo arancione si è sgretolato, perché nel frattempo il Partito democratico a guida renziana ha ripreso a sintonizzarsi con le forze vive della società e non ha mai amato l’attuale sindaco. Restano scolpite nella memoria le scene imbarazzanti di quattro anni fa, con il governatore della Puglia Vendola in piazza Duomo per festeggiare l’elezione a sindaco dell’avvocato gentile che aveva sottratto al centrodestra la guida di Milano. Oggi quel clima di forte contrapposizione non c’è più e i renziani non guardano all’estrema sinistra, ma al centro moderato per costruire una coalizione che sottragga voti al centrodestra e che renda subalterno nella coalizione tutto il mondo che aveva puntato su Pisapia.
L’offerta che i dem hanno fatto all’attuale inquilino di Palazzo Marino di guidare il Comitato per le primarie era l’ennesima polpetta avvelenata per lui: accettare un ruolo di garante, senza quindi poter in alcun modo esprimere un suo delfino o dare un’indicazione di voto per le primarie, che probabilmente si terranno nel mese di novembre. E invece Pisapia venderà cara la pelle: se nel frattempo non otterrà ciò che spera (la nomina alla Corte Costituzionale), resterà fino all’ultimo giorno in sella e pretenderà di indirizzare la scelta del suo successore. Il suo annuncio ufficiale, alla vigilia di Expo 2015, appare proprio come uno schiaffo ai renziani, che ora hanno una gatta da pelare in più e devono gestire i delicati equilibri all’interno del Pd lombardo e nei rapporti con Sel e con il mondo dell’associazionismo che tanto ha collaborato con l’attuale sindaco. E la sintesi tra le diverse anime non sarà affatto semplice.
La successione a Pisapia potrebbe dunque scatenare nei prossimi mesi uno scontro fratricida nel centrosinistra, mentre offre concretamente al centrodestra la possibilità di riconquistare Palazzo Marino con un candidato moderato che riproduca il “modello Pirellone” (alleanza tra Forza Italia, centristi e leghisti), Salvini permettendo, e che ricordi all’elettorato una verità inoppugnabile: i grandi progetti che hanno reso ancora più vitale la città di Milano e assai vincente la sua immagine all’estero portano la firma delle giunte guidate da Albertini prima e dalla Moratti poi. Da Expo 2015 ai grattacieli di Porta Nuova, dalla Scala rifatta a tempo di record al Teatro Arcimboldi, dal rilancio della Triennale a City Life. Tutte testimonianze di una capacità programmatoria e realizzativa che l’attuale giunta non ha dimostrato, al di là dell’attenuante della crisi economica.
Ma in 14 mesi possono accadere tante cose e non ha senso azzardare previsioni sul futuro di Milano. Pisapia non verrà ricordato come un sindaco decisionista, ma come un galleggiatore in un mare di problemi che negli ultimi quattro anni si sono aggravati e che un sindaco ormai “dimezzato” (dopo la rinuncia ufficiale a ricandidarsi) potrà soltanto lasciare irrisolti al suo erede. Chi arriverà dopo di lui dovrà invertire la rotta e restituire speranze, slancio e prospettiva a una città che sembra ripiegata su se stessa. Una sfida impegnativa, ma non impossibile.