L'aborto, l'olocausto e la guerra civile in atto
Vorrei fare qualche riflessione a seguito del caso di don Bruno De Cristofraro di cui la Nuova Bussola si è già occupata, il sacerdote di Mazara del Vallo che, in un suo video, ha equiparato l’olocausto all’aborto di Stato. Come Mengele tracciava una linea orizzontale sul muro e chi stava sotto veniva ucciso, così le leggi che permettono l’aborto fissano un momento della gestazione e chi non ci è ancora arrivato può venire ucciso.
La riflessione che farò riprende il concetto di “guerra civile europea”, ampiamente teorizzato da Carl Schmitt dal punto di vista del diritto e della politica e sviluppato da Ernest Nolte dal punto di vista dello storico. L’olocausto fu un esempio estremo di guerra civile europea, ma anche gli stermini attuati dal Bolscevismo russo ne furono validi esempi. Il concetto può anche essere esteso ulteriormente: la prima e la seconda guerra mondiale furono in qualche modo guerre civili europee interne ad ogni Stato. Risalendo indietro nella storia, la prima guerra civile europea fu quella del Terrore rivoluzionario in Francia e, prima ancora, fu quella innescata dalla riforma luterana. In un certo senso anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, la guerra civile continuò ad esistere in Europa nella forma della guerra fredda.
Schmitt e Nolte sostengono, seppure da punti di vista diversi, che la guerra civile in questa nuova forma – e non più in quella dei patrizi e dei plebei o delle rivolte dei Ciompi – nasce con la nascita dello Stato ideologico, come quello di Robespierre, di Lenin o di Hitler. Potrebbe sembrare che le democrazie nate dopo la sconfitta di Bolscevismo e Nazismo fossero quindi indenni dalla guerra civile, dato che non avrebbero carattere ideologico. Ma è veramente così? A sfatare questa dottrina entra in gioco l’aborto di Stato.
I due studiosi ci dicono molte cose interessanti sulla guerra civile. Prima di tutto ci insegnano che non è necessario che essa si volga in modo dichiarato e con masse armate nei due fronti come avvenne nelle guerre civili americana del 1861-1865 e spagnola del 1936-1939.
Secondariamente ci insegnano che caratteristica dello Stato ideologico è adoperare il criterio della “attribuzione collettiva di colpa” su cui si fonda la guerra civile. Attribuzione collettiva significa che basta tu appartenga ad una certa categoria e sei colpevole solo per il fatto di appartenervi. Ciò accadde per gli ebrei in Germania, per i borghesi e i socialdemocratici in Russia, per i controrivoluzionari, i monarchici e gli “accaparratori” nella Parigi nel 1793.
In terzo luogo i due studiosi ci insegnano che non è legittimo fare delle differenze tra le stragi compiute dagli Stati ideologici nelle guerre civili basandosi sui metodi adoperati o sul numero delle vittime: di stragi inammissibili sempre si tratta.
Torniamo allora alla domanda vista sopra: anche le democrazie occidentali sono “Stati ideologici”? Anch’esse applicano il criterio della attribuzione collettiva di colpa per compiere stragi? A questa domanda occorre rispondere di sì, lo fanno permettendo la strage dell’aborto. Nel caso dell’aborto, infatti, lo Stato si dimostra ideologico, come quello che per le proprie verità mandava sulla ghigliottina i francesi, o come quello che mandava nelle camere a gas gli ebrei o i kulaki nei gulag o li faceva morire di fame come nella carestia obbligata dal regime staliniano nel 1931.
Nel caso dell’aborto lo Stato applica il principio dell’attribuzione di colpa: è evidente che il bambino è innocente ma gli viene attribuita un colpa non per qualcosa che egli ha fatto ma solo per appartenere ad una certa categoria. Infine non dimentichiamo gli altri due criteri segnalati dai nostri due autori: la guerra civile non deve essere per forza combattuta come una guerra, la si può fare col consenso della legge in ospedale, e il modo con cui si fa non legittima alcuna distinzione, sempre di strage si tratta.
Se quanto abbiamo appena osservato è vero, allora si deve dire che anche oggi c’è in Europa un guerra civile e che ancora oggi gli Stati ideologici compiono le loro stragi. Ne consegue anche che l’equivalenza fatta da don de Cristofaro è vera, legittima e sostenibile sia in fase teoretica che storica.
Con ciò, però, il discorso non è ancora chiuso. Leggete il problema che Schmitt pone in questa frase tratta dalla sua opera “Ex captivitate salus”: “In qual misura, in generale, sia possibile a un dittatore politico prendere in mano la produttività spirituale di un intero popolo fino a far sì che non sopravviva alcun libero pensiero, né più sussista alcuna riserva nei suoi confronti”. L’aborto di Stato dimostra che anche le democrazie occidentali e non solo gli Stati totalitari possono riuscire in questo intento. È questo, a mio parere, il messaggio più importante della vicenda De Cristofaro.