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SCANDALO FRA CATTOLICI

L'aborto fruttariano e i lupi vestiti d'agnelli

Praticare un aborto è come svuotare un frutto della sua polpa: prendi una papaya, infilaci l’aspiratore e il gioco è fatto. Questo quanto è stato insegnato anche negli atenei come la Catholic Loyola University di Chicago e che rischia di dilagare fra le università dei Gesuiti se non fosse per l'"alt" di alcuni studenti.

Vita e bioetica 05_02_2020

Praticare un aborto è come svuotare un frutto della sua polpa. Tutto qui. Per dimostrare che è un giochetto da ragazzi e che non c’è nulla di drammatico a Philadelphia, in occasione di una convention di progressisti svoltasi nel luglio scorso, un’attivista pro-choice prese un aspiratore e lo infilò all’interno di un cocomero davanti ad un pubblico ridanciano, né più né meno di quello che accade nelle fiere di paese dove il venditore di pentole mostra al pubblico come si lava facilmente una padella con il fondo antiaderente di ultima generazione. Acceso l’aspiratore la polpa viene risucchiata fuori.

L’aborto fruttariano trovò una sua applicazione anche nelle aule della Catholic Loyola University di Chicago dove nel 2016 andò in scena il "Papaya Workshop" (sic). La procedura fu la medesima: prendi un frutto, questa volta una papaya, ci infili l’aspiratore, lo accendi e il gioco è fatto. La donna così diventa una papaya e il bambino la polpa.

Forse perché le università gestite dai gesuiti sono terreno fertile per queste iniziative tra l’agricolo e il macabro, ecco che il club studentesco H*yas for Choice aveva prenotato una stanza presso la Georgetown University, ateneo retto dai gesuiti, per replicare il Papaya Workshop. Tanto per capire chi sono i ragazzi di H*yas for Choice ecco il loro biglietto da visita: si tratta di una «organizzazione presente alla Georgetown University per la giustizia riproduttiva, pro-choice e sesso-positiva. Siamo un'organizzazione antirazzista e filo queer che lavora per fornire servizi per la salute sessuale e riproduttiva [leggi aborto e contraccezione] e per migliorare l'accesso a questi servizi a favore delle persone di ogni sesso presso gli spazi del campus di Georgetown». H*yas for Choice si vanta di essere «l'unica fonte di informazioni complete sulla salute sessuale, la gravidanza e i servizi abortivi». Infatti, tra le altre attività, distribuisce all’interno dell’ateneo “cattolico” contraccettivi e pillole potenzialmente abortive.

Torniamo all’esperimento sulla papaya, voluto, come si legge sul magazine on line Vice.com, per «demitizzare e de-stigmatizzare l’aborto». Quindi  l’aborto è diventato un mito, ossia una favola priva di fondamento reale ed occorre togliere da esso un inappropriato stigma sociale, quasi che uccidere un bambino fosse come bere una tazza di tè, anzi, come addentare un frutto succoso, tanto per rimanere in tema.

Dunque il workshop a base di papaya, in cui le donne sarebbero state invitate a provare le performance miracolose dell’aspiratore, doveva tenersi il 22 gennaio scorso, ma grazie all’intervento di alcuni studenti, che appartengono all’associazione cattolica Tradizione Famiglia e Proprietà (TFP) e che hanno lanciato una petizione la quale ha raccolto 19mila firme, l’evento è saltato. Un portavoce dell’università ha spiegato che tale iniziativa non è in linea con l’identità cattolica dell’ateneo. Manco de La Palice sarebbe arrivato a tanto. Sarebbe stato come permettere ad un club studentesco filo nazista, attivo in un ateneo ebraico, di mostrare quali esperimenti praticavano i nazisti sugli ebrei usando della frutta. E, si badi bene, non per stigmatizzare tali atroci esperimenti, ma per de-stigmatizzarli. I giovani della TFP sono stati costretti a spiegare l’evidenza e, al giornale studentesco The College Fix, hanno dichiarato che «questo workshop è un attacco diretto contro il Quinto comandamento della Legge di Dio e non può trovare spazio in un campus cattolico».

Di contro gli studenti che avevano organizzato la simulazione abortiva-fruttariana hanno così replicato: «Consideriamo questa decisione come una violazione della Free Speech Policy della Georgetown e […] come un'azione deliberata per impedirci di fornire informazioni sulla salute riproduttiva al corpo studentesco». Ma non ogni idea è degna di essere diffusa: la libertà di parola è predicabile solo se è connessa con l’autentico bene dell’uomo. Quindi la libertà di espressione non ha valore assoluto, ma è relativa, vincolata al vero e al bene. Faremmo parlare in pubblico una persona che è favorevole alla pedofilia o alla violenza sulle donne?

In tutta questa storia che mostra plasticamente cosa sia il frutto del peccato, c’è un’altra nota stonata, forse la più preoccupante. John Ritchie, uno dei responsabili dei giovani della TFP, ha dichiarato che se «l'iniziativa studentesca della TFP non avesse fatto suonare il campanello d'allarme, penso che si sarebbe svolto il vergognoso workshop sull’aborto». E infatti l’aula era già stata assegnata, assegnata, tra l’altro, a un gruppo - come già ricordato - che distribuisce contraccettivi e pillole con possibili effetti abortivi come fossero volantini. Dunque se nessuno avesse battuto i pugni sul tavolo e la cosa non avesse attirato l’attenzione dei media, l’università, sedicente cattolica, di Georgetown avrebbe fatto finta di nulla. Perché è erroneamente favorevole al pluralismo culturale? Perché “anche se non condivido la tua idea, darei la vita per permetterti di esprimerla”? No, oggi c’è di più che la stupidità del pensiero libertario. Crediamo che ormai molti che si fregiano dell’appellativo di cattolico siano a favore di pratiche contrarie alla dottrina cattolica. Molti lupi si sono travestiti da agnello.