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IN VIAGGIO CON ENEA/23

L’abbraccio di Enea e Anchise e la sua fortuna letteraria

La scena dell'abbraccio tra Enea e il Padre Anchise è una delle più struggenti e più imitate in tutta la letteratura mondiale. 

Cultura 07_03_2022

Enea è a un bivio. Sulla sinistra vi è il Tartaro ove sono condannati quanti hanno operato contro la patria e contro i valori romani (fides e pietas su tutti) e quanti si sono resi colpevoli di gravi delitti (parricidio, uxoricidio, …).

Sulla destra, invece, si trovano i Campi Elisi. Virgilio costruisce un mondo ricco di suggestioni orfiche, pitagoriche e platoniche. I Campi Elisi «conoscono un loro sole e stelle loro». Ivi, in mezzo a prati e boschi bagnati «dal corso copioso dell’Erìdano», senza fissa dimora, le anime dei beati continuano a esercitarsi nelle attività che svolgevano in vita, la ginnastica, la cura delle armi, la danza, il canto. Meritano questo destino
il manipolo di quanti han patito ferite combattendo
per la patria, e sacerdoti puri per quanto han vissuto,
e poeti sacri che hanno cantato cose degne di Febo,
e chi ha reso più bella la vita scoprendo saperi, o comunque
si è meritato di lasciare negli altri memoria di sé.

Mescolando fonti filosofiche differenti, Virgilio descrive qui anime di grandi personaggi che ritorneranno in vita reincarnandosi in futuri eroi della storia romana. Quest’indulgenza alla dottrina della reincarnazione di sapore orfico e pitagorico più che adombrare una reale convinzione del poeta o rappresentare il sentire comune del popolo romano è un escamotage poetico per poter anticipare con una felice prolessi tutta la storia gloriosa di Roma fino all’età di Augusto. Nei pressi del fiume Lete si trovano innumerevoli anime che bevono dell’acqua per dimenticare tutto il passato e per reincarnarsi in altri corpi.

Nei Campi Elisi Enea incontra il padre Anchise, da poco defunto. «Non appena vede venirgli incontro sul prato/ Enea», Anchise «trepidante gli tende le mani, le guance/ irrorate di lacrime, e la voce gli erompe di bocca: – Così, sei arrivato? La pietà su cui tanto contava tuo padre/ ha vinto il duro cammino? Posso guardarti in faccia,/ figlio, ascoltar la tua voce e risponderle familiarmente?». La pietas di Enea, il valore fondamentale per i Romani, ovvero la devozione e l’ossequio del cittadino per quanto gli è superiore (i genitori, i comandanti, la patria, gli dei), ha trionfato e gli ha permesso di superare difficoltà e fatiche. Finalmente padre e figlio si possono riabbracciare.

La scena che segue è una delle più struggenti e più imitate in tutta la letteratura mondiale. Enea risponde al padre: «Sei tu, padre, è la tua immagine triste,/ che tante volte m’è apparsa, a spingermi fino quaggiù». Poi, «tre volte tentò di stringergli al collo le braccia,/ tre volte all’inutile stretta l’ombra svanì fra le mani, uguale alle brezze leggere».

Nella storia letteraria, già prima di Virgilio, l’abbraccio aveva ricoperto un ruolo fondamentale nell’incontro con le persone care nell’al di qua e nell’aldilà. Nel libro XI dell’Odissea l’eroe Ulisse rievoca i defunti con un rito propiziatorio. Il sangue delle bestie sacrificali viene fatto scorrere su una fossa, ove si affollano le anime di
giovani donne e ragazzi e vecchi che molto soffrirono,          
fanciulle tenere, dal cuore nuovo al dolore;
e molti, squarciati dall’aste punta di bronzo,
guerrieri uccisi in battaglia, con l’armi sporche di sangue.

Il lugubre spettacolo presenta all’eroe omerico una moltitudine di anime esangui, che recuperano per poco vitalità e parlano solo dopo aver bevuto del sangue nero sacrificato. Non c’è distinzione tra anime beate e dannate, tra quanti operarono o morirono per la patria e chi commise azioni delittuose. I morti sono tutti nell’Erebo come ombre impalpabili, vacuo riflesso di ciò che furono in vita, senza più speranza di vivere. Una cupa tristezza e una profonda nostalgia dominano i defunti.

Alla madre di Ulisse, Anticlea, è lasciata la descrizione più plastica di cosa siano la morte e la condizione delle anime:
Questa è la sorte degli uomini, quando uno muore:
i nervi non reggono più l’ossa e la carne,
ma la forza gagliarda del fuoco fiammante
li annienta, dopo che l’ossa bianche ha lasciato la vita;
e l’anima, come un sogno fuggendone, vaga volando.

Alla vista della madre Ulisse cerca di abbracciarla, per tre volte. Così racconta:
E mi slanciai tre volte, il cuore mi obbligava ad abbracciarla:
tre volte dalle mie mani, all’ombra simile o al sogno,
volò via. […]

L’abbraccio di Enea col padre Anchise viene ripreso molteplici volte nella letteratura successiva. Anche Dante si avvale dei versi virgiliani per enfatizzare l’incontro con amici, dopo tanto tempo.

Nel canto II del Purgatorio ad un certo punto dal numero delle anime se ne stacca una che cerca di abbracciare Dante con così tanto affetto che anche il Fiorentino cerca di fare altrettanto:
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.

Per Dante l’incontro con l’amico Casella ha la stessa forza e lo stesso valore affettivo di quello di un figlio che incontra di nuovo il padre appena morto.

Nel canto XII Gerusalemme liberata (1581), celebre poema di Torquato Tasso (1544-1595), si descrive il combattimento tra Tancredi (cristiano) e l’amata Clorinda (musulmana). Il paladino, ignaro dell’identità dell’avversario, sta combattendo contro l’eroina musulmana. È notte fonda. Dopo alcune ore accade che
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robusta braccia, ed altrettante
da que’ nodi tenaci ella si scinge.       
                             

Una volta ancora troviamo la memoria dell’incontro tra Enea e il padre Anchise. Ci troviamo proprio nel momento fondamentale del poema di Tasso, laddove l’incontro notturno tra i due combattenti di fazioni opposte si potrebbe tramutare in un appuntamento amoroso, mentre si concluderà con la morte di Clorinda, uccisa proprio da quel Tancredi che la ama e che scoprirà l’identità della donna solo quando le toglierà l’elmo per battezzarla. L’abbraccio non è qui nell’oltretomba, ma prelude alla fine, quindi al passaggio dell’anima di Clorinda nell’aldilà.