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INTERVISTA: YORAM HAZONY

La virtù del nazionalismo. Perché l'impero è peggio

Yoram Hazony, filosofo e biblista israeliano, con La virtù del nazionalismo, va controcorrente affermando: “attenti a demonizzare il nazionalismo, perché l’alternativa è l’imperialismo e non è detto che sia meglio”. Hazony è diventato un caso. Lo abbiamo incontrato per parlare della tensione fra nazione e impero e sulle radici bibliche dei confini.

Cultura 12_12_2019
Yoram Hazony

I progressisti monopolizzano sempre di più gli organi che formano l’opinione pubblica, dalle accademie ai media. Però, talvolta, arriva un conservatore che cambia il paradigma e costringe gli altri a dibattere seguendo le sue regole. Negli anni ’90 era toccato a Samuel Huntington che, nel pieno dell’ottimismo seguito alla fine della Guerra Fredda, aveva detto: “attenti, perché, finita la guerra, inizia lo scontro di civiltà”. Sei anni dopo l’uscita del suo libro (e otto anni dopo il suo primo articolo su Lo scontro delle civiltà) ci fu l’11 settembre e tutti improvvisamente lo scoprirono. Adesso, nel pieno del furore generale contro i nuovi nazionalismi, arriva un autore dichiaratamente conservatore, Yoram Hazony, filosofo e biblista israeliano, che, con La virtù del nazionalismo (Guerini e Associati, Milano 2019) va controcorrente affermando: “attenti a demonizzare il nazionalismo, perché l’alternativa è l’imperialismo e non è detto che sia meglio”.

Hazony è diventato un caso, prima negli Stati Uniti e adesso anche nel nostro piccolo Paese. Non a caso, la radio, che ha subito approfittato della presenza dell’autore israeliano in Italia per intervistarlo, è stata Radio Padania, comprensibilmente interessata a far passare concetti che sono normalmente ostracizzati o additati come peggior pericolo all’ordine democratico. Il primo pregio di questo studioso è quello di chiamare le cose col loro nome. Inutile inventare neologismi come “sovranismo” o “globalismo” che richiedono lunghe spiegazioni: essi sono solo la riedizione dell’antichissima tensione fra il nazionalismo e l’imperialismo. Nelle due categorie, Hazony si astiene dal giudizio morale e schematizza fino all'osso. Dunque manca una distinzione fra il patriottismo (il lato buono, identitario e difensivo dell'orgoglio nazionale) e il nazionalismo, che in italiano ha assunto il significato dispregiativo di ideologia suprematista ed espansionista della nazione. Manca anche la distinzione fra gli imperi che hanno lasciato una civiltà intera in eredità e quelli che hanno portato solo alla soppressione o distruzione dei popoli sottomessi. All'autore interessa, più che altro, la contrapposizione fra i due modelli astratti e opposti di "nazione" e "impero". Uno scontro che il biblista Hazony fa risalire alla resistenza dell’antico Regno di Israele agli imperi che lo avrebbero voluto assoggettare (Assiri, Egiziani, Romani). “La libertà è possibile solo grazie ai confini – ci spiega Hazony, citando ad esempio niente meno che tre dei dieci comandamenti: il Settimo (non rubare), il Sesto (non commettere adulterio) e il Quinto (non uccidere): “Sono tutti confini che proteggono la nostra libertà. La nostra proprietà viene protetta da chi la vorrebbe rubare e così noi siamo liberi di goderne e di disporne. La nostra famiglia è protetta e distinta dalle altre famiglie. La nostra vita è protetta da chi la vorrebbe distruggere”. Confini che vengono tracciati per difendere prima l’individuo, poi la famiglia, il clan e infine la nazione. Di qui una teoria generale di questa contrapposizione cha attraversa tutte le ere storiche. Perché, dall’altra parte della storia: “L’Impero si regge su una filosofia opposta alla Bibbia, sull’idea che la pace si possa raggiungere solo abolendo tutti i confini”.

Secondo Hazony, noi viviamo in un’era di imperialismi, proprio perché “Le ultime quattro generazioni hanno cercato di preservare la pace abolendo tutti i confini”. Di imperi si tratta, perché il potere politico non è equamente distribuito. Viviamo in un periodo di Pax Americana, con Washington al centro, e di Pax Europea: l’Ue è a tutti gli effetti un nuovo impero in formazione. “Ove un dirigente ha in mente di essere il più intelligente di tutti e pensa di amministrare un Paese meglio dei suoi stessi rappresentanti locali, lì c’è una mentalità imperiale”. Ovviamente l’ingerenza è giustificabile in casi estremi: “Se ci troviamo di fronte a genocidi come quello del Rwanda o della Cambogia, è nostro dovere di uomini intervenire, anche con la forza, per impedire che si compia il crimine”, ma nell’ordinaria amministrazione, “sarà il ministro delle Finanze eletto dagli italiani a conoscere meglio di altri quelli che sono i problemi e i punti di forza degli italiani. E anche se sbaglia, siano gli italiani a eleggerne uno nuovo, imparando dagli errori del passato. La domanda fondamentale è: a che livello vanno prese le decisioni? A livello sovranazionale (impero) o nazionale (nazione)?”

Sollecitato da una domanda sulla gestione dell’Amazzonia e del riscaldamento globale, Hazony constata che c’è attualmente un’unica voce che vorrebbe centralizzare la gestione a livello mondiale ed esorta: “Non rinunciate alla vostra libertà nel nome di un’utopia”. L’autore israeliano, cresciuto in un Paese in guerra da generazioni, ritiene che la dimensione nazionale non sia la panacea di tutti i mali. Ma non lo è neppure l’impero. Le due guerre mondiali (che la vulgata attribuisce ai nazionalismi) furono, di fatto, guerre combattute fra imperi. Nella Seconda, addirittura, da imperi che aspiravano al dominio mondiale. L’impero, insomma, non garantisce la pace. L’ordine costituito da nazioni indipendenti, per lo meno, ha assicurato una costruttiva competizione. “Dalla competizione possono scaturire conflitti, ma è emersa anche l’innovazione, nella cultura, nella tecnologia, nella scienza”.

Hazony esalta, nella storia europea, il periodo della nascita degli Stati moderni, (preludio degli Stati nazionali contemporanei), che coincide con la fine del Medioevo e l’inizio dell’Era Moderna. Tuttavia, va detto a dispetto della tesi dell’autore, che il pluralismo politico era ben presente anche nel Medioevo, con il suo proliferare di feudi, signorie, comuni, repubbliche, confederazioni e leghe, tutte in competizione fra loro. “Sì certo – ci risponde l’autore – e perché secondo lei? Prima di tutto perché il mondo europeo aveva l’Antico Testamento. Contrariamente al mondo islamico (dove l’impero sopprimeva ogni forma di autonomia) o a quello cinese (l’impero è sempre stato centralizzato), in Europa, nel corso di tutto il Medioevo, c’erano sempre francesi, polacchi, ungheresi, inglesi. Tutti leggevano l’Antico Testamento e realizzavano di essere una nazione, ben prima della nascita ufficiale degli Stati unitari. L’Imperatore e il Papa avevano un sogno unificatore, ma la realtà fu sempre pluralista”.

Papa e Imperatore, però, furono spesso l’uno contro l’altro. Il Papa svolse un ruolo di contenimento del potere sovrano. “In un certo senso sì. Ma erano convinti entrambi che fosse meglio un unico ordine imperiale. Erano in disaccordo su chi avrebbe dovuto prendere le decisioni”. Anche questa è però una semplificazione che non tiene conto della differenza fra universalità e impero. La Chiesa è sempre stata universalista, ma nei secoli non si è mai fatta impero. Piuttosto è coesistita con un pluralismo politico estremamente variegato. Tutti condividevano la stessa fede e fedeltà ad una sola Chiesa, ciascuno in casa propria. Da cattolici, inoltre, abbiamo sempre visto l’inizio dell’Era Moderna come la catastrofe europea: non solo fu la fine dell’unità dei cristiani occidentali, ma anche l’inizio della concentrazione del potere nelle mani dei sovrani assolutisti. “Fu comunque un miglioramento avere tanti poteri sovrani, alcuni buoni, altri cattivi, invece che avere un unico centro di potere, che talvolta è buono e talvolta è cattivo - risponde Hazony alla nostra obiezione - L’essere umano è spesso malvagio e possiamo cercare di curare il male solo moltiplicando i centri di potere. Con tanti governi indipendenti, alcuni migliori altri peggiori, c’è più speranza che l’umanità migliori. Se vivi sottomesso a un cattivo sovrano, hai sempre la speranza di fuggire in un Paese migliore. E forse la competizione può convincere il tuo sovrano a imitare un Paese migliore”.

In questo periodo storico, sono soprattutto nazioni cattoliche, come la Polonia, che si oppongono ai tratti più centralisti (possiamo dire, con Hazony, “imperialisti”) dell’Ue. “Ci sono sempre state nazioni cattoliche che non si sono mai volute sottomettere a imperi. La Polonia, l’Ungheria, la Francia, hanno sempre difeso la loro indipendenza politica”. Lei considera l’Ue come un impero o come una federazione? “Quando noi parliamo di una vera ‘federazione’ solitamente intendiamo un assetto federale interno a una nazione, come la Germania federale, l’Australia o gli Stati Uniti. Condividono la storia, il linguaggio, forti tradizioni e ciò permette al governo centrale di compiere le scelte finali sulle materie più importanti e comuni. Ma in Europa non abbiamo una nazione, ne abbiamo almeno 28 e questo non è federalismo. La Germania, ad esempio, potrebbe prendere decisioni in nome di altre 27 nazioni? Questa non è una federazione, si chiama Impero”.