La violenza del mito, la ragione cristiana: la lezione di Girard
Sulla morte di René Girard, avvenuta mercoledì scorso 4 novembre, non bisogna sorvolare. É la morte di un grande. Ed è la morte di un apologeta del cristianesimo. Se per apologia si intende il “dare ragione” della fede, che significa mostrarne la ragionevolezza. Per tutta la vita Girard fece l’antropologo. Anche se nelle sue opere c'è di più. E nell’antropologia egli studiò il mito e i miti.
Sulla morte di René Girard, avvenuta mercoledì scorso 4 novembre, non bisogna sorvolare. É la morte di un grande. Ed è la morte di un apologeta del cristianesimo. Se per apologia si intende il “dare ragione” della fede, che significa mostrarne la ragionevolezza. Mi ha sempre colpito, in questo senso, la concordanza di fondo tra il pensiero di Girard e quello di Joseph Ratzinger, pur nella diversità delle applicazioni e degli ambiti. Per tutta la vita Girard fece l’antropologo. Anche se nelle sue opere egli dimostra di essere molto di più. E nell’antropologia egli studiò il mito e i miti.
Il mito in quanto spiegazione astorica dei principi dell’esistenza e i miti espressi dalle più svariate culture e civiltà. Joseph Ratzinger ha sempre combattuto la riduzione della religione cristiana a mito. Ha mostrato anzi come essa si fosse subito scostata dalla religioni del mito di cui pullulava allora l’attuale Medio Oriente, preferendo invece collegarsi con la filosofia greca, vale a dire con la ragione, oltre che con la tradizione profetica. É qui che Ratzinger afferma che l’incontro con la filosofia greca è stato provvidenziale per la fede cristiana. Altro che de- ellenizzazione. Anche René Girard, durante un lavoro durato 91 anni di vita, ha detto la stessa cosa: l’incompatibilità della religione cristiana, vecchio e nuovo Testamento, con il mito. La sua diversità dalle religioni che pensavano che il mondo fosse governato da forze oscure e misteriose, irrazionali, bizzarre, iraconde, imprevedibili. E che davanti alla loro inaffidabilità all’uomo non rimanesse altro che esorcizzare le proprie paure con il mito.
La religione cristiana è invece la religione del Logos e non ha quindi bisogno di miti falsamente rassicuranti. C’è bisogno del mito quando il mondo è fatto a caso, per difendere l’uomo dalla imprevedibilità delle forze arcane, non quando a governare il mondo è la Ragione stessa. Studiando il mito, Girard si accorse che tutti i miti rispondono a uno stesso schema: il ciclo mimetico. All’origine sta il desiderio di essere come l’altro, non di avere le sue cose, ma di essere come lui. Se si mettono due bambini in una stanza piena di giocattoli, appena uno di loro ne afferra uno, l’altro vorrà anche lui quel gioco lì e nessun altro. Anche i Dieci comandamenti temono il desiderio: non desiderare … perché mette gli uni contro gli altri e lacera le società. Il desiderio mimetico produce la lotta di tutti contro tutti. É per questo che ad un certo punto la furia mimetica si concentra contro uno solo – il capro espiatorio – e la società si ricompatta ritrovando la pace. Anche Erode e Pilato, dopo la condanna di Gesù, divennero amici, come narrano i Vangeli. L’assassinio collettivo produce un effetto catartico e quindi la pacificazione è vista come un intervento divino e di solito il capro espiatorio stesso viene poi divinizzato.
Questo il ciclo mimetico in tutte le culture. Ed anche nella cultura ebraica e cristiana, anche nei Vangeli. Ciò ne attesta la piena umanità. Ma con una sostanziale differenza: mentre in tutti gli altri miti la violenza nei confronti del capro espiatorio è considerata legittima, nella tradizione cristiana è vista come una ingiustizia e un sopruso. Nell’Edipo Re oppure nel Mito di Apollonio di Tania, la violenza che giunge, come nel secondo caso, anche alla lapidazione del presunto colpevole della disgrazia della città, viene vista come cosa normale e necessaria per pacificare la comunità. Ma nel racconto biblico di Giuseppe e i suoi fratelli o nelle vicende accadute a Gesù di Nazaret, l’ingiustizia nei confronti dell’innocente è sotto gli occhi di tutti. Lo schema è uguale in tutto, ma il senso viene rovesciato. Così René Girard: «Nel mito le espulsioni dell’eroe sono sempre giustificate. Nel racconto biblico non lo sono mai: la violenza collettiva resta ingiustificabile»; «É la differenza tra un universo dove la violenza arbitraria trionfa senza essere riconosciuta, e un universo dove questa stessa violenza viene invece identificata, denunciata e alla fine perdonata». É la differenza tra il Mithos e il Logos.
La verità biblica combatte le menzogne della mitologia. La Bibbia dà voce alle vittime e non ai persecutori. Giobbe fa di Dio il Dio delle vittime e non dei persecutori. Tra i miti pagani e la Bibbia c’è quindi un abisso: per la prima volta Dio e la violenza collettiva si allontanano tra loro, perché raramente l’unanimità dei gruppi umani è portatrice di verità, il più delle volte essa è un processo mimetico ed oppressivo. Il divino non si indebolisce separandosi dalla violenza. Il Dio del Logos è quello che rimprovera agli uomini la loro violenza provando pietà per le loro vittime. Nel mito pagano c’è inconsapevolezza, la folla non sa quello che fa, infatti commette una violenza ingiustificata che essa pensa invece giusta e liberatoria. Nei Vangeli invece questa consapevolezza c’è: “perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc, 23, 34).
La conclusione di Girard è la seguente: «Ciò che conta in quelli che attualmente si chiamano “diritti dell’uomo” è la comprensione del fatto che qualunque individuo o gruppo di individui può diventare il capro espiatorio della propria comunità. Porre l’accento sui diritti dell’uomo corrisponde allo sforzo di prevenire e scongiurare i disordini mimetici incontrollati». Anche per Girard, come per Ratzinger, la fede si sposa con la ragione.