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LA RAGAZZA SIMBOLO

La versione di Mariana, vittima delle due propagande

Per i russi era un'attrice, ora riceve minacce di morte dagli ucraini perché ha detto di non aver sentito un bombardamento aereo. La videoblogger Mariana Vyscemyrska è vittima di due propagande opposte. Il giornalista italiano Giorgio Bianchi è andato a intervistarla scoprendo una interessante verità. Ora ignorata dalla stampa internazionale.

Attualità 11_04_2022

L’hanno chiamata la versione di Mariana. Il suo destino sembra quello di non essere presa in considerazione, come una Cassandra dei tempi moderni, usata di volta in volta con scopi opposti. In realtà, la vicenda che l’ha resa protagonista è il risvolto umano di una doppia propaganda di guerra che preme su una persona sola.  

Mariana Vyscemyrska, 29 anni, è la giovane video blogger comparsa come gestante col pigiama a pois durante l’evacuazione dell’ospedale di Mariupol, bombardato dai russi il 9 marzo scorso.

Le foto scattate dal reporter che le ha vendute all’Associated press e che la ritraevano mentre ferita scendeva le scale del reparto di ostetricia con i suoi effetti personali, lo sguardo spaventato e i tagli in volto, hanno fatto il giro del mondo diventando il simbolo del conflitto nella città martire.

Mariana era stata accusata da parte russa di essere una attrice e il cortile dell'ospedale un immenso set. Erano stati diffusi i suoi post su Instagram in cui pubblicizzava dei prodotti di bellezza ed era stata messa in moto la cosiddetta macchina della disinformatja secondo il collaudato schema russo volto a sostenere la propaganda di guerra. Anche a casa nostra in molti sono caduti nel tranello e hanno scritto che la propaganda ucraina si serviva di attori per i propri scopi.

I riflettori su di lei non si sono spenti, ma si sono spostati. Dopo aver partorito in un altro ospedale di Mariupol, con tanto di reportage dello stesso fotoreporter, Mariana è stata intervistata anche da una televisione russa.

L’intervista, dove non compare mai la parola guerra (a causa del divieto di Mosca), però, è stata accusata di essere piena di tagli. «È la solita propaganda russa», hanno tuonato i giornali occidentali, valorizzando il suo racconto solo per la parte che smentiva la Russia, come il fatto che non fosse un’attrice e fosse davvero in quell’ospedale per partorire, ma minimizzando e screditando il suo racconto quando sosteneva di non aver mai sentito in realtà dei bombardamenti aerei.

Un fatto, quest’ultimo che smentirebbe la versione secondo cui l’ospedale di Mariupol sarebbe stato bombardato da aerei russi. Così ad un certo punto qualcuno ha ipotizzato che la ragazza fosse stata rapita da russi.

Ma chi è Mariana? E che cosa pensa del conflitto bellico che l’ha vista suo malgrado protagonista? E davvero è stata rapita da russi?

A queste domande ha cercato di dare risposta un fotoreporter italiano freelance, Giorgio Bianchi, che segue il conflitto nel Donbass da otto anni e che è riuscito ad intervistarla una volta tornata a casa. Dove? A Mariupol, la città dalla quale non si è mai allontanata e nella quale si è trasferita dopo essersi sposata due anni fa.

L’intervista, andata in onda in esclusiva per Visione tv, l’emittente on line indipendente che ha lanciato un crowdfunding per sostenere le inchieste di Bianchi in Ucraina, dura un’ora e le sue parole sono tradotte da una donna ucraina che parla italiano. È tutta la verità? Non lo sappiamo, ma sappiamo che Mariana è viva in carne ed ossa, parla con un giornalista italiano, è serena e seduta sul divano di casa e non ha né una pistola puntata alla tempia dei russi, né il trucco cinematografico degli ucraini.

Si scopre che è nata a Makeevka, una città nel distretto filorusso del Donetsk. Mariana ha detto di essere abituata alla guerra dato che ce l’ha in casa da otto anni e che per questo motivo è stata fatta evacuare per ultima perché a differenza delle altre gestanti non è andata in panico dopo il bombardamento: «So gestire lo stress di un bombardamento perché ci sono abituata», ha detto. A proposito del viso: le ferite in volto che i russi avevano accusato essere frutto di make-up. Mariana ha detto che subito dopo il bombardamento i soccorsi hanno visto che si trattava di ferite superficiali e che pertanto non c’è stato bisogno di medicarla.

Ma è nel racconto sulle bombe che la giovane ribadisce di aver sentito nitidamente colpi di artiglieria, non un bombardamento aereo «perché sono esplosi i vetri e gli stipiti delle camerate del reparto di ostetricia». Evidentemente, questo è un fattore decisivo perché le truppe russe il 9 marzo non avevano ancora il controllo totale della città e la stavano bombardando dall’alto. Però, il suo racconto, non smentisce neppure gli ucraini. Infatti non attribuisce alcuna responsabilità a loro per il bombardamento. Semplicemente, insiste nel dire che non è avvenuto dall’alto.

Durante il bombardamento si è coperta il volto dal lenzuolo ed è stata portata in un sotterraneo per dieci minuti. Immediatamente dopo è iniziata l’evacuazione. A colpirla – sono parole sue – è stato notare che le troupe dei media erano già sul posto insieme alla polizia e alle ambulanze e hanno pure fatto un video del bombardamento. Non è un’accusa, ma è semplicemente una constatazione. È stata lei stessa a chiedere fotoreporter dell’AP di non immortalarla. Ma lui (si chiama Evgeniy Maloletka) – che viene definito un «vincitore di premi e grande professionista» - l’ha fatto lo stesso e ha tratto profitto da quell’immagine che ha poi fatto il giro del mondo.

Successivamente è salita sull’ambulanza a fianco del marito e ha poi partorito con taglio cesareo in un altro ospedale di Mariupol «nel rione diciassettesimo due giorni dopo». Mariana ha spiegato perché ha rilasciato l’intervista ai russi: «Mi hanno dato la possibilità di parlare, mentre gli ucraini hanno tagliato quello che ho detto», poi ha negato di essere stata rapita. Ma ha anche detto che sul suo profilo in tanti la minacciano di morte. 

Non dice da che parte sta nella guerra, ma si capisce che la sua ottica è diversa da quella occidentale e può essere diversa da quella di un un cittadino di Bucha o Kiev. Sembra impensabile, trattandosi in entrambi i casi di Ucraina, ma le cose stanno così. 

Nel racconto che fa a Bianchi, parla soprattutto della guerra nella regione di Donetsk che va avanti da 8 anni, degli amici morti a 20 anni, dei bambini uccisi e ricordati in un memoriale chiamato “Il viale degli angeli”: «Un’amica è morta e anche suo marito, è rimasto vivo solo il figlio, è una cosa terribile. Quando è iniziata la guerra civile avevo 21 anni e lavoravo nell’amministrazione regionale di Donetsk, pensavamo che sarebbe passato tutto, invece…».

È la storia di una donna che non è stata investita dalla guerra il 9 marzo nell’ospedale di Mariupol, ma molti anni prima. Una donna che ha visto case distrutte e famiglie annientate e piange nel ricordare le amiche morte e l’odio tra fratelli: «Per me non ci sono mai state differenze tra ucraini e russi, a Donetsk venivano a studiare ragazzi stranieri che non parlavano russo, c’era armonia, non avrei mai immaginato che un popolo fratello che parla la stessa lingua si sarebbe odiato così. Ricordo gli aerei ucraini che bombardavano Donetsk e bombardano tuttora, anche adesso, voi state qui e potete vederlo con i vostri occhi».

Quando il giornalista le chiede dei nazionalisti risponde soltanto: «Spero di non trovarmeli mai di fronte perché ne ho il terrore». Poi, conclude ribadendo che cos'è questa guerra vista dai suoi occhi: «Noi siamo uno strumento in questa guerra, quello che accade a Donetsk e a Mariupol non interessa e non ha mai interessato: interessa il rapporto tra la Russia e l’Occidente».

Dalle sue parole, anche se non emergono esplicite prese di posizione che potremmo chiamare "filorusse", si può comprendere per quale motivo la popolazione che vede arrivare a Mariupol e a Donetsk le truppe russe, le saluta come liberatori. Ma è soltanto un aspetto di questa guerra, parziale, se vogliamo. Però spiega alcune cose.

E Mariana è una testimone preziosa, non fa il tifo per i russi e non odia la sua patria, ma è condannata ad essere utilizzata da entrambe le propagande per scopi opposti.