"La Vergine concepirà e partorirà un figlio"
L'approccio razionalistico alle Scritture ha portato a negare che la profezia di Isaia sia veramente tale. Ma un attento esame del testo e del contesto dimostra invece che il segno dato ad Acaz si riferisce davvero al Messia che uscirà dal popolo di Israele.
Decenni di approccio razionalistico alle Scritture hanno decisamente congelato la meraviglia di fronte alle oltre cento profezie messianiche, presenti nei libri dell’Antico Testamento. Fiumi di inchiostro scritti per confutare a priori la possibilità di una vera e propria previsione di eventi futuri, incluso l’avvento del Messia, giustificando questi testi come annunci ex post, o rimaneggiamenti successivi del testo sacro. Al massimo si è concesso che il profeta fosse in realtà un uomo lungimirante, che alla luce della sapienza acquisita nella vita, ha potuto fare una previsione verosimile di quello che sarebbe accaduto nel prossimo avvenire.
Le profezie messianiche, cioè quegli annunci che riguardano la figura del Messia atteso da Israele, presenti in tutti i libri dell’Antico Testamento, rimangono però sempre a disposizione per stupire e confermare nella fede quanti vi si accostino con cuore libero e mente aperta.
Sono oltre un centinaio i testi più espliciti, che si riferiscono a Gesù di Nazareth e ne descrivono il luogo e il tempo della nascita, la sua persona divina e la natura umana, il suo albero genealogico, i fatti della sua vita, la modalità della sua passione e della sua morte e, infine, l’inaudito fatto della vittoria sulla morte. Se qualcuno venisse a mostrarci codici e volumi che vanno dal Medioevo all’età moderna, provenienti da varie parti d’Europa, contenenti decine di indicazioni sulla nostra persona e sulla nostra vita, non credo resteremmo tanto indifferenti.
Eppure la Persona di Gesù e la sua vita sono stati preannunciati secoli prima, in diversi casi con una precisione straordinaria. Ma a gettare fumo negli occhi sono sopraggiunti dapprima i tentativi di un certo giudaismo di offuscare il senso di questi testi, perché in essi non fosse trovata conferma che Gesù era veramente l’atteso d’Israele, e, più di recente, quel razionalismo biblico di cui parlavamo sopra, che ha dichiarata impossibile la profezia.
Una vittima illustre di questa duplice piaga è stata la notissima profezia contenuta nel capitolo settimo del profeta Isaia: “Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio…”.
Si è scritto che in realtà non di una vergine si tratterebbe, ma di una giovane maritata; si è detto che il segno dato da Dio all’incredulo re Acaz si sarebbe già compiuto nella nascita del figlio del re; ancora, si è affermato che il testo avrebbe assunto un valore profetico solamente dopo la nascita di Gesù. Cosa dobbiamo pensare di questa vergine e di questo figlio?
Augustin Lémann, sacerdote francese di origine ebraica, nella sua documentata monografia La Vierge et L’Emmanuel, ha respinto energicamente questa riduzione della profezia di Isaia, mostrando come sia lo stesso testo ebraico a richiedere un’interpretazione che rompa il guscio delle obiezioni razionaliste.
L’alleanza tra il re di Aram, Rezìn, ed il re d’Israele, Pekach, figlio di Romelia, minacciava il regno di Giuda. Il primo aveva sottratto al regno retto da Acaz la città di Elath, luogo strategico per gli scambi commerciali, causando così gravi danni economici al regno di Giuda; gli Aramei erano riusciti anche a fare molti prigionieri, che vennero portati a Damasco. Il secondo in un solo giorno uccise centomila uomini giudei, tra i più valorosi, “perché avevano abbandonato il Signore” (2Cr 28, 6). Stretto in questa morsa, il cuore di Acaz “e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano i rami del bosco per il vento” (Is 7, 2). Dio, per mezzo del profeta Isaia, esorta il Re a non temere, ad avere fiducia e lo invita a chiedere a Dio un segno. Acaz si rifiuta, ostentando una falsa umiltà ed un timor di Dio ipocrita; egli aveva già infatti inviato messaggeri al re assiro Tiglat-Pilèzer per chiedergli aiuto ed assicurargli la sua sudditanza (cf. 2Re 16, 7). Il cuore del Re cercava il sostegno di un re straniero e idolatra, piuttosto che rivolgersi all’Onnipotente Dio d’Israele.
Dio però decide di dare ugualmente il segno della stabilità del regno di Giuda. Qual è il segno promesso? Una lettura razionalistica e storicistica del passo di Isaia ritiene che si tratti di una giovane che partorisce un figlio ad Acaz. Ma questa spiegazione non rende ragione né del testo né del contesto, vediamo il perché.
Il segno che viene dato ad Acaz è anzitutto “la vergine che concepirà e partorirà un figlio”. Nel testo ebraico vengono utilizzati due participi presenti; letteralmente suonerebbe così: “la vergine concepente e partoriente un figlio”. I due participi danno un significato particolare al testo, trasformando il segno promesso in qualcosa di assolutamente unico e straordinario. Non è scritto che colei che è ora vergine concepirà e partorirà, cessando così di essere vergine, come accade per tutte le giovani che divengono madri; bensì che la vergine, mentre concepisce e partorisce permane vergine, appunto perché i due participi qualificano la vergine.
Il sostantivo almah inoltre non indica semplicemente una giovane donna sposata, ma una vergine, ancora posta sotto la tutela paterna. Per sette volte esso figura nei libri dell’Antico Testamento e tutte le volte indica appunto una giovane vergine, non ancora maritata. Anche nella traduzione della Settanta, il vocabolo almah è stato tradotto con parthènos, cioè vergine. Pertanto, l’interpretazione che l’evangelista Matteo dà di questa profezia, interpretazione che – lo ricordiamo – è parola di Dio, non è una rilettura postuma che forzerebbe il testo di Isaia, ma è quella che più pienamente ne rende ragione.
La comprensione che il primo Vangelo offre, viene ulteriormente confermata dal secondo elemento di questo segno che viene dato, ossia l’Emmanuele. Il nome Immanu-El, Dio-con-noi, non si trova in alcun altro versetto dell’Antico Testamento, al di fuori di quella sezione del profeta Isaia che viene denominata appunto “libro dell’Emmanuele” (cc. 7-12). Né, fatto ancora più significativo, nessun ebreo ha mai portato questo nome. Si tratta evidentemente di qualcosa di più di un nome di persona; esso indica che questo bambino sarà realmente Dio venuto in mezzo a noi. L’affermazione della natura divina di questo figlio, ancora una volta, non è una forzatura cristiana, ma la conclusione che sgorga in modo coerente dal contesto.
Nel capitolo 9, 6-7, gli attributi conferiti a questo bambino sono piuttosto espliciti: è chiamato “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, principe della pace”. Dio sarà poi presente in una vera e propria natura umana, come espresso nell’indicazione che “egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene”.
Dio ha dunque dato ad Acaz un segno straordinario: non deve temere l’assalto di Samaria e della Siria. Il regno di Giuda è reso stabile perché da esso uscirà il Messia, riconoscibile perché sarà concepito e dato alla luce dalla Vergine-Madre, e porterà in sé la natura divina e quella umana. Ecco perché Dio domanda ad Acaz una particolare audacia nel domandare il segno: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto”. Più incisivamente, il testo ebraico esorta, nella domanda, ad andare il più in basso possibile nell’abisso o elevarsi il più in alto possibile, nei cieli. La domanda dell’uomo deve estendersi a misura dell’ampiezza del mistero dell’Uomo-Dio, nato dalla Vergine, che sta per essere rivelato: la Persona divina, posta nel più alto dei Cieli, assume la natura umana, sprofondandosi nel mondo dei peccatori e rendendosi loro servo.