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USA-UE

La vera missione difficile della Meloni è ripristinare l'Occidente

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All'atto pratico, la missione di Giorgia Meloni a Washington è un successo. Ma nel lungo termine lo scopo della premier è più difficile: ripristinare un Occidente unito. Make the West Great Again: idea sfidata sia dal globalismo sia dal nazionalismo.

Editoriali 19_04_2025
Giorgia Meloni e Donald Trump (La Presse)

La missione della premier italiana Giorgia Meloni a Washington, dove ha incontrato il presidente Donald Trump, è stata considerata unanimemente un successo, anche dalla stampa italiana di sinistra. A parte gli oppositori, che fanno il loro mestiere, e una minoranza di opinionisti che contesta il governo per partito preso, il colloquio alla Casa Bianca è stato visto come un momento di prestigio per l’Italia. Il nostro paese può fare a pieno titolo da ponte fra le due sponde dell’Atlantico, mai così lontane da quando Donald Trump è tornato ad essere il presidente degli Usa.

In realtà, come tutti sanno, il viaggio della Meloni è solo una prima piccola tappa di un lungo lavoro. In concreto, si tratta di negoziare un accordo fra Usa e Ue per rimuovere tutte le barriere, tariffarie e non, creando una grande area di libero scambio transatlantico. La Meloni e Trump si sono detti certi, “al 100%” che prima o poi sarà siglato. La premier italiana ha ottenuto che il presidente americano si rechi in visita a Roma, nel prossimo futuro. Ed è riuscita a non fargli rifiutare, in quella occasione, anche un incontro con i vertici dell’Ue. Sinora infatti, Trump ha rifiutato ogni confronto con l’Ue in quanto tale, preferendo colloqui bilaterali con i capi di Stato e di governo dei Paesi membri. Incontrando a Roma, il giorno dopo, anche il vicepresidente JD Vance, la Meloni ha ribadito l’intenzione di far da tramite per un negoziato fra Usa e Ue. Ed anche il vicepresidente non ha escluso un contatto con l’Unione, anche se è odiato da tutti i governi europei per averli fustigati nel suo discorso di Monaco, nel febbraio scorso, dove li ha rimproverati per deficit di moralità, libertà e democrazia.

Al di là della contingenza economica, la missione culturale-politica di Giorgia Meloni è ancora più difficile, per le opposizioni che incontra e il clima culturale dell’ultimo decennio: risuscitare l’ideale di un Occidente unito. Nel corso del colloquio con Trump, la premier italiana ha ribadito quel che intende con Occidente: «Quando parlo di Occidente, non parlo di uno spazio geografico ma di una civiltà. E voglio rendere questa civiltà più forte». Fa suo il motto di Trump e lo amplia: Make the West Great Again, rendiamo l’Occidente di nuovo grande. Nel suo intervento alla Cpac, la conferenza annuale dei conservatori americani, aveva spiegato in modo più esteso il concetto di Occidente: «Credo ancora nell’Occidente non solo come spazio geografico, ma come civiltà, una civiltà nata dalla fusione della filosofia greca, del diritto romano e dei valori cristiani, una civiltà costruita e difesa nel corso dei secoli attraverso il genio, l’energia e i sacrifici di molti. Quando diciamo Occidente, definiamo un modo di intendere il mondo in cui l’individuo è centrale, la vita è sacra, tutti gli uomini nascono uguali e liberi, la legge si applica in modo uguale a tutti, la sovranità appartiene al popolo e la libertà viene prima di tutto. Questa è la nostra eredità e non ci scuseremo mai per questo».

La Meloni, in quella occasione, aveva parlato di minacce interne ed esterne. Fra queste ultime annovera soprattutto la Russia, che sta invadendo l’Ucraina. In uno dei passaggi più difficili della conferenza stampa alla Casa Bianca, alla domanda di un giornalista che incalzava sul pessimo rapporto fra Trump e Zelensky, la Meloni rispondeva che l’Ucraina è stata invasa e l’aggressore è Putin. (Un passaggio che non è stato tradotto in inglese: Trump, anche ieri, aveva attribuito a Zelensky la colpa di “essersi messo di mezzo” in una guerra con una potenza “venti volte più forte”). Ma è sulla minaccia interna che la premier italiana insiste maggiormente: «La sinistra radicale vuole cancellare la nostra storia, minare la nostra identità, dividerci per nazionalità, genere, ideologia. Ma non saremo divisi, perché siamo forti solo quando siamo uniti». L’unità fra le due sponde dell’Atlantico è per questo fondamentale. Sempre nel suo discorso alla Cpac, la Meloni aveva esortato all’unità, all’indispensabilità dell’Europa. E così ha fatto anche nel suo colloquio con il presidente americano.

L’idea di Occidente, in un mondo sempre più multipolare, è però sfidata da due correnti fortissime, fra loro contrarie ma speculari. Entrambe infatti si fondano sul presupposto che l’Occidente abbia fallito la sua missione o sia quantomeno entrato in crisi, come profetizzato dal politologo Samuel Huntington e poi da una generazione successiva di teorici conservatori. Alla crisi dell’Occidente le élite progressiste rispondono con la fuga in avanti: il globalismo, il vecchio sogno novecentesco di uno Stato mondiale. La nuova destra, al contrario, con il nazionalismo.

L’Ue incarna il globalismo nella sua forma più coerente: non solo punta a fare di 27 Stati un’unica entità politica, ma mira (con il Green Deal e gli interventi a gamba tesa nelle questioni etiche su vita e famiglia) a modellare una nuova società, fatta di “cittadini del mondo”. È esattamente quello che JD Vance ha rimproverato ai governi europei nel suo discorso di Monaco. Dal canto suo, però, gli Usa stanno puntando al nazionalismo, allo Stato nazionale che diventa sovrano assoluto, al di sopra della legge, soprattutto nelle relazioni con il resto del mondo. Ogni nazionalismo nasce e cresce sul vittimismo. Ed anche la prima potenza del mondo, in questa fase della sua storia, sente di essere stata "fregata" (l'espressione preferita di Trump), sfruttata dagli alleati, soprattutto dagli alleati occidentali, canadesi ed europei. Il sintomo più pericoloso di questa deriva non è tanto il protezionismo economico (i dazi), quanto le disinvolte dichiarazioni sulla volontà di conquiste territoriali di Trump, ai danni di Panama, Canada e Groenlandia. Che vanno prese sul serio, non liquidate come mere provocazioni.

Contro entrambe le derive, lo sforzo di Giorgia Meloni di resuscitare un Occidente, prima di tutto su basi culturali, si presenta come una missione lunga e difficile, se non impossibile.