La vera laicità non è antireligiosa né indifferentista
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Si rifiutano preghiere e benedizioni a scuola, anche quando fa comodo giocare al campetto dell'oratorio o ridurre la religione a etica sociale, magari ecologica. Ma la Chiesa contribuisce in quanto tale al bene comune e in modo non intercambiabile con altre religioni.
Due fatti recenti di ambito scolastico hanno riguardato il tema della laicità dello spazio pubblico rispetto alla religione cattolica.
Il primo è il divieto imposto a don Luca, parroco di Maiolo, di dare la benedizione in una scuola statale, come sempre fatto fino ad allora. La dirigente scolastica glielo ha vietato, sostenendo che la scuola (statale) è laica. Interessante la risposta del parroco: però quando quegli stessi bambini vengono a giocare in parrocchia allora vi va bene!
Il secondo è quello della maestra Marisa che a Nuoro ha fatto costruire agli alunni un Rosario e alla fine ha fatto recitare l’Ave Maria. La maestra Marisa è stata costretta a scusarsi e sospesa dall’insegnamento per 20 giorni. Anche qui il motivo è stato che la scuola (statale) è laica. Su questo caso, più che sul precedente, è esplosa la polemica, con Il fatto quotidiano a dire addirittura che la maestra avrebbe dovuto essere licenziata, e Vittorio Sgarbi a tesserne le lodi,
La questione è delicata e complessa ma proviamo a fare chiarezza. Oggi lo spazio pubblico riconosce un posto per la religione cattolica solo se essa non fa la religione ma funziona da etica sociale, solo se insegna ai bambini a volersi bene, a rispettarsi, a vivere insieme senza soprusi o ingiustizie. Per questo la risposta del parroco era molto pertinente: non volete la benedizione, ma quando la Chiesa fa giocare i vostri bambini nel campetto dell’oratorio e insegna loro le buone maniere, allora vi va bene.
Azzardo anche un’altra ipotesi: se la parrocchia avesse proposto un progetto educativo per quella scuola statale incentrato sul risparmio energetico e la difesa dell’ambiente tramite la raccolta differenziata dei rifiuti, la dirigente scolastica lo avrebbe approvato. Questo tipo di laicità fa violenza alla religione cattolica, perché non la riconosce come religione ma come agenzia di etica sociale.
La religione cattolica, invece, ha la pretesa e la vocazione di avere un ruolo sociale educativo in quanto religione, quindi anche tramite la benedizione del parroco. Don Luca ha detto bene: o voi accettate tutto il pacchetto o io non accetto che facciate voi lo spacchettamento secondo i vostri criteri. La laicità non può chiedere alla religione di travestirsi e diventare un vago umanesimo, magari conforme alle decisioni del potere.
Se il parroco non è riuscito a dare la benedizione, la maestra Marisa non ha chiesto autorizzazioni ed è andata avanti da sola, ingenua o consapevole che sia stata. Attenzione, però: la critica al provvedimento della sua sospensione non può fondarsi su un generico diritto alla libertà di religione, perché allora tutte le religioni avrebbero uguale diritto a fare quello che ha fatto la maestra Marisa. La maestra islamica, quella buddista e, perché no, quella atea, potrebbero allora trasferire le loro pratiche religiose nella scuola. Questo non sarebbe giusto, perché non tutte le religioni soddisfano le esigenze di una buona educazione, alcune presentano una visione deformata dell’uomo e della vita.
Nella scuola né devono entrare tutte le religioni, né deve essere bandita ogni religione, perché sia nell’uno che nell’altro caso non si applicherebbe una vera laicità educativa. Sia che si estromettano le religioni dalle aule scolastiche sia che si permetta ad ognuna di esse – anche al “Tempio di Satana”?! – di essere presente, si manifesta una indifferenza alla verità delle religioni che diventa a sua volta un’altra religione, questa volta atea. Estromettere le religioni dallo spazio pubblico richiede la forza di una religione, seppure irreligiosa.
La dirigente che ha impedito la benedizione o le autorità che hanno sospeso la maestra Marisa non hanno fatto un atto laico, ma religioso o, meglio, a valenza religiosa, imponendo la religione dell’irreligiosità, ossia l’ateismo, come occupante l’intero spazio pubblico. Lo stesso esito si avrebbe se tutte le religioni venissero accolte nella scuola, dato che ciò significherebbe una indifferenza alle religioni che ha ugualmente la forza atea di una religione.
Per dirla altrimenti: se le istituzioni scolastiche impediscono alla religione cattolica di essere presente in quanto religione e non solo come agenzia di etica civile, non creano, come invece suppongono di fare, un luogo educativo neutro dalle religioni, ma un luogo anti-religioso, con la stessa valenza di una religione, e questa non è vera laicità.
Quello spazio supposto neutro o viene occupato da altre religioni, come per esempio quella islamica (vedi QUI) o quella del patriottismo costituzionale o quella LGBT, oppure viene occupato dalla religione dell’indifferenza alle religioni, che è un assunto per niente laico.
Chi fa scuola non può essere privo di una visione di chi sia quell’uomo che intende educare. Ugualmente non può evitare di valutare le varie religioni e presentarle educativamente non come tutte uguali ma come più o meno conformi a quella visione di uomo. Nel fare questo l’educatore non solo selezionerà le religioni, non ritenendole più tutte uguali, ma anche, e contemporaneamente, chiarirà la sua stessa visione di uomo, perché le varie religioni la illumineranno in modo molto diverso, e molte, addirittura, la oscureranno.