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L'EDITORIALE

La vera corsa di Sic

Si svolgono oggi i funerali del motociclista Marco Simoncelli, il giovane fuoriclasse morto domenica scorsa. Una lettera a un campione sempre sorridente per riflettere sulla nostra corsa quotidiana verso un podio celeste.

Editoriali 27_10_2011
Simoncelli

Si svolgeranno oggi a Coriano (Rimini), nel suo paese natale, i funerali del motociclista Marco Simoncelli, il 24 enne fuoriclasse delle due ruote, morto tragicamente domenica scorsa durante il GP della Malesia.


Caro Marco,
scusami se ti scrivo appena adesso. Ti ho conosciuto solo all’ultima corsa, non sapevo nulla di te, non ero mai andato oltre le battute e le sgroppate del tuo amico Valentino. Ora il tuo sorriso mi sorprende da tutti i telegiornali, la tua capigliatura invade i teleschermi e le copertine dei giornali. Dicono che eri allegro, forse anche spericolato; eri appassionato, amavi la corsa e la vita, avevi molti amici e non solo ammiratori. Sento i giovani parlare di te, vedo che ti portano fiori. Tuo papà e tua mamma parlano pacati, consapevoli di aver vissuto con te un’avventura grande, di aver partecipato a un dono straordinario.

Ma quale corsa facevi, dove correvi? Quando mi capita di sbirciare qualche spezzone di corse in moto, mi domando: come fanno a stare in piedi in quelle curve strazianti, con la moto che sembra piegarsi fino a terra? Quale coraggio, quale audacia! Scusa, tu non avrai molta confidenza con queste cose, come io con le tue, ma a me viene in mente San Paolo che scriveva «mi protendo nella corsa per afferrarlo, io che sono già stato afferrato da Cristo». Io penso che ogni corsa è una corsa verso di Lui, e ogni desiderio è un’attesa del di più, dell’infinito. Tu desideravi di più del risultato finora conquistato.

Miravi al podio più alto, come ti ho sentito dire nell’ultima intervista. Il tuo cuore correva più veloce. Cos’è questa ricerca del punto più alto, del successo più grande? Dove ci porta la corsa della vita? Perché le mète raggiunte non ci bastano mai? Non ti sarebbe bastato nemmeno arrivare ad essere campione del mondo, una volta, due volte, tre volte, come il tuo amico Valentino. Miravi ancora più su, e tutti noi con te. La tv ti ha presentato vestito di bianco, come un gabbiano che vola. Adesso la tua moto è infranta, e il tuo corpo schiacciato. Non corri più? Senza più la moto, quale corsa ci può essere? Slacciato dalle cinture, liberato dal casco che premeva sui tuoi capelli, dove sei corso?

Dicono che il Paradiso sia una corsa verso la luce, attratto in un abbraccio di felicità. Non so quanto tu abbia conosciuto Dio quand’eri ragazzo e quando correvi in pista. So che certamente Dio Padre ti ha voluto bene. Si sarà rammaricato – Lui, il Creatore della vita e il Donatore dell’intelligenza umana che le inventa tutte per far correre una pista più veloce – di non potere più ammirarti nella velocità dei tuoi circuiti; si sarà dispiaciuto come un padre, a vederti scivolare così malamente.

Si sarà lasciato prendere
da un desiderio più grande di non mollarti, e sarà corso a “dare un comando ai Suoi angeli di preservarti in tutte le tue vie; ti porteranno sulle loro mani, perché tu non inciampi contro la pietra”, così come dice un salmo. Finalmente il desiderio del tuo cuore si troverà compiuto e la tua corsa proseguirà senza ostacoli nel circuito di un Amore senza confini.

Con gratitudine per il dono della tua vita, e con affetto,

don Angelo