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La Venere bruciata è segno del nostro cupio dissolvi

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Prendendo fuoco, l'opera di Michelangelo Pistoletto raggiunge (involontariamente) la perfezione, diventando il paradigma visivo della nostra smania di distruggere vita, relazioni, famiglia, Chiesa, passato, identità...

Editoriali 15_07_2023

L’arte concettuale è così chiamata perché non riuscendo visivamente ad esprimere ciò che vorrebbe deve ricorrere alle spiegazioni. Tra l’altro ciò che vuole dire è spesso astruso o banale o inutile. Un'arte da sbadiglio.

C’è di tutto sotto questo titolo: banane appese ad un muro con lo scotch, cartelloni pubblicitari strappati e, nelle versioni d’avanguardia, molto strappati, tele con un taglio a cui sono seguiti, dopo attenta ricerca, più tagli, una lampadina che si accende e si spegne in una stanza vuota, una stanza vuota (sì, anche questa è arte, cari brontosauri del gusto che non siete altro) e via delirando. L’arte una volta era difficile da fare e facile da capire. Oggi, in genere, è facile da fare («Lo sa fare anche mio figlio di 3 anni» spesso è l’epitaffio più calzante per molta arte moderna), ma difficile da capire.

La Venere degli stracci, opera del ’67 di Michelangelo Pistoletto, rientra a pieno titolo nelle opere concettuali ed è simbolo dell’Arte Povera (il malizioso aggiungerebbe: povera di idee). Si tratta di una installazione composta da due elementi: una scultura in cemento, che riproduce la statua di Venere con mela dello scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen, e un cumulo di stracci davanti ad essa. Il contributo netto di Pistoletto sono gli stracci. L’autore, conscio appunto che le sue opere possono essere fruibili solo con un manuale d’uso allegato alle stesse, ci viene in soccorso e spiega che «la Venere rappresenta l'umanità di oggi, quella che viene chiamata a esprimere il suo lato migliore», che sarebbe la copia della statua, tanto per intendersi, copia che dovrebbe avere la forza di rigenerare il ciarpame che le sta di fronte. Per altri il dualismo dell’opera richiama la ricerca della bellezza apollinea nelle contemporaneità contrassegnata dal degrado.

Insomma, il bello dell’arte contemporanea (e tale rimangono anche le opere di più di 50 anni fa) è che ci puoi  vedere dentro tutto quello che vuoi. Ad esempio perché, volendo attualizzare il lavoro di Pistoletto, non vedere nella Venere degli stracci il pericolo che i rifiuti prodotti dall’uomo possano intaccare la bellezza dell’ambiente? Oppure, più semplicemente, perchè non far dire alla Venere: «Meglio nuda che stracciona», meglio onesta che piegata ai compromessi, se proprio vogliamo metterci al naso il pince nez dei critici d’arte?

Esistono ben quattro versioni di questa installazione e una quinta, di grandi dimensioni, è stata posta nel giugno scorso nella piazza Municipio a Napoli, prova che non di rado l’arte contemporanea è seriale, come aveva ben inteso Andy Warhol, perché mero prodotto industriale (gli stracci possono essere scarto industriale) e non certo manufatto artigianale.

La versione big size ha preso fuoco il 12 luglio scorso. Pistoletto, forte della sua umiltà e citando la moglie, ha dichiarato che è stato come un femminicidio (ma forse già prima la sua opera aveva compiuto un articidio). Di certo non si è trattato di un incendio spontaneo. Infatti è stato fermato un sospettato, una persona che ha forti comunanze biografiche con l’opera di Pistoletto: è infatti uno straccione, una persona senza fissa dimora. Se proprio la sua creazione doveva andare in fumo – e per imprescindibile senso civico non possiamo che vibratamente protestare per quest’azione iconoclasta – chi meglio di uno che veste stracci poteva appiccare il fuoco? Chi più competente di lui? Le affinità elettive sono evidenti e palpitanti.

E, ci perdoni l’artista questa nostra esegesi all’amatriciana del semantema della sua creazione, ma crediamo che quel fuoco rappresenti l’elemento perfettivo, seppur involontario, della Venere stracciosa, è il suo apice. Il fuoco è purificatore, monda la bruttezza, cancella le colpe. Infatti gli stracci degli appestati venivano bruciati. Quegli stracci entravano in un muto ma stridente rapporto dialettico con l’aurea beltà della Venere. Il fuoco, hegelianamente, è stata la sintesi di queste due tesi opposte. Ha eliminato Dioniso – il disordine, il degrado, il ciarpame – e insieme a questo Apollo – la cristallina ed armoniosa bellezza – e ci ha restituito cenere, la sintesi più convincente di questi nostri giorni. Quale materiale migliore per simboleggiare il nulla cosmico in cui affoghiamo, la polverizzazione della nostra cultura, l’incenerimento della nostra identità, la combustione della speranza? Nel fuoco divoratore della Venere brilla dunque la conflagrazione di tutto un universo di certezze, di significati esistenziali.

Il rogo a Napoli allora è stata la conclusione perfetta di quella installazione che nei suoi modi è straordinariamente contemporanea, almeno per come viene intesa dagli esistenzialisti. Se tutto per loro è arte e chiunque è artista, ecco che il clochard che appicca il fuoco diventa inconsapevolmente artista e così la barriera tra artista e fruitore scompare. È l’arte sharing, pluralista e democratica perché coinvolge tutti. Da immota rappresentazione di un’idea, la Venere, poi, diventa inclusiva perché il rogo ha fatto irruzione nel tessuto urbano. L’opera allora è diventata viva, scoppiettante, letteralmente bruciante, ricca di facondia grazie alle sue lingue di fuoco, incontenibile nel suo profilo che aveva pensato Pistoletto e dunque magnificamente informale, astratta in modo sublime. Un’opera, poi, imprevedibile, quasi vivesse di vita propria, che supera se stessa, che darwinianamente si evolve, progredisce dissolvendosi nell’aria. Quanto sa di contemporaneo, perché decadente, tutto questo!

L’opera in falò del Pistoletto è poi paradigma visivo dei nostri tempi, delle nostre sensibilità sempre attratte dal cupio dissolvi.  La nostra non è forse l’epoca in cui si è tentato con tutte le propri forze di distruggere la vita, le relazioni, la famiglia, la Chiesa, l’identità personale, il passato, la differenza sessuale, la filiazione? Tutti stracci per chi condivide insieme a noi l’aiuola di questo nostro mondo. La pirotecnica Venere allora diviene simbolo perfetto dello spirito senz’anima della nostra contemporaneità. Ma, in realtà, nulla di nuovo. Non si contano i pseudoartisti che, non avendo talento se non quello pubblicitario, si sono inventati opere che si autodistruggono (Bansky) o installazioni dove la distruzione è l’opera stessa (ad esempio: una gru che lascia cadere una enorme sfera di acciaio che sfonda un’auto).

Il comune ha fatto sapere che vuole ricostruire l’opera rimettendola al suo posto. Grave errore. Per i motivi che abbiamo esposto sopra, è meglio che di quell’opera rimangano solo le ceneri.

 



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