La Turchia si arma e ci "scippa" il Mediterraneo
I piani di espansione militare di Ankara sono spesso taciuti: in pochi anni il premier Erdogan ha aperto basi in Qatar e Somalia, esercitato la sua influenza in Libia e ampliato la flotta navale. Ma per sostenere la Fratellanza Musulmana. Scippando la leadership mediterranea all'Italia che nel frattempo sembra dormire.
Ricatta l’Europa sui fronti dell’immigrazione e dei visti, lamenta di essere stato lasciato solo dagli alleati a combattere lo Stato Islamico” e al tempo stesso persegue il sogno di rinnovare i fasti della grande potenza ottomana con un espansionismo militare senza precedenti.
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan sta confermando negli ultimi giorni la sua abilità nel giocare su più tavoli contemporaneamente. Dopo aver mandato al diavolo l’Europa che vorrebbe una revisione della legge antiterrorismo turca (che di fatto sbatte in galera chiunque contesti Erdogan) l’8 maggio il presidente ha accusato gli alleati della Coalizione internazionale contro lo Stato islamico. "Ci lasciano soli nella lotta contro l’Isis che ci fa sanguinare da un lato con gli attentati suicidi e dall'altro con gli attacchi contro Kilis", la città di frontiera con la Siria regolarmente colpita dai razzi sparati da oltre confine.
"In Siria - ha continuato il leader turco - nessuno di coloro che dice di lottare contro lo Stato Islamico ha causato all’Isis tante vittime quante ne abbiamo causate noi, e nessuno ha pagato un tributo così pesante quanto noi". Erdogan finge però di dimenticare che è stata Ankara il primo sponsor dell’Isis e di altri gruppi jihadisti dai quali si aspettava il rovesciamento del regime di Bashar Assad e il contenimento (o l’annientamento) dei curdi. I servizi segreti turchi hanno armato e rifornito l’Isis che vendeva il suo petrolio in Turchia, nei cui ospedali venivano curati i feriti del Califfato. Da quando l’Isis è divenuto troppo scomodo per essere sostenuto, Erdogan ha concentrato il supporto militare sulle altre milizie jihadiste (l’Esercito della Conquista) attirando sul territorio turco la dura rappresaglia dell’Isis.
Ma se del ruolo di primo piano rivestito dalla Turchia nella guerra siriana e nell’emergenza migranti diretti in Europa si parla da tempo quasi quotidianamente, minore visibilità hanno avuto i piani di espansione militare di Ankara che sta aprendo basi militari in Qatar e Somalia e persegue un ampio potenziamento militare.
Entro il 2023 i turchi puntano ad essere autosufficienti nella produzione di armi e tecnologia militare. La loro flotta supera già oggi per tonnellaggio quella dell’Italia, “potenza regionale” rivale nel Mediterraneo dove, mentre Roma “dorme” i turchi (insieme al Qatar) hanno imposto la loro leadership sul novo governo libico islamista voluto dall’ONU e guidato da Fayez al Sarraj.
In Somalia, altra ex colonia italiana dove Roma guida una missione addestrativa della Ue ma dove da tre anni si parla di aprire una missione militare nazionale, i turchi sono già sbarcati in forze. Prima con programmi di aiuto economico ricostruendo e gestendo il porto nuovo di Mogadiscio, realizzando il nuovo terminal dell’aeroporto, un ospedale e realizzando strade a doppia corsia illuminate a pannelli solari. Poi sono sbarcati in armi costruendo una grande base militare a due passi da porto e aeroporto della capitale. Sarà pronta a settembre e si dice ospiterà centinaia di militari turchi, istruttori e consiglieri militari che addestreranno e aiuteranno i battaglioni dell’esercito somalo destinati a combattere i miliziani qaedisti Shabab e le nuove milizie dello Stato Islamico.
Ma il vero “colpo da maestro” di Erdogan, che suggella il ruolo di grande potenza della Turchia, è rappresentato dalla realizzazione di una grande base militare terrestre, aerea e navale in Qatar che ospiterà almeno 3 mila militari guidati da un generale di brigata con componenti addestrative, forze speciali e unità navali e aeree. Un’operazione che porta Ankara nel club delle potenze che hanno basi nel Golfo Persico (USA, Gran Bretagna e Francia) e che rafforza l’alleanza con la monarchia di Doha.
Tutti gli emirati del Golfo hanno stretto o stanno stringendo alleanze con grandi potenze affinché la presenza di loro basi militari sul territorio nazionale scoraggi eventuali attacchi esterni (dall’Iran soprattutto): il fatto che il Qatar (che già ospita la base e il comando aerei statunitense di al-Udeid) abbia scelto di appoggiarsi sui turchi conferma la credibilità militare acquisita in questi anni da Ankara ma sancisce anche in modo tangibile l’intesa trilaterale USA-Turchia-Qatar già evidente in molti scacchieri internazionali (dall’Egitto alla Libia alla Siria) nel sostegno alla ”Fratellanza Musulmana”.
La Turchia del resto ormai esercita la sua influenza dal Mediterraneo Centrale /Libia) all’Asia Centrale (Azerbaigian), dal Golfo Persico all’Oceano Indiano. Perseguire una simile politica significa disporre di una politica estera e strategica organica e ben definita ma anche di uno strumento navale adeguato. Per questo la flotta turca non è solo in rapido ampliamento (24 navi da combattimento maggiori, 20 minori e 13 sottomarini) ma sta costruendo una portaelicotteri da assalto anfibio da un miliardo di dollari.