La Turchia gioca sporco in Siria e le alleanze cambiano
La Turchia, complice il silenzio di Usa, Iran e Russia, si è aggiudicata un pezzo di Siria. Con la facile vittoria del Free Syrian Army contro l'Isis a Jarablus, ha creato quella tanto agognata "zona cuscinetto" anche a spese dei curdi. Gli Usa scaricano il Kurdistan. Iran, Russia e Assad accettano il fatto compiuto. In Siria è il momento della real politik più spinta, sulla pelle della popolazione.
La chiedevano da più di un anno i turchi la «zona cuscinetto» al di là del confine con la Siria. La chiedevano ufficialmente per «proteggere» la propria frontiera e magari anche scaricare «di là» le centinaia di migliaia di profughi che tuttora, come sappiamo bene, sono presenti entro i suoi confini. Ma - soprattutto - la chiedevano per evitare la materializzazione dell'incubo vero: la nascita del Rojava, il Kurdistan siriano, con il ricongiungimento tra la regione di Afrin a ovest e quella di Kobane, Hassakeh e Qamishli, a est dell'Eufrate, le aree dove dall'inizio della guerra siriana i curdi di fatto hanno instaurato un proprio autogoverno.
La chiedevano, ma tutti la respingevano al mittente bollandola come il tentativo di Ankara di prendersi la propria parte nella spartizione della Siria. Tutto fino al più fortunato tra i golpe sventati, quello che, in una mossa sola, ha permesso a Erdogan di fare piazza pulita di tutti gli oppositori interni e incassare spregiudicatamente lauti dividendi su ogni tavolo della politica internazionale. Così dall’altro giorno è scattata l’ora della «zona cuscinetto» nell'area della Siria a nord di Aleppo. Dall'alba di mercoledì l'esercito turco è attivamente impegnato a sostenere l'avanzata di circa 5 mila miliziani del Free Syrian Army (con tutto il corollario di milizie dalla collocazione più o meno accentuata nello spettro islamista). Dopo essere stati per giorni e alla luce del sole radunati sul confine, hanno preso Jarablus, la prima cittadina in territorio siriano, e stanno marciando verso sud. Ufficialmente - come sempre - si tratta di un'azione contro l'Isis nell'ultima fascia di territorio che il Califfato controlla a nord di Aleppo. Ma Ankara stavolta non fa nemmeno mistero nel dire che la campagna è diretta anche contro le milizie curde dello YPG, che andando a strappare all'Isis la cittadina di Manbij hanno ignorato il diktat turco che aveva loro intimato di non si spingersi sulla sponda ovest del fiume Eufrate, quella da dove si potrebbe fare sul serio il ricongiungimento tra i due cantoni già nelle mani dei curdi.
A Manbij i curdi si sentivano forti dell'appoggio di Washington, che negli ultimi mesi - non sapendo più che pesci prendere - anche nello scacchiere siriano aveva decisamente puntato su di loro. Ma si sbagliavano. Perché proprio dagli Stati Uniti in queste ore è arrivata l'ennesima giravolta: con Erdogan che adesso gioca di sponda con Mosca e Teheran, hanno deciso che è meglio tornare a tenersi buona la Turchia. Così marcoledì il vice-presidente Joe Biden è arrivato ad Ankara proprio mentre i caccia della coalizione a guida Usa sostenevano l'azione verso Jarablus. E con una discreta faccia tosta - dopo che gli Usa avevano sostenuto per settimane la campagna dei curdi per la conquista di Manbij - si è accodato all'ultimatum alle milizie dello Ypg. Adesso che avete sconfitto l'Isis lì - ha detto in sostanza - tornatevene indietro e lasciate il campo libero all'avanzata delle milizie filo-turche. E alla fine succederà esattamente così. A quel punto poi - mentre a Manbij i curdi hanno combattuto strada per strada - ora le bandiere dell'Isis magicamente scompariranno rapidamente da tutta l'area che arriva fino ad al Bab, a pochi chilometri da Aleppo. Come è successo a Jarablus «caduta» in poche ore.
E la Russia, l'Iran e Damasco, che fino all'altro giorno tuonavano sul fatto che le milizie anti Assad erano comunque tutte formate da terroristi con il sostegno di Ankara? Il vento è cambiato. Sì, a dire la verità mercoledì è comparso un comunicato del ministero degli esteri siriano in cui si denuncia la violazione da parte turca della sovranità territoriale e si protesta per il fatto che «l'Isis non può essere rimpiazzata da altri terroristi». Ma si è trattato di una nota attribuita a un'anonima fonte del dicastero: un po' troppo low profile per non far sospettare che si tratti di una reazione di bandiera. Aggiungiamoci poi che la settimana scorsa l'aviazione di Assad, ad Hassakeh, ha bombardato per tre giorni consecutivi le milizie dei curdi siriani, cosa mai successa dal 2011 a oggi. Aggiungiamoci che è impensabile oggi un sostegno aereo della coalizione Usa sui cieli a nord di Aleppo senza un'intesa con i russi. Aggiungiamoci che l'altra sera - proprio mentre tutti ormai sapevano che l'operazione Jarablus stava per cominciare - Vladimir Putin ha confermato che il 31 agosto sarà ad Antalyia per ricambiare la visita compiuta a inizio mese a San Pietroburgo da Erdogan (i due assisteranno assieme all'amichevole Turchia-Russia, con il calcio a suggellare il repentino disgelo politico). Aggiungiamoci anche che il premier turco Yildirim ha dichiarato pubblicamente che nella transizione siriana ora ci può essere un posto anche per Assad. E che un quotidiano saudita - per provare a rompere le uova nel paniere - in queste ore ha parlato anche di trattative segrete in corso tra Ankara e Damasco mediate dall’Iran (solo propaganda?). Ecco: considerato tutto questo, il comunicato dell'anonimo funzionario del ministero degli esteri di Damasco vi sembra ancora così significativo?
Se vi siete persi in tutti questi meandri e giravolte almeno una cosa dovrebbe essere comunque chiara: siamo al momento della real politik più estrema in Siria. Anche perché la mossa compiuta dalla Turchia è destinata ad andare a cambiare profondamente la situazione intorno ad Aleppo. Perché rimandare i curdi oltre l'Eufrate significa dare mano libera al Free Syrian Army in un'area molto vasta, con l'afflusso di nuovi uomini e mezzi. Una mossa del genere sarebbe del tutto incomprensibile senza un accordo tra Mosca, Damasco, Ankara e Washington anche su Aleppo. E infatti proprio ieri è avvenuto l’incontro tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e quello americano Kerry a Ginevra. Quindi: in superficie si uccide, si distrugge, si è intransigenti con il nemico; ma sottobanco si tratta, in nome delle alleanze variabili e degli equilibri regionali.
È il ritornello costante di questi cinque anni di follia combattuti sulla pelle della popolazione siriana. Gli unici per i quali non cambia mai nulla. Anche per questo i tre patriarchi di Antiochia - l'ortodosso Giovanni X, il melchita Gregorio III e il siro-ortodosso Ignazio Efrem II - hanno lanciato insieme un nuovo fortissimo appello per la fine dell'embargo alla Siria. «Anche se i principali obiettivi dell’imposizione delle sanzioni sono politiche - scrivono -, esse hanno colpito soprattutto la vita di tutto il popolo siriano, in particolare la parte più povera e la disponibilità del lavoro la cui capacità di sopperire ai loro bisogni quotidiani di base come il cibo e le cure mediche è fortemente ridotta» (leggi qui il testo completo). Tutto cambia in Siria, ma l'embargo rimane. L'estrema beffa per quelli che alla fine si ritrovano sempre e solo a soffrire e morire.