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VENEZUELA/ LA DENUNCIA

"La Tumba", il carcere dove Maduro uccide gli oppositori

In un Paese che vanta di avere una costituzione con principi democratici come il Venezuela, esiste il carcere “La Tumba”. Sembra il titolo di un film dell’orrore ma si tratta invece di un carcere di massima sicurezza, dove si pratica la tortura contro gli oppositori del regime “chavista”, secondo lo stile nazista. 

Esteri 27_07_2015
Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro

In pieno XXI secolo, in un Paese che vanta di avere una costituzione con principi democratici come il Venezuela, esiste il carcere “La Tumba”. Sembra il titolo di un film dell’orrore ma si tratta invece di un carcere di massima sicurezza, nel quale sussistono pratiche medievali di tortura per isolamento contro gli oppositori del regime “chavista”, secondo lo stile della Germania nazista. “La Tumba” si trova a Piazza Venezuela a Caracas, nella sede della polizia politica del Sebin (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional). Nessuno immagina che proprio nel cuore di Caracas, in una zona molto trafficata della capitale venezuelana, con tanti pedoni e tante macchine, 5 piani sottoterra, politici e studenti siano isolati per essere torturati psicologicamente.

Attualmente è la prigione di tre studenti: Gabriel Valles, Lorent Gomez Saleh e Juan De Sousa. Secondo le informazioni dell’organizzazione a difesa dei diritti umani “Foro Penal Venezolano”, il crimine di questi ragazzi è stato quello di scendere in piazza e manifestare pubblicamente la loro opinione contro il governo di Nicolas Maduro. Il castigo: tortura psicologica e anche fisica. Il carcere ha 7 celle di 3 metri x 2, senza bagni, completamente isolate dal mondo esterno. L’avvocato Tamara Suju Roa, membro del “Foro Penal Venezuelano”, ha descritto “La Tumba” in un articolo pubblicato nel settimanale La Razon: «non ci sono rumori, non ci sono finestre, non c’è luce né aria naturale. Si sente solo il rumore della metropolitana che passa sopra la testa. Le sette celle di due per tre metri sono poste una dietro l’altra, in modo che i detenuti non possano vedersi. Pavimento e muri bianchi, cancelli grigi, con una piccola apertura per la somministrazione del cibo. Letto bianco, tavolo di cemento bianco. I detenuti passano le 24 ore del giorno chiusi, vigilati da telecamere e microfoni. Possono uscire per andare in bagno soltanto suonando un campanello; molte volte aspettano ore e sono costretti a usare un contenitore previsto per le emergenze. Non ci sono colori, solo il bianco e il grigio. Non ci sono rumori, solo le loro voci, non c'è il sole, non c'è la luna, non c'è il tempo, non hanno un orologio, non hanno idea dell’ora, non sanno se è giorno o notte». 

Gabriel Valles e Lorent Gomez Saleh sono stati deportati il 4 settembre 2014 dalla Colombia per cospirazione e terrorismo contro il governo venezuelano; perché erano scesi in piazza nel febbraio 2014 (sono andati in Colombia subito dopo delle proteste con un visto di studio). È opportuno ricordare il rapporto di Amnesty International del 2014, che conferma la detenzione arbitraria di 3.351 persone durante le proteste avvenute in Venezuela tra il febbraio e il luglio 2014, che hanno causato oltre un centinaio di feriti e 43 morti. Ancora oggi il governo di Maduro non ha fatto luce in merito. Juan Miguel De Sousa, invece, si trova ne “La Tumba” a causa dei suoi Tweet (@EnYuKoTe). Poco si sa del suo caso e poco ne parla la stampa venezuelana, ma è accusato di cospirare contro Maduro. Sarebbe uno dei 9 venezuelani in carcere per aver scritto contro il governo su Twitter. Per il Venezuela, i social network –soprattutto Twitter- si erano trasformati nel principale canale di comunicazione e di denuncia, vista la censura e il controllo sui media tradizionali.

Parenti e avvocati dei prigionieri politici de “La Tumba” sono preoccupati per la loro salute. L’avvocato Suju afferma che i ragazzi hanno avuto diarrea, vomito, febbre e anche allucinazioni. «Sono impauriti e vengono costretti a prendere la medicina somministrata dal medico del Sebin» e aggiunge che «l’isolamento prolungato fa impazzire al prigioniero. Addirittura Gomez Saleh ha tentato il suicidio del carcere». L’isolamento si è dimostrato un ottimo metodo di tortura per spezzare il morale di un essere umano. Sperimentato in molte carceri, l'isolamento si rivela spesso un'ottima arma per ridurre all'impotenza gli individui, lasciandoli soli con loro stessi per periodi di tempo più o meno lunghi. Infatti, secondo gli avvocati di Saleh, lo studente di 22 anni ha ricevuto durante la notte visite di funzionari del Pubblico Ministero, che hanno tentato di convincerlo a fare dichiarazioni contro altri venezuelani per ricevere benefici; tuttavia il ragazzo è rimasto fermo nei suoi propositi e non ha firmato nulla.

Ma non c'è solo “La Tumba” in Venezuela; il governo di Nicolas Maduro utilizza tanti altri metodi ancora più violenti. Gerardo Carrero è stato imprigionato l’8 maggio 2014 durante una protesta di fronte alla sede dell’Onu. Il suo peccato è stato quello di accampare in piazza pacificamente per esigere la liberazione degli studenti incarcerati. La polizia politica è arrivata di notte, portando via 243 ragazzi. Carrero è stato condotto in un’altra prigione del Sebin, l’Helicoide. Un giorno Carrero ha tentato di fare uno sciopero della fame e ha ricevuto un castigo indimenticabile: è stato appeso a un cancello (con carta di giornale a proteggere i polsi in modo da evitare lividi) e ha ricevuto numerosi colpi sulle gambe con assi di legno. Il supplizio è andato avanti per 12 ore. Oggi Carrero è ancora nell’Helicoide, dopo essere stato ospite anche lui de “La Tumba” per qualche settimana. Minor fortuna hanno avuto Geraldine Moreno (23 anni) e Kluiver Roa (14 anni): tutte e due sono morti a causa di colpi di armi da fuoco sparati da funzionari della Guardia Nazionale durante le proteste (Moreno è morta nel 2014 e Kluiver Roa nel 2015). La situazione è diventata ancora più preoccupante con la risoluzione 8610 del Ministero della Difesa venezuelano, che da gennaio 2015 permette l’uso di armi mortali durante le manifestazioni. Oggi nessuno scende in piazza, i venezuelani hanno paura.

Il futuro del Venezuela appare buio e senza speranza: la criminalità è fuori controllo, l’inflazione ha superato il 100%, c’è mancanza di generi alimentari di prima necessità e di medicine, il crollo economico sembra inevitabile. Il paese, che in passato è stata la destinazione di tanti immigranti europei, soprattutto italiani, oggi vive un esodo massiccio mai visto prima nella sua storia. Tanti professionisti se ne vanno, scappando soprattutto dalla violenza; quelli che rimangono vengono ammazzati dalla delinquenza –prima causa di morte tra i giovani venezuelani- o rischiano torture, inclusa la morte, se tentano di opporsi al governo. Non è possibile nascondere tutti i casi di persecuzione, tortura e anche omicidi legati a motivazione politiche accaduti da quando è arrivato al governo Nicolas Maduro, denunciati da diverse organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani, tra le quali Amnesty. Non va dimenticato che in Venezuela ci sono oltre 2 milioni di italiani, tra cittadini e discendenti. Il silenzio ci rende complici.