La triplice vittoria di Angela Merkel
La strategia della sua rielezione nel 2013 passa dal silenzio su un passato imbarazzante e dall'eliminazione dei concorrenti cattolici.
Giunta ormai al capolinea del suo secondo mandato da cancelliera (nel 2013 ci saranno le elezioni federali), Angela Merkel può ben dire, insieme a chi ne ha condiviso e condizionato le scelte, di aver impresso un proprio pesante marchio sulla società e sulla politica tedesche (ed europee, di conseguenza).
Salita alla ribalta fuori dai confini del proprio Paese praticamente solo negli ultimi due anni, dall’esplodere della crisi finanziaria nella zona euro, fino a quel momento di lei, soprattutto in Italia, era stata coltivata l’immagine di una signora magari poco brillante e un po’ demodée, tuttavia scaltra e rappresentante di un elettorato che non ha paura a definirsi konservativ. Dopo otto anni di suo governo (non va dimenticata l’esperienza che ha preceduto l’attuale situazione, cioè la “grande coalizione” con la SPD) c’è da chiedersi quale Germania abbia partorito la prima donna cancelliera sopravvissuta al regime comunista tedesco orientale.
Tra i suoi critici più duri c’è Michale Klonovky, oggi editorialista di Focus ed ex muratore a Berlino Est. “La Repubblica Federale sta facendo sforzi non irrilevanti per diventare uno Stato à la DDR” scriveva in un pezzo al vetriolo del 2010, “esistono ancora persone e delatori della Stasi, ma non hanno più un’organizzazione centralizzata e non siedono più agli apparecchi d’intercettazione, piuttosto direttamente nei vari parlamenti (uno di loro vuole diventare perfino sindaco di Potsdam). Le direttive non arrivano più da Mosca, ma da Bruxelles.” La tesi di Klonovsky, sempre più oggetto di discussione in Germania, è che con la riunificazione del 1990 la Repubblica Federale abbia vinto (almeno temporaneamente) la partita economica, a scapito però di quella politica. Bandiera, se non mente di questo progetto: Angela Merkel. Famosa e diventata perfino refrain la sua espressione: “non c’è alternativa”.
Per citare ancora Klonovsky: “In Germania non esiste più alcun partito antisocialista, liberale e patriottico, dunque risulta facile per la cancelliera, come accadeva già una volta ai balivi della SED, poter dire che alla sua politica ‘non c'è alternativa’. I miliardi dati alle banche - erano senza alternativa. Il ‘progressivo approfondimento dell'integrazione europea’ (per il volgo: la sempre più forte sottomissione degli stati al più devastante centralismo nella storia del continente) - è senza alternativa. I miliardi per la Grecia - erano senza alternativa. Prossimamente forse ci sarà venduto come senza alternativa anche l'ingresso della Turchia in Europa”.
Certo è che da quando è alla guida della CDU la Merkel ha promosso un corso di progressiva socialdemocratizzazione del partito da togliere il fiato, un processo mai intrapreso da alcun suo predecessore. A livello di contenuti, l’Unione (CDU-CSU) ha assunto negli ultimi anni posizioni che per quanto riguarda temi come l’Europa, il clima, l’energia, la finanza, l’educazione e le politiche sociali concordano in buona misura con quelle del socialismo democratico. Le forze conservatrici presenti ai vertici dell’Unione sono state sempre più marginalizzate e rese insignificanti e la cancelliera si è circondata piuttosto di politici vicini alla sinistra liberal. Qualche nome: Norbert Roettgen, Annette Schawan, Ursula von der Leyen, Ronald Pofalla, Hermann Groehe, Peter Altmeier. Il corso a guida Merkel è stato caratterizzato negli anni dalla progressiva eliminazione dalla scena politica (attraverso veri o presunti scandali, denunce di corruzione, tesi di dottorato copiate, ecc.) di tutti i potenziali avversari alla cancelliera presenti nell’Unione. Prima Kohl, poi Stoiber, Koch, von Guttenberg. E guarda caso tra i registi di quelle operazioni (sempre sostenute da imponenti campagne mediatiche) ricorre frequente il nome del citato Altmeier (fu lui a sollecitare il ritiro di Helmut Kohl, a criticare duramente Roland Koch durante la campagna elettorale in Assia), che peraltro s’è distinto anche per un attacco al Vaticano, reo di essersi appellato contro i matrimoni omosessuali.
E la vicenda che ha portato di recente Christian Wulff alle dimissioni, al di là della responsabilità oggettiva dell’ex presidente della Repubblica, rientra pienamente in un sistema fatto di delazioni e ricatti politici: un sistema che, ripensando a Klonovsky, sembra assomigliare sempre più al modello DDR. Quasi tutti i commentatori (la totalità di quelli italiani) hanno visto nel caso Wulff una sconfitta per la Merkel. E altrettanto amaro avrebbe masticato la cancelliera accettando Joachim Gauck, il pastore luterano fiero resistente al regime comunista tedesco orientale, come futuro presidente. La realtà racconta invece che, al di là delle apparenze e dei giochi delle parti, per Angela Merkel con l’elezione di Gauck si prospetta una triplice vittoria, almeno sul piano interno: 1. l’uscita di scena dell’ennesimo cattolico, Wulff, che lei due anni fa aveva sostenuto solo per evitare che potesse diventare una sua seria alternativa nell’Unione; 2. la sua probabile ricandidatura e conferma come cancelliera nel 2013 alla guida di un nuova “grande coalizione” con la SPD (è il prezzo che i socialdemocratici dovranno pagare per il suo “via libera” al loro candidato alla presidenza della Repubblica); 3. infine, con Gauck (che, ricordiamo, è stato alla guida del centro di elaborazione dei documenti della Stasi) al vertice dello Stato, dunque non più antagonista politico, la Merkel potrà sentirsi al riparo dal possibile apparire di qualche suo scheletro risalente ai tempi della DDR. Insomma, davvero alla cancelliera “non c’è alternativa”?