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SICILIA

La trama di Mattarella per sostituire Renzi

Se le elezioni in Sicilia dovessero concludersi con una nuova sconfitta del Pd, c'è chi sta lavorando di già per una sinistra post-Renzi. Pare che lo stesso presidente Mattarella sia il promotore di questa trama. I cavalli sui cui punterà sono l'attuale premier Gentiloni e i ministri Franceschini, Minniti e forse anche Padoan e Calenda.

Politica 14_08_2017
Governo Gentiloni

Nell’ingarbugliata e caotica situazione politica, con l’ennesimo governo in carica figlio di manovre di palazzo e trasformismi e non di una chiara maggioranza emersa dalle urne, è comprensibile che al Quirinale siano molto preoccupati per gli scenari post-elettorali. Nella prossima primavera ci sarà quasi sicuramente l’election day, con il contestuale rinnovo dei due rami del Parlamento e di 5 consigli regionali (tra cui Lazio, Lombardia e Friuli), appuntamento destinato a incidere sui futuri assetti delle coalizioni, nonostante il sistema di voto proporzionale rischi seriamente di consegnarci un quadro ancora più frammentato di quello attuale.

Mattarella ha sventato con abilità tutti i tentativi renziani di questi mesi di provocare lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni anticipate. La legislatura, però, è comunque agli sgoccioli e le divisioni nel centrosinistra e nel centrodestra non sono il viatico migliore per la governabilità futura.

Dunque l’inquilino del Colle ha deciso da tempo di muoversi in modo autonomo e di stimolare il dialogo tra le forze moderate del Paese al fine di favorire le larghe intese nell’eventualità, assai probabile, di stallo e di mancanza di una maggioranza di centrosinistra o di centrodestra. L’ostacolo numero uno, però, lungo il sentiero verso il rassemblement centrodestra-centrosinistra, potrebbe paradossalmente essere rappresentato proprio da Matteo Renzi. 

L’ex premier, che aveva promesso agli italiani di ritirarsi dalla vita politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre ma si è rimangiato tutto e continua a tramare per un suo ritorno a Palazzo Chigi, non vuole schiodarsi dalla logica maggioritaria, cioè quella di fare il segretario di un partito del 25% che non vince le elezioni ma è comunque determinante per formare un governo di emergenza e di larghe intese. Se accettasse, infatti, di cambiare la legge elettorale e di introdurre il premio alla coalizione e non più al primo partito, avrebbe già la certezza di non poter diventare più premier, considerato che gli altri partiti di sinistra, per aggregarsi al Pd, chiederebbero subito la sua testa e invocherebbero la scelta di un altro candidato alla Presidenza del Consiglio.

Mattarella è consapevole del fatto che il segretario Pd è una figura ormai divisiva. Pertanto, ha deciso di portare avanti un suo disegno che parte dal rafforzamento dell’attuale premier. Gentiloni ha eccellenti rapporti con il Presidente della Repubblica ed è assai stimato da Berlusconi, Confalonieri e pezzi importanti del centrodestra. Sta dimostrando ottime doti di mediatore anche su base europea, un fare elegante e una certa discrezione nell’esposizione mediatica. Più di altri potrebbe assicurare stabilità e continuità in caso di “pareggio” elettorale tra le principali forze politiche, cioè di rapporti di forza simili a quelli usciti dalle urne nel febbraio 2013.

Ma nella “rete” che il Quirinale sta tessendo abilmente un altro personaggio assai ascoltato è l’attuale Ministro dei beni culturali, capo di una corrente molto influente dentro il Pd. A lui Mattarella ha affidato probabilmente il compito di sfiancare Renzi dentro il partito, al fine di indebolirne la leadership. Non è un caso che tra Dario Franceschini e Andrea Orlando, leader della minoranza interna, si stia saldando un asse che Renzi vede come fumo negli occhi. In caso di sconfitta del Pd alle elezioni siciliane del prossimo novembre, i due potrebbero porre sul tavolo l’esigenza di convocare un nuovo congresso per rivedere la linea politica, in particolare la questione del doppio incarico di segretario e candidato premier.

Alla finestra e assai stimato al Quirinale anche Enrico Letta, che non ha mai dimenticato il celebre “Enrico, stai sereno” e che è pronto a togliersi qualche sassolino dalla scarpa con Renzi non appena l’evoluzione della situazione politica gli consentirà di tornare sulla scena. Qualcuno addirittura ritiene che possa essere lui un buon candidato per il dopo-Renzi alla guida del Partito democratico. 

Da non trascurare anche l’ascesa di Marco Minniti, che si sta rivelando un buon ministro dell’Interno in un momento assai delicato dell’emergenza immigrazione. Il titolare del Viminale sta declinando con piglio decisionista il verbo del rigore e della disciplina, senza trascurare i profili umanitari dell’accoglienza, e tutto questo lo ha segnalato all’attenzione generale come un ministro capace. Minniti peraltro non sta facendo altro che applicare la frase pronunciata da Renzi qualche settimana fa (“Aiutiamoli a casa loro”) al fine di non lasciare a grillini e centrodestra lo scettro della difesa dei confini italiani dall’invasione dei profughi. Quando però Matteo si è reso conto che il ministro dell’Interno se la stava cavando egregiamente, ha tentato di mettergli i bastoni tra le ruote, facendo leva sui suoi buoni rapporti con Graziano Del Rio, costringendo quest’ultimo a mettersi di traverso sulla questione Ong. Così facendo, però, ha inasprito i rapporti tra Pd e governo, ricompattando il fronte dei vari ministri, che fa proprio riferimento al Quirinale. Anche Minniti, infatti, è vicinissimo a Sergio Mattarella, visto che nel 1998 fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio quando Mattarella era vicepremier e nel 2000 fu sottosegretario alla Difesa quando l’attuale Capo dello Stato era ministro.

Senza contare che anche altri ministri come Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda sembrano marciare uniti e non perdono anzi occasione per marcare le distanze da Renzi, rivendicando come successi dell’attuale governo i primi timidi segnali di ripresa economica. 

Ce n’è dunque abbastanza per concludere che al Quirinale si lavora già per la stabilità post-voto e in questa logica il renzismo appare come un serio ostacolo e non come una componente costruttiva. A Matteo Renzi converrebbe fin da ora dichiarare di essere pronto ad appoggiare governi sostenuti da Gentiloni, Franceschini o altri potenziali “risorse della Repubblica” provenienti dal suo partito. In caso contrario, il rischio per lui di andare a sbattere e di perdere in tempi brevi anche la segreteria del partito potrebbe risultare tutt’altro che remoto. L’ex sindaco di Firenze non può vincere da solo le prossime elezioni e non può guidare un governo di larghe intese. Può al massimo essere determinante per i futuri assetti, anche se i sondaggi più accreditati danno il Pd in Sicilia a un misero 10-12%. Tira dunque una brutta aria dalle parti del Nazareno.