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YARMOUK

La tragedia dei campi profughi palestinesi

A Yarmouk, campo profughi palestinese a Sud di Damasco, si rischia un massacro di proporzioni immani, una "nuova Srebrenica", come dichiara l'Unicef. Ma è solo la punta dell'iceberg del gigantesco problema dei campi di rifugiati dalla Palestina, sparsi in tutto il Medio Oriente e vere bombe ad orologeria.

Esteri 08_04_2015
In fuga da Yarmouk

Caos a Yarmouk, assediata contemporaneamente dai miliziani dell’Isis e dalle truppe regolari di Bashar al Assad. Si sta combattendo una duplice guerra. Hamas, che sostiene l'insurrezione contro Assad, regge da due anni l'assedio delle truppe regolari siriane (appoggiate anche dai comunisti palestinesi), ma adesso è arrivata la milizia dell'Isis, questa volta alleata con Al Nusrah. E combatte contro tutti: contro Hamas, contro i regolari e soprattutto contro i civili palestinesi che sono presi fra tre fuochi.

Il campo, che contava quasi 150mila abitanti all’inizio della Guerra Civile, adesso ne conta poco più che 18mila, di cui 3500 sono bambini secondo fonti dell’associazione Save the Children. Sono tagliati fuori dal resto della Siria, privi di qualunque servizio, comprese luce e acqua, non hanno più strutture sanitarie. Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, spiega che “esattamente il 7 aprile 2014 denunciai che da 187 giorni non si riuscivano a far entrare aiuti umanitari nel campo e che c'erano evidenze di gravi casi di malnutrizione acuta tra i bambini. Oggi, a distanza di un anno, verrebbe da chiedersi ‘dove eravate’? E' una situazione drammatica peggiorata dall'ingresso dell'Isis che non può essere sempre il pretesto per raccontare drammi che vengono da molto lontano, il campo è sotto assedio da più di 2 anni”. Nel corso degli ultimi combattimenti, circa 2000 profughi sono stati evacuati e trasferiti a Damasco. Ma per quelli che restano c’è il rischio di “una nuova Srebrenica”, come dichiara l’Unicef in una nota pubblicata ieri, con riferimento al massacro dei musulmani bosniaci del 1995 sotto gli occhi dei caschi blu dell’Onu.

Il campo di Yarmouk è uno dei 59 campi profughi palestinesi gestiti dall’Unrwa, l’agenzia Onu istituita appositamente per affrontare il problema dei profughi dalla Palestina, provocati dalle guerre arabo-israeliane dal 1948 ad oggi. La Siria, da sola, ospita sul suo territorio 12 campi profughi palestinesi. Yarmouk, istituito nel 1957 a Sud di Damasco, era il più popoloso con 148mila rifugiati. Le altre nazioni che ospitano campi profughi palestinesi sono il Libano (altri 12 campi, quasi mezzo milione di persone), la Giordania (10 campi, 2 milioni di persone), oltre alle due componenti della Palestina, cioè la Cisgiordania (19 campi, quasi 1 milione di persone) e Gaza (8 campi, più di 1 milione di persone). La situazione appare come un paradosso: anche a 67 anni dalla guerra da cui sono fuggiti, i palestinesi continuano ad essere profughi. E’ un caso veramente unico nella storia. Si spiega con la conservazione a oltranza del principio del “ritorno”: i paesi arabi, appellandosi alla Risoluzione 194 dell’Onu, ribadiscono il “diritto al ritorno” degli arabi palestinesi nelle loro terre, cioè nell’attuale Israele.

Ogni negoziato di pace è finora fallito nel momento in cui è stato discusso questo principio. Se i rifugiati tornassero in Israele, supererebbero demograficamente la sua stessa popolazione ebraica, ribaltando i rapporti di forze interne. Tutti i governi israeliani, sia di destra che di sinistra, rifiutano l’idea che il ritorno di quelli che, in origine, erano 600mila arabi di Palestina comporti il rientro nelle terre d’origine anche di tutti i loro discendenti e parenti. Israele, dal canto suo, ha assorbito gran parte degli 850mila profughi ebraici scacciati dai paesi arabi nello stesso periodo storico, dunque condanna la politica dei governi arabi che sfruttano i rifugiati a mo’ di “bomba demografica”.

Il paradosso più grande è quello dei circa 2 milioni di palestinesi profughi in casa, cioè quelli rifugiati nei campi della Cisgordania e Gaza. Rimarranno in questa condizione precaria finché non verrà riconosciuto loro il diritto al ritorno (nelle altre regioni israeliane). Anche un eventuale riconoscimento dello Stato palestinese non porrebbe fine al problema. Ogni proposta israeliana di realizzare il principio del rientro nel territorio del futuro Stato, infatti, è stato finora respinto dalla controparte. Questi campi profughi sono il maggior bacino di reclutamento di militanti, guerriglieri e anche terroristi suicidi.

Per quanto riguarda i profughi fuori dalla Palestina, mantenuti pressoché ghettizzati e privi di cittadinanza dei paesi che li ospitano, diventano un problema politico anche per gli stessi Stati arabi. Yarmouk, sotto assedio da due anni, è solo l’esempio più recente. Ma basta andare indietro di una quarantina d’anni per ritrovare il massacro del “settembre nero” del 1970, quando un fallito tentativo insurrezionale palestinese venne schiacciato militarmente dai giordani. Il numero delle vittime è ancora sconosciuto, secondo alcune stime arriva a 20mila morti. L’esodo di massa dei palestinesi verso il Libano, negli anni successivi, è stata una delle principali cause dello scoppio della Guerra Civile Libanese, nel 1975. Chiaramente non fu quella l’unica causa, ma l’arrivo di una massa palestinese, fortemente politicizzata e organizzata dall’Olp di Arafat compromise il delicato equilibrio fra cristiani, musulmani sciiti e musulmani sunniti, che aveva retto fino ai primi anni ’70.

Nello scenario odierno, i campi profughi sono ancora delle vere e proprie bombe ad orologeria. La Siria ha assistito ai combattimenti peggiori, nel momento in cui i palestinesi sono diventati parti in causa della guerra civile, schierati da entrambe le parti. I comunisti del Fronte Popolare (Fplp-Cg) combattono dalla parte di Assad, gli islamisti di Hamas combattono assieme all’Esercito Siriano Libero, mente Fatah mantiene una posizione neutrale. Entrambe le parti, sia Hamas che il Fronte Popolare, accusano il nemico di essere al servizio di Israele. A Yarmouk, dal 2013, non si combatte solo fra siriani e palestinesi, ma anche fra le due opposte fazioni palestinesi. L’arrivo dell’Isis complica ulteriormente lo scenario, perché è una terza parte nemica di entrambe.

Ma la Siria non è un caso unico: il Libano è sempre sull’orlo di una nuova guerra civile e i campi profughi sono anche qui parte in causa. Nella metà degli anni 2000 i campi di Nahr al Bared (vicino a Tripoli) e Ain al Hilweh, (vicino a Sidone), divennero basi di gruppi terroristi legati ad Al Qaeda, quali Jund al Sham e Fatah al Islam. Nel 2007, jihadisti tornati da un’esperienza di guerra in Afghanistan attaccarono l’esercito regolare libanese, provocando una piccola piccola guerra civile, durata da maggio a settembre. I morti dalle due parti furono più di 300, l’esercito regolare libanese riuscì a sedare l’insurrezione. La Guerra Civile Siriana rischia di far scoppiare un nuovo conflitto, perché i campi profughi si sono gonfiati di rifugiati dalla Siria e stanno diventando basi di partenza per volontari anti-Assad. Si può solo immaginare la difficile coesistenza, in uno spazio molto ridotto, con i miliziani sciiti Hezbollah, i più efficienti alleati di Assad. Uno scontro aperto non è ancora avvenuto, ma gli attentati e gli scontri a fuoco sono già numerosi e un conflitto civile è sempre latente.