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POLITICALLY CORRECT

La Svezia non ammette l'esistenza dei ghetti islamici

Il reportage dalla Svezia mandato in onda la scorsa settimana dal Tg2 ha scatenato prevedibili polemiche per aver evidenziato la drammatica situazione venutasi a creare in diverse aree urbane, dominate da un islamismo violento che ha dimostrato il fallimento del modello svedese di accoglienza e del multiculturalismo.

Esteri 30_05_2019
La protesta dell'ambasciata svedese per il servizio del Tg2

Il reportage dalla Svezia mandato in onda la scorsa settimana dal Tg2 ha scatenato prevedibili polemiche per aver evidenziato la drammatica situazione venutasi a creare in diverse aree urbane, dominate da un islamismo violento che ha dimostrato il fallimento del modello svedese di accoglienza e del multiculturalismo.

Complice il clima elettorale, il servizio giornalistico è stato giudicato dal “tribunale del politically correct” con attacchi condotti da diversi ambienti della Sinistra contro il Tg diretto da Gennaro Sangiuliano, reo di aver riportato il dato eclatante degli stupri, attribuiti per lo più a immigrati, di 60 aree urbane nelle quali non entra più neppure la polizia svedese ed è in vigore la sharia. Alle critiche nostrane si è aggiunta la protesta di Stoccolma, con una lettera dell’ambasciata svedese che attribuisce al reportage affermazioni errate.

“Non esistono no go zones in Svezia" sostiene la lettera. "Come nella maggior parte delle grandi città - prosegue il comunicato - esistono aree socialmente vulnerabili dove, al contrario di ciò che si afferma nel servizio, è stata rafforzatala la presenza della polizia negli ultimi anni. Queste aree sono una priorità assoluta per il governo svedese che ha stanziato considerevoli fondi per sovvenzionare progetti per favorire l'inserimento sociale in queste aree. Per esempio con attività rivolte ai bambini e ai giovani, investimenti nell'istruzione, maggiore sicurezza, aumento dell'occupazione. Desideriamo inoltre precisare - prosegue la nota - che in Svezia viene applicata la legge svedese in tutto il paese e la legge è uguale per tutti. Non esistono aree dove viene applicata la legge della sharia”. Il servizio parla anche del "più alto numero europeo di stupri". "La statistica - spiega Stoccolma - in questo caso dà un’immagine errata della situazione. Il malinteso nasce da tre fattori principali. In Svezia ogni atto di violenza sessuale viene registrato come una denuncia a sé stante. Una denuncia può contenere un gran numero di stupri, come per esempio chi denuncia di essere stato violentato più volte dalla stessa persona. Anche in questi casi la polizia deve registrare ogni atto di violenza come un singolo crimine. Un altro fattore che contribuisce al malinteso è la nuova legge sul consenso esplicito, entrata in vigore nel 2018 e che sancisce che il sesso se non è consensuale è illegale, quindi passibile di denuncia". Inoltre, aggiunge la nota, " la definizione giuridica svedese di cosa è considerato stupro è più ampia che nella maggior parte degli altri Paesi e le persone vengono incoraggiate a denunciare le violenze. Per questi motivi la frequenza delle denunce è molto alta e tante persone hanno il coraggio di denunciare le violenze, ritenendo lo stato intenzionato ad aiutarle e in grado di farlo".

Più che comprensibile che Stoccolma difenda le sue politiche di gestione dell’immigrazione islamica il cui fallimento però è da tempo sotto gli occhi di tutti, in Svezia come nel resto d’Europa. Fin dal 2009, dettagliati reportage dei più importanti giornali internazionali e italiani (inclusi quelli più “politicamente corretti”) hanno fotografato il degenerare della situazione in molte aree urbane.

"La questione riproposta sui social dall'ambasciata di Svezia era stata, di fatto, chiarita con un carteggio in cui avevamo esposto il nostro punto di vista" ha replicato Sangiuliano rispondendo punto per punto alle obiezioni fatte al Tg di cui è responsabile. Il servizio in questione, sottolinea, "è stato realizzato da una delle più puntuali inviate del Tg2 sul posto con interviste ad Imam, professori esperti di Islam e di terrorismo, il capo della Comunità ebraica, analisti geopolitici, rappresentanti di ogni parte politica, colleghi e gente comune. Abbiamo deciso di andare in Svezia all'indomani dell'accoltellamento di una donna ebrea, moglie del presidente di una delle comunità ebraiche svedesi, per mano di un estremista". "L'emergenza migrazione - fa notare Sangiuliano - è stata confermata ed è cavallo di battaglia di tutte le forze in campo. Tanto che la politica è stata costretta a fare un'inversione di rotta, prolungando fino a novembre stretti controlli alle frontiere". Che per alcune controversie venga utilizzata la sharia, aggiunge, "ci è stato confermato e abbiamo le testimonianze da islamici che vivono in Svezia da oltre 10 anni e che la hanno utilizzata loro stessi. Non si può negare l'evidenza raccontata da testimoni oculari". Quanto al temine no go zones, "proprio perchè controverso in Svezia, non è stato utilizzato ma, che esistano zone fisiche, dove la polizia non entra ci è stato confermato dagli abitanti dei quartieri, i primi ad essere preoccupati della situazione. Girando per queste zone non abbiamo mai incontrato la polizia". Purtroppo, sottolinea, "non abbiamo avuto tempo di inserire alcune denunce raccolte che ci raccontano di un sistema "molto critico", gestito dalle diverse etnie nei vari quartieri definiti vulnerabili". Sul numero degli stupri, "avendo la Svezia fatto la scelta di raccogliere sotto un'unica voce tutte le sfumature di violenza nei confronti delle donne, non si può chiedere ad un giornalista di fare la differenza. Quello che raccontano i reporter sul campo non sempre coincide con quello che i paesi credono o fingono di credere di loro stessi" ha concluso Sangiuliano.

Del resto il fenomeno delle gang islamiche che mettono a ferro e fuoco intere aree urbane svedesi e di altri paesi europei è stato fotografato dai rapporti Eurogang Program of Research, (un network di oltre 100 ricercatori europei e statunitensi) e dell’International Self-Report Delinquency illustrati nel gennaio 2018 da un articolo di Marco Leofrigio pubblicato da Analisi Difesa. Ma la smentita più autorevole al tentativo di Stoccolma di edulcorare la realtà è costituita dall’annuncio shock di Dan Eliasson, il capo della polizia nazionale svedese, che nel giugno 2017 rese noto che ”il numero delle no-go-area ha raggiunto un livello molto critico, sono salite da 55 a 61 in soli dodici mesi e rappresentano un attacco alla nostra società". Un’esternazione coraggiosa e diretta, poco gradita al governo svedese a cui Eliasson chiedeva aiuto. “In precedenza altri allarmi erano stati lanciati stavolta dal responsabile della Polizia di Frontiera, Patrik Engström che a più riprese ha parlato del problema gravissimo di oltre 12mila immigrati di cui si sono perse le tracce nel territorio svedese. L’aumento delle no-go-area è scandita, quasi settimana per settimana, da uno stillicidio di attentati incendiari contro le forze dell’ordine” scriveva Leofrigio un anno e mezzo or sono.

Non è un caso se alle ultime elezioni europee il giovane Partito Democratico svedese (euroscettico e ostile all’immigrazione islamica) sia balzato dal 5,7 al 15,4% e conquistando tre seggi all'Europarlamento e diventando il terzo partito nazionale.