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TOGHE ROSSE

La "superiorità morale" della sinistra è nel mirino

Il "caso De Luca" e non solo: si moltiplicano i rinvii a giudizio e le indagini che riguardano figure di spicco del Pd. Perché viene intaccato il mito della superiorità morale della sinistra? Perché fra il governo Renzi (che vuole la riforma della magistratura) e le toghe più oltranziste è ormai guerra.

Politica 14_11_2015
De Luca

C’era una volta il mito della superiorità morale della sinistra. Per decenni i comunisti e i post-comunisti hanno inalberato orgogliosamente il vessillo di una loro presunta incorruttibilità, contrapposta alla diffusa disonestà dei loro avversari. Oggi, il susseguirsi di inchieste, anche scottanti e imbarazzanti, a carico di esponenti di primo piano del Pd, sembra smontare quel teorema e finisce per mettere sullo stesso piano destra e sinistra in ordine alle responsabilità nella cattiva gestione della cosa pubblica.

Il nuovo “caso De Luca”, dai contorni ancora nebulosi, mette a nudo la trama di un possibile scambio clientelare tra una sentenza (favorevole al governatore  campano) e una nomina in ambito sanitario (spettante al marito del giudice Anna Scognamiglio, autrice del verdetto). Ad aggravare il quadro la circostanza che a fare da tramite nello scambio sarebbe stato Carmelo Mastursi, capo della segreteria di Vincenzo De Luca e segretario amministrativo del Pd. 

Ma questa inquietante vicenda, che rimane tale nonostante le smentite di rito da parte dei diretti interessati, è solo l’ultima in ordine di tempo tra quelle che coinvolgono politici di sinistra. La caduta di Ignazio Marino è stata determinata, non solo da una crisi politica, ma anche dall’apertura di un’inchiesta a carico dell’ex primo cittadino della capitale a proposito degli scontrini relativi alle spese da lui sostenute per cene e altre voci. Eppure Marino fino all’ultimo aveva rivendicato la sua estraneità a Mafia Capitale e la sua “diversità” rispetto a chi l’aveva preceduto. Le carte relative a quell’inchiesta hanno peraltro fatto emergere il coinvolgimento di molti esponenti del Pd romano e l’esistenza di accordi trasversali tra dem e nomi vicini all’ex sindaco Alemanno.

E’ del mese scorso anche lo scoppio di un’altra inchiesta per corruzione nell’ambito degli appalti Anas, che vede coinvolti nomi altisonanti del Pd, tra cui Luigi Meduri, l’ex sottosegretario alle infrastrutture del governo Prodi, arrestato per tangenti.

Ma anche il governo Renzi non è immune da ombre, viste le recenti dimissioni del sottosegretario ai beni culturali, Francesca Barracciu, rinviata a giudizio per le “spese pazze” in Regione Sardegna. Analoghe inchieste pendono sulla testa di altri tre sottosegretari, che per ora sono ancora al loro posto, in nome di un sacrosanto principio garantista che, tuttavia, dovrebbe assurgere a metodo universale e bipartisan, anziché essere invocato a fasi alterne, in base al colore politico dei soggetti coinvolti.

Alcuni settori minoritari della magistratura, probabilmente affascinati dal grillismo come movimento di rottura del quadro politico e di difesa delle prerogative e dell’indipendenza delle toghe, sembrano meno condizionati di un tempo dall’appartenenza politica di indagati e rinviati a giudizio. Tangentopoli appare ormai lontana anni luce. In quegli anni un’intera classe dirigente, quella del pentapartito, venne spazzata via dal pool di “Mani pulite”, che risparmiò quasi del tutto gli esponenti politici del vecchio Partito Comunista Italiano. Lo “strabismo” mostrato in quell’inchiesta dalla Procura di Milano ha peraltro trovato conferme a posteriori, con l’ingresso in politica di magistrati come Antonio Di Pietro e con le frequenti esternazioni in favore della sinistra da parte di alcune toghe protagoniste di quelle inchieste degli anni Novanta.

Oggi il clima è profondamente mutato. Il premier Matteo Renzi, pur essendo del Pd, ha inserito tra le priorità del suo governo le riforme nell’ambito della giustizia, che vengono viste come fumo negli occhi dalle frange più estremiste della magistratura. Le chiavi di lettura più dietrologiche accreditano due tesi. La prima ipotizza che queste toghe oltranziste, rivolgendo le loro “attenzioni” all’operato di alcuni esponenti dem, vogliano proprio lanciare messaggi in codice a Palazzo Chigi, affinchè desista dal tentativo di intervenire per legge sul loro status giuridico. La seconda attribuisce analoghe intenzioni bellicose al premier, che ritiene urgente un’azione, anche legislativa, di contenimento dei margini di manovra di certi giudici, spesso inclini ad entrare a gamba tesa nelle vicende politiche italiane, anche quelle del Pd.

Forse sono vere entrambe le congetture. Fatto sta che la presunta superiorità morale dei politici di sinistra sembra lasciare gradualmente spazio a un sano realismo. Giudicare situazioni uguali in modo uguale, senza più preconcetti e senza più forzature ideologiche, dovrebbe essere il dogma di una magistratura corretta e realmente indipendente in uno Stato di diritto fondato sull’equilibrata divisione dei poteri. Forse anche in Italia alcune toghe lo stanno imparando.