La squallida sceneggiata del Primo maggio
Il turpe episodio del cantante che alza il preservativo come l'ostia durante una funzione religiosa, è il segno di un degrado culturale che infanga la cultura del lavoro e offende i cattolici in ciò che hanno di più caro. Ma anche la Chiesa ha dimenticato ciò che ha sempre fatto in questi casi: la preghiera di riparazione.
Al di là dello squallore infinito che è insito nel gesto, la scena del cantante che, durante il concerto del Primo Maggio in piazza San Giovanni, a Roma, alza un condom come fosse un’ostia durante una funzione religiosa, suggerisce una serie di considerazioni di varia natura. Anzitutto balza all’occhio, di credenti e non credenti, lo svilimento del valore del lavoro, visto e considerato che, in una manifestazione concepita per sensibilizzare l’opinione pubblica su uno dei cardini del progresso civile e sociale del Paese, si finisca per commettere violazioni del buon costume e per usare in modo scriteriato uno spazio pubblico, peraltro ripreso e amplificato dalla Tv di Stato.
A onor del vero, il modello del concertone del Primo Maggio, come perfino il segretario della Cgil Susanna Camusso ha sottolineato, mostra le rughe. Probabilmente andrebbero individuate, fin da subito, altre forme di celebrazione del valore del lavoro, al riparo da strumentalizzazioni e deformazioni mortificanti come quella di due giorni fa.
Protagonista del gesto deplorevole del preservativo è stato Luca Romagnoli, leader del gruppo “Management del Dolore Post Operatorio”, che ha prima alzato al cielo un profilattico, come se fosse un’ostia durante la Santa Messa, pronunciando le parole «Questo è il modello che uso io, che toglie le malattie dal mondo, prendetene e usatene tutti, fate questo, sentite a me». Poi ha intonato la canzone “Porno bisogno”, si è scoperto la testa con la chierica rasata come San Francesco (forse per irridere il Sommo Pontefice), e infine, quando la Rai, durante la diretta, ha deciso di mandare in onda la pubblicità e non il resto dell’esibizione del gruppo, per protestare si è calato i pantaloni, rimanendo completamente nudo, prima di essere portato via di peso dal palco dal servizio d’ordine. Ora Romagnoli rischia una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
E’ vero, l’organizzatore del Primo Maggio si è dissociato dall’episodio (<Certi atteggiamenti stridono con i temi culturali, artistici e sociali che questo palco rappresenta. Sono uno schiaffo alla compostezza e alla passione che ci arriva da centinaia di migliaia di spettatori>), ma resta l’insulsa e blasfema volgarità che infanga il valore del lavoro, offende la pubblica decenza e ferisce profondamente il senso religioso di gran parte degli italiani.
Ogni anno il concertone del Primo Maggio diventa l’occasione per sconcezze, per attacchi ai valori della cultura nazionale, in specie quella cattolica, per prese di posizione ideologiche che nulla hanno a che fare con il quotidiano sacrificio di milioni di lavoratori e con il dramma di milioni di disoccupati e delle relative famiglie.
Una volta, per gesti come quello di Romagnoli, consumatosi davanti alla Cattedrale del Papa, la Chiesa avrebbe immediatamente organizzato una preghiera di riparazione, ma tale tradizione è quasi completamente evaporata col tempo. Eppure essa mette in luce un diverso approccio rispetto a un pubblico peccato: invece di indignarsi, si prega per riparare. Che è anche ciò che si fa in privato quando si confessano i propri peccati: penitenza e preghiera di riparazione.
Forse più della gravità del peccato è peggiore l'incapacità di pregare per riparare. E questo è, tristemente, un altro fosco segno dei tempi.
Il gesto della band di piazza San Giovanni si è tradotto in un insulto frontale a quanto di più caro hanno i cristiani, l’Eucarestia, che celebrano ogni giorno e che è il simbolo dell’amore di Dio per l’uomo e per la vita. Un atteggiamento esecrabile, la cui gravità si dilata a dismisura se inserito nel cocktail esplosivo tra piazza pubblica e proscenio mediatico. Una tv pubblica che, sia pur con le inevitabili sopraggiunte censure, manda in onda in diretta spettacoli che irridono la cultura del Paese e il patrimonio educativo degli italiani, è una tv che non merita di rappresentare le sensibilità, i principi di un sano pluralismo culturale, i valori della Costituzione italiana.
Immolare il valore del lavoro sull’altare di una celebrità da inseguire a tutti i costi, anche con il turpiloquio, la bestemmia e il furore iconoclasta, diventa un esercizio retorico sterile e dissacrante che minaccia dalle fondamenta il patto sociale intergenerazionale e crea ferite difficilmente rimarginabili alla coscienza collettiva, alla dignità dei singoli individui e alla fede professata da milioni di italiani. E’ lo specchio di un Paese che nella deriva morale e dei costumi fa fatica a ritrovare un approdo o almeno una scialuppa di salvataggio.
Quella che i laicisti spacciano per catarsi purificatoria e liberatoria è la cartina al tornasole di un nichilismo culturale che in certa televisione ha trovato l’humus ideale. Sarebbe un bel segnale di speranza e di ritrovata fiducia se qualcuno dei vertici Rai, sia pure a frittata fatta, denunciasse gli effetti devastanti che episodi come quello di due giorni fa, con il connesso utilizzo distorto della tv pubblica, possono produrre sulla collettività, in particolare sulle nuove generazioni.