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La figura

La spiritualità dell’amore, il carisma di san Vincenzo

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Il santo francese ardeva dal desiderio che anche il prossimo amasse Dio. Contemplativo e attivo insieme, era tutto orientato dalla carità: principio-guida pure quando si è di fronte a una scelta obbligata tra preghiera e aiuto ai poveri.

Ecclesia 27_09_2024

«La nostra vocazione è di andare ad infiammare il cuore degli uomini, a fare quello che fece il Figlio di Dio, Lui che venne a portare il fuoco nel mondo per infiammarlo dell’amor suo. Che possiamo noi desiderare, se non che arda e consumi tutto? È dunque vero che sono inviato non solo ad amare Dio, ma a farlo amare» (Conferenze ai Preti della Missione – Conferenza 207). Sono parole di san Vincenzo de’ Paoli (Pouy, 1581 – Parigi, 1660), di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Sono parole che ci indicano, forti, tutta l’esperienza di amore che il santo francese ha vissuto: e se si ama è necessario far conoscere il proprio amore a tutti. Coinvolgere e “infiammare” di questo immenso amore tutti coloro che incontriamo. Questa lezione di san Vincenzo de’ Paoli ci fa riflettere sulla spinta missionaria di ognuno e i suoi consigli, pur così  lontani nel tempo, sembrano risuonare con la stessa veemenza anche oggi.

La sua spiritualità è soprattutto una spiritualità d’amore, così si potrebbe definire.  Sempre nella stessa conferenza, il santo annotava: «Non mi basta amare Dio se anche il mio prossimo non lo ama. Devo amare il mio prossimo come immagine di Dio e oggetto dell’amor suo e far di tutto perché a loro volta gli uomini amino il loro Creatore che li riconosce e li considera come suoi fratelli, che li ha salvati; e procurare che, con mutua carità, si amino tra loro per amor di Dio, il quale li ha tanto amati da abbandonare per essi il proprio Figlio alla morte. È dunque questo il mio dovere». Il santo parla di «dovere»: è come se si trattasse di un imperativo interiore al quale non è possibile sottrarsi. In questo brano compare, poi, una parola-chiave per comprendere la sua visione spirituale: la parola è «carità». San Vincenzo guarda a quest’ultima come faro per l’intera sua missione.

I poveri e Cristo, i poveri e san Vincenzo de’ Paoli: associazioni che vengono spontanee alla mente. In una lettera il santo francese scriveva: «Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua Passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l'evangelizzatore dei poveri: “Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4, 18). Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli» (in Saint Vincent de Paul. Correspondance, Entretiens, Documents; Correspondance, publiée et annotée par Pierre Coste, prêtre de la Mission, Paris, ed. Cabalda, 1920-1922).

Chi accoglie un povero, accoglie Cristo. San Vincenzo non usa mezzi termini. Ed è più che chiaro anche in merito a un possibile “dissidio” tra orazione e azione verso i poveri. Scrive infatti: «Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell’orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa».

Per san Vincenzo de’ Paoli, dunque, la carità non è una semplice parola su carta, non è astrazione, ma un impegno che si sviluppa in azioni pragmatiche da compiere. È lui stesso a narrarlo in una conferenza, datata 13 febbraio 1646, rivolta alle Figlie della Carità, la compagnia di donne che è nata dalle confraternite delle Dame della Carità istituite a partire dal 1617 dallo stesso santo. San Vincenzo ci parla di un episodio avvenuto a Lione, «dove la Provvidenza mi aveva chiamato a fare il parroco»: una domenica, il santo, mentre si stava preparando per la Messa, venne chiamato da alcune persone perché a distanza di pochi chilometri si trovava una casa isolata dove tutti «erano ammalati». Sapendo della tragica situazione in cui si trovavano gli abitanti di quell’abitazione, oltre a denunciare l’increscioso fatto nella predica della Santa Messa, nel pomeriggio andò a casa di una «buona signorina della parrocchia per capire quali soccorsi fosse possibile portar loro». Dopo i Vespri, allora, volle andare a vedere personalmente questa famiglia: durante il cammino incontrò diverse donne che lo avevano già preceduto nella visita e altre che vi si stavano recando. Una volta arrivato a destinazione, il santo si trovò di fronte a un contesto familiare davvero sconvolgente: decise di ritornare in chiesa per andare a prendere il Santissimo Sacramento per benedire le persone che, a suo dire, erano le più bisognose, le più ammalate: «Quando li ebbi confessati e comunicati si trattava di vedere che cosa fare per soccorrerli nelle loro necessità». È assai interessante notare l’atteggiamento del santo di fronte a una simile situazione, a testimonianza proprio del suo senso pratico: «Proposi a tutte le buone persone che la carità aveva spinto a recarsi colà, a impegnarsi un giorno per una a far da mangiare ad essi, e non solo ad essi, ma a quanti in avvenire si fossero trovati in una simile necessità».

Il Santissimo Sacramento, la Confessione e l’organizzazione degli aiuti per i bisognosi: una sintesi perfetta di ciò che è la spiritualità di san Vincenzo de’ Paoli, uomo «gentile ed energico; attivo e contemplativo; intelligente ma non incline alla riflessione intellettuale; riservato e comunicativo; tradizionale e innovativo; critico e collaborativo con il potere; affettuoso e non sentimentale; ironico e serio; idealista ma con i piedi per terra» (Celestino Fernández, CM, Vicente de Paúl, un corazón sin medida, Madrid, ed. La Milagrosa, 2014).