La Spagna al voto, pende a sinistra ed è contro l'euro
Spagna: oggi si vota per rieleggere un parlamento uscito monco dalle elezioni del dicembre scorso. Lo scenario è ancora frammentato, il bipolarismo è morto, ma la tendenza è chiara: potrebbe emergere un governo di sinistra massimalista, formato da Socialisti e Podemos, anti-capitalista e anti-clericale.
Della Spagna si parla tanto, in questi giorni, soprattutto per la partita che la sua fortissima nazionale giocherà contro l’Italia, domani. Fa molta meno notizia il voto a cui parteciperanno gli spagnoli oggi, per rieleggere un Parlamento uscito monco e privo di governo nelle scorse elezioni del 20 dicembre. Se l’Ue è in crisi e questa crisi provoca sconvolgimenti politici, la Spagna è il paese che li riassume tutti: distruzione del tradizionale bipolarismo popolari-socialisti, crescita di partiti anti-sistema, anti-capitalismo nelle urne e nelle piazze, crescita dell’euroscetticismo e contrarietà alla valuta comune europea, separatismo territoriale.
I due partiti che, sin dalla fine del regime di Francisco Franco, si sono alternati alla guida del paese, Partito Popolare (Pp) e Partito Socialista Operaio (Psoe), sono ora entrambi in declino. Il Pp, sotto la guida di Mariano Rajoy, ha fronteggiato la crisi economica con drastici tagli alla spesa pubblica e liberalizzazioni. La sua ricetta ha funzionato in parte, nel senso che ha frenato il declino spagnolo e permesso la ripresa della crescita. In compenso, però, la disoccupazione, pur se in calo, è ancora la più estesa di tutta l’Europa occidentale. Il risultato è che il Pp è ancora il primo partito, i sondaggi dimostrano che lo sarà ancora domani, ma probabilmente senza la forza sufficiente a formare un governo. Gli ultimi rilievi parlano di un 29 o 30%, insufficiente a far da solo. Il Psoe è il vero disastro di queste elezioni. Seppellita definitivamente dalla crisi economica l’era Zapatero (che nel decennio scorso era diventato il simbolo della sinistra europea occidentale), la formazione socialista, guidata da Pedro Sanchez, è ora ai suoi minimi storici. Ha perso più di 15 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2011 e ora si ripromette di raggiungere un risultati attorno al 20%. Nel qual caso non sarebbe più la seconda, ma la terza forza politica della Spagna.
A rubare la scena ai socialisti è soprattutto Podemos, il partito nato dalle piazze degli Indignados, che nel 2011 contestarono banche, finanza e capitalismo, sul modello dei ragazzi di Occupy Wall Street negli Usa. E Podemos, il primo dei due nuovi partiti anti-sistema, si appresta a raggiungere il 25%, diventando forza di governo. Il suo leader Pablo Iglesias, sempre senza cravatta, capelli lunghi raccolti in un codino (che ormai è un simbolo), barba sfatta e toni da rivoluzionario, vorrebbe fare un’alleanza con il Psoe e guidare il prossimo esecutivo “per cambiare la Spagna”. L’ipotesi di una coalizione di sinistra è ancora remota, ma non impossibile. Sanchez esclude ogni possibile “grande coalizione” con il Pp, ma non è altrettanto deciso a opporre il suo rifiuto all’alleanza con la sinistra massimalista. Quindi ci si potrebbe preparare a un governo molto massimalista. Cosa potrebbe fare, in caso di vittoria? Il programma di Podemos dovrà essere smorzato, a causa dei “rapporti di forza” (come dichiara, in termini leninisti, il suo leader). Sicuramente dovrà accantonare l’idea di una uscita della Spagna dall’euro, anche se è una mossa fortemente voluta dall'elettorato spagnolo, ormai al 49% sfavorevole all'Ue. La sua idea è che la maggior parte dei problemi della società spagnola siano causati dalla presenza della valuta comune, una moneta nata con errori di costruzione che secondo lui “non furono casuali, ma rispondenti agli interessi di banche, grandi imprese e Germania”. Al suo posto, Iglesias chiede la creazione di una banca pubblica. Le altre proposte, un po’ più raggiungibili, sono tutte caratteristiche della sinistra massimalista: tassa patrimoniale, salario minimo garantito e limite massimo alle differenze salariali, abolizione delle riforme sul lavoro e del nuovo articolo 135 della Costituzione (pareggio di bilancio), riduzione d’orario a 35 ore, incentivi agli investimenti nella green economy, lotta a sprechi e corruzione, cogestione nelle imprese.
Sul fronte opposto si schiera Ciudadanos, partito liberale nato anch’esso da un movimento di piazza e del Web, lontano dai partiti tradizionali. Guidato da Albert Rivera, vuole riforme del sistema spagnolo che si avvicinano a quelle di Rajoy. Ma si contrappone al leader popolare, così come a quello socialista, perché si caratterizza come protesta contro la vecchia politica, gli scandali di corruzione e i vecchi metodi di palazzo. Da questo punto di vista, un voto a Ciudadanos (che si prevede prenda più del 10%) sarà un voto anti-sistemico in senso lato, perché non contribuirà alla formazione di alcuna coalizione.
Benché i sondaggi non siano mai affidabili, come dimostra il flop sulla Brexit di appena due giorni fa, i rapporti di forza attuali parrebbero suggerire un futuro di sinistra massimalista per la Spagna. Una coalizione Psoe-Podemos, con l’aggiunta del piccolo partito comunista Izquierda Unida (che si presenta nelle schede assieme a Podemos, sotto la sigla Unidos Podemos) è lo scenario più probabile. E sarebbe l’emblema della contestazione anti-capitalista, ai tempi della crisi. “Il capitalismo dà risposte insufficienti ai problemi delle persone”, è la premessa del programma di Iglesias. Il ché può anche essere concettualmente giusto (il capitalismo, in sé, non dà risposte), ma non chiarisce chi dovrebbe pagare. Chi paga l’assunzione a tempo indeterminato e con un orario di lavoro di 35 ore settimanali? Chi paga un settore, quale è la green economy, che si è rivelato improduttivo ed è una delle due cause (l’altra è la bolla immobiliare) della crisi economica spagnola? Sono domande che si stanno ponendo soprattutto i socialisti, tutt’altro che a loro agio all’idea di poter entrare, da forza minoritaria, in un esecutivo così spinto a sinistra.
Ma la crisi non è solo economica. E’, appunto, anche di identità. Una forza di sinistra, come Podemos, è contraria ad entrambi i pilastri della nazione spagnola: Chiesa e monarchia. La sindaco di Madrid, che viene dalle loro file, si è subito distinta per l’opposizione al tradizionale presepe. La linea politica di Podemos si potrebbe sposare benissimo con l’anticlericalismo radicale dei socialisti, dimostrato in lungo e in largo durante l’era Zapatero, con i suoi battesimi di Stato, il matrimonio gay, il divorzio breve, la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. Quanto alla monarchia, Podemos è l’unica forza politica nazionale favorevole alla secessione della Catalogna, che potrebbe diventare una repubblica indipendente. Agli antipodi rispetto a Ciudadanos, partito nato proprio in Catalogna contro la secessione. In questo caso, però, Iglesias si potrebbe scontrare con il Psoe e dovrebbe accantonare la sua posizione pro-catalana in caso di coalizione. Senza contare che si scontrerebbe con la Costituzione spagnola, con il re e con un esercito che minaccia reazioni violente (e che solo un trentennio fa ha tentato un golpe armato). Sul fronte anticlericale, invece, non si teme alcuna reazione, né armata, né civile, né culturale. Ormai le difese paiono completamente scomparse e il prossimo governo potrà laicizzare la Spagna fin dalle sue radici.