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La solidarietà a Ranucci sfora nel condono per i suoi errori

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Mobilitazione trasversale per il giornalista scampato a un vile attentato intimidatorio, con la richiesta di ritirare le denunce contro di lui. Proprio mentre il Garante della Privacy sta per irrogargli una sanzione. Ma il doveroso sostegno non va confuso con una sorta di salvacondotto. 

Attualità 23_10_2025
SARA MINELLI - IMAGOECONOMICA

Martedì a Roma c’è stata una grande manifestazione bipartisan in piazza, con la partecipazione di esponenti politici di tutti gli schieramenti, giornalisti, rappresentanti della società civile e comuni cittadini, tutti uniti nel testimoniare solidarietà a Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore della trasmissione Report, recentemente vittima di un vile attentato intimidatorio. L’episodio, ancora oggetto di indagini, ha visto ignoti danneggiare l’automobile del giornalista parcheggiata sotto casa, in un gesto che appare chiaramente mirato a colpire la sua attività professionale e a lanciare un segnale di minaccia.

La mobilitazione che ne è seguita è stata ampia, trasversale, sentita: sul palco, durante la manifestazione a sostegno di Ranucci, si sono alternati leader di partito come Elly Schlein, Giorgia Meloni (che ha inviato un messaggio di sostegno), Giuseppe Conte, Antonio Tajani, Matteo Renzi e Nicola Fratoianni, tutti accomunati da un messaggio netto e condiviso: nessun giornalista deve temere per la propria sicurezza a causa del proprio lavoro, nessuna inchiesta può giustificare minacce o intimidazioni. Tra i tanti interventi anche quelli di rappresentanti della Federazione Nazionale della Stampa, di Articolo 21 e di diverse redazioni, a testimonianza di quanto questo episodio abbia colpito nel profondo l’intera categoria.

Tuttavia, accanto alla doverosa e sacrosanta solidarietà a Ranucci, è necessario oggi compiere una riflessione più articolata, che tenga conto della complessità della figura del giornalista, del suo operato e della responsabilità che comporta fare giornalismo d’inchiesta. Solidarietà sì, ma non impunità. In molti ieri hanno rilanciato l’idea di un “condono” delle numerose querele che Ranucci ha accumulato nel corso degli anni. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha dichiarato: «Chiedo che vengano ritirate tutte le denunce contro Ranucci, chi fa inchieste come lui va protetto, non perseguito». A fargli eco anche esponenti del centrosinistra come Fratoianni e Bonelli, ma anche figure del centro come Carlo Calenda, che ha parlato di «azioni legali spesso pretestuose per zittire i giornalisti scomodi». Ma il nodo non può essere sciolto con uno slogan, e non è serio che la legittima indignazione per un atto intimidatorio si trasformi in uno scudo totale per un giornalista che, per quanto coraggioso e a tratti meritevole, ha più volte superato i confini della correttezza deontologica.

Alcune inchieste di Ranucci e del suo team sono state fondamentali per far emergere trame oscure, conflitti di interessi, malaffare politico e amministrativo. Nessuno lo mette in discussione. Ma in altri casi, come rilevato da diverse sentenze e provvedimenti disciplinari, il confine tra giornalismo d’inchiesta e violazione dei diritti della personalità è stato ampiamente oltrepassato. Non è raro che le trasmissioni di Report abbiano diffuso contenuti di dubbia provenienza, con tagli e montaggi spesso orientati, talvolta trascurando l’obbligo del contraddittorio o la verifica approfondita delle fonti. 

E ora si apprende che il Garante della Privacy starebbe per irrogare a Ranucci una sanzione per la diffusione, ritenuta illecita, dell’audio privato di una conversazione tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia, contenente elementi intimi e di provenienza non chiara, che nulla aggiungevano al valore informativo dell’inchiesta. In quel caso, la scelta di trasmettere l’audio pare sia stata dettata più dal sensazionalismo che da una reale esigenza giornalistica.

Pensare che, a fronte dell’attentato subito, ora si possano azzerare tutte le responsabilità passate sarebbe un errore clamoroso. Soprattutto sarebbe un messaggio diseducativo per il mondo dell’informazione e per i tanti giornalisti che ogni giorno, anche in condizioni difficili e senza la visibilità mediatica di un programma di punta, si sforzano di rispettare scrupolosamente la deontologia, il diritto alla privacy e l’equilibrio nell’esposizione dei fatti.

Chi fa giornalismo d’inchiesta sa di muoversi su un crinale pericoloso, ma proprio per questo dovrebbe sentire ancora di più la responsabilità di non scivolare nell’abuso. Le querele sono spesso strumenti di intimidazione, è vero, ma non tutte le denunce contro Ranucci possono essere liquidate come tali. Alcune nascono da errori oggettivi, da esposizioni parziali, da giudizi che sfociano nell’insulto, da ricostruzioni arbitrarie. In democrazia esistono strumenti per tutelarsi da chi fa cattiva informazione, e la magistratura è lì per stabilire se un diritto è stato violato o meno. Rinunciare in blocco a quelle azioni legali equivarrebbe a dire che Ranucci è al di sopra della legge, che i giornalisti “bravi” possono sbagliare senza conseguenze. E questo non è accettabile, né sul piano giuridico né su quello etico. La solidarietà è un valore sacrosanto, ma non può trasformarsi in immunità.

Il gesto contro Ranucci è grave, da condannare senza se e senza ma, e su questo non ci può essere ambiguità. Ma deve restare distinta la questione della libertà di stampa da quella della responsabilità professionale. Se oggi, sull’onda dell’emozione, si cancellassero tutte le contestazioni ricevute da Ranucci, si affermerebbe un principio profondamente ingiusto: che in nome dell’impegno giornalistico si possa calpestare la dignità altrui senza pagarne le conseguenze. La democrazia si fonda sulla libertà di critica, ma anche sul rispetto delle regole.

È proprio perché il giornalismo è una funzione pubblica fondamentale che non può essere esente da giudizi, sanzioni, obblighi. Dunque, massimo sostegno a Ranucci come uomo e come giornalista minacciato, ma nessun salvacondotto per gli eventuali errori del passato. Se vuole continuare, come è auspicabile, a portare avanti il suo lavoro d’inchiesta, dovrà farlo con ancora maggiore attenzione, consapevole che l’autorevolezza di un giornalista non si misura solo dal coraggio, ma anche dalla capacità di rispettare le regole del diritto e i principi della deontologia professionale.



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