La sofferenza, per i cristiani, non è stoicismo
Papa Francesco: il dolore non va vissuto con rassegnazione, né è giusto un atteggiamento di ribellione. «Gesù ci insegna a vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza».
Il 17 maggio 2014 Papa Francesco ha ricevuto in udienza cinquemila appartenenti ai Silenziosi Operai della Croce e al Centro Volontari della Sofferenza, realtà fondate dal beato Luigi Novarese (1914-1984), sacerdote di Casale Monferrato. A loro ha proposto una meditazione sui modi giusti e sbagliati di accostarsi alla sofferenza in una prospettiva cristiana.
Il Papa è partito dalla parola di Gesù «beati coloro che sono nel pianto». «Con questa parola profetica - ha detto - Gesù si riferisce a una condizione della vita terrena che non manca a nessuno. C’è chi piange perché non ha salute, chi piange perché è solo o incompreso… I motivi della sofferenza sono tanti». Attenzione, però: nel cristianesimo non c'è nessuna esaltazione stoica della sofferenza in quanto tale. Il Pontefice ha sottolineato che «dicendo "beati quelli che sono nel pianto", Gesù non intende dichiarare felice una condizione sfavorevole e gravosa della vita». In realtà «la sofferenza non è un valore in se stessa, ma una realtà che Gesù ci insegna a vivere con l’atteggiamento giusto». Perché esistono «modi giusti e modi sbagliati di vivere il dolore e la sofferenza». Un primo «atteggiamento sbagliato è quello di vivere il dolore in maniera passiva, lasciandosi andare con inerzia e rassegnandosi. Anche la reazione della ribellione e del rifiuto non è un atteggiamento giusto».
Ma qual è allora il modo giusto di vivere la sofferenza? «Gesù ci insegna a vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza, mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: e l’amore trasforma ogni cosa». Questo, ha detto il Papa, «ha insegnato il Beato Novarese, educando i malati e i disabili a valorizzare le loro sofferenze all’interno di un’azione apostolica portata avanti con fede e amore per gli altri». Il beato amava ripetere che «gli ammalati devono sentirsi gli autori del proprio apostolato». La Chiesa, ha affermato Papa Francesco, ha accolto questo insegnamento del beato Novarese, chiamando i malati a partecipare all'evangelizzazione. «Una persona ammalata, disabile, può diventare sostegno e luce per altri sofferenti, trasformando così l’ambiente in cui vive. Con questo carisma voi siete un dono per la Chiesa. Le vostre sofferenze, come le piaghe di Gesù, da una parte sono scandalo per la fede, ma dall’altra sono verifica della fede, segno che Dio è Amore, è fedele, è misericordioso, è consolatore». Il beato sapeva, ha concluso il Papa, che l'ammalato poteva percorrere questo itinerario solo affidandosi alla Madonna: «Lei sa, lei conosce le sofferenze e ci aiuta sempre nei momenti più difficili».