La Slovenia festeggia 20 anni d'indipendenza
La fine del centralismo iugoslavo, le prime riforme, la guerra e la rinascita. Grazie ancora una volta al ruolo eminente della Chiesa cattolica.
Il 25 giugno la Slovenia ha festeggiato il ventesimo anniversario della propria indipendenza, proclamata nel 1991. La nostra nazione fa questo passo assieme a un'altra compagna dell'avventura iugoslava, la Croazia.
Questo è dunque da considerarsi il giorno d'inizio di un cammino nuovo. L'esperienza di non dipendere più da nessun padrone, tranne che da Dio, è una cosa praticamente mai prima sperimentata dal nostro popolo, se non in maniera più o meno parziale (il periodo della Carantania alla fine del primo millennio), ma è anche la fine di un lungo processo di emencipazione che ha coinciso con la caduta del comunismo nell'Est europeo. La crisi iugoslava, crisi non soltanto economica ma anche culturale, non è del resto scaturita dal nulla e può essere considerata una conseguenza abbastanza logica di alcuni fatti.
La costituzione iugoslava del 1974 rappresenta il primo passo verso la svolta decisiva. Con il varo di questo nuovo documento si conclude infatti un periodo caratterizato da un clima di paura e di tensione, nel quale era facile finire in galera o in un campo di lavoro per ragioni ideologiche (molti sacerdoti cattolici hanno "contribuito" alla realizzazione di parecchie opere edilizie...).
Ma da quel momento comincia a reregna una certa libertà, o almeno si perseguita meno la gente e persino la Chiesa. Cominciano a formarsi così dei movimenti politici di stampo democratico.
Quella nuova costituzione contiene comunque anche un'altra, forse l'ultima, trovata del vecchio maresciallo Josip Broz detto Tito: l'istituzione di due provincie autonome all'interno della Serbia, il Kosovo e la Vojvodina. Secondo Tito, infatti, «una Serbia debole equivale a una Iugoslavia forte». Ma a quel punto il presidente Tito ha già 82 anni e l'età si fa sentire sempre di più.
Nel maggio del 1980 Tito muore infatti a Lubiana. Con lui sparisce uno dei tre pilastri portanti della repubblica comunista (gli altri due sono il Partito Comunista e la JNA, l'ESercito popolare iugoslavo) e il sistema comincia a sgretolarsi giacché la morte del despota porta a galla diversi problemi mentre lo Stato sprofonda sempre più nella crisi economica. Questa fornisce peraltro un'una giustificazione dell pretese accampate soprattutto dai serbi, tra cui l'indivisibilità centralistica dello Stato. Nello stesso anno, Alojzij Sustar diventa arcivescovo di Lubiana e metropolita sloveno. Questo professore di teologia morale rientra dall'esilio in Svizzera e varca la Cortina di ferro portando come bagaglio anche un po' di spirito libero e democratico.
Gli statlisti accusano però la Costituzione del 1974 di avere trasformato il Paese in una confederazione, causa sarebbe, secondo loro, della crisi economica. I popoli cominciano così a incolparsi a vicenda: le repubblice del nord, più sviluppate (soprattutto la Slovenia, ma anche la Croazia), addossano la colpa a quelle meno sviluppate del sud e viceversa.
La questione nazionale ora cresce, benché le tensioni etniche siano sempre esistite, soprattutto tra serbi e croati. Nella primavera del 1981 scoppia la protesta in Kosovo, dove la maggioranza albanese pretende che la regione autonoma diventi la settima repubblica iugoslava. Queste pretese rafforzano ancor di più il nazionalismo serbo giacché per i serbi questa regione rappresenta la culla dell'identità nazionale. Epperò, come dice proprio un vecchio proverbio serbo, il pascolo appartiene a colui di cui sono le pecore.
Nel 1986 l'Accademia serba della scienza e delle arti pubblica in parte un memorandum con cui gli intelletuali accusano di nuovo la Costituzione del 1974 di aver inflitto grave danno al popolo serbo con l'istituzione delle due regioni autonome della Vojvodina e del Kosovo, e che dunque occorrerebbe adattare i confini della repubblica serba a quelli etnici. Slobodan Milosevic, che proprio nello stesso anno diventa capo del Partito comunista serbo, avrebbe poi messo in atto questo memorandum con le conseguenze tragice che si conoscono.
Intanto queste pretese unitaristiche e centralistiche - supportate anche dall'Esercito iugoslavo - come pure il nazionalismo serbo trovano eco nelle pretese slovene di diventare una nazione indipendente. Nell'inizio di febbraio del 1987 esce il famoso numero 57 della Nova revija ("Nuova rivista") dove degli intellettuali sloveni firmano sul programma nazionale (tra gli altri: Jože Pu?nik, France Bu?ar, Dimitrij Rupel, Drago Jan?ar…). Quasi tutti gli articoli parlano di come il popolo sloveno deve trasformarsi in nazione e quindi fondare un Paese indipendente.
Il programma nazionale non trova però appoggio presso il Partito comunista sloveno, capitanato allora da Milan Kucan, poi primo presidente del nuovo Stato. Come a Danzica in Polonia nel 1980 così anche a Lubiana scoppia uno sciopero nella fabbrica di macchinari Litostroj che scuote la vita sociale slovena. Gli scioperanti, guidati da France Tomsic, sono scontenti del sistema socialista e chiedono l'istituzione di sindacati indipendenti, come l'Unione socialdemocratica poi divenuta partito.
Un anno importantissimo è il 1988. Criticando le due Costituzioni - quella slovena e quella federale iugoslava - il Circolo degli scrittori sloveni (Drustvo slovenskih pisateljev) e il Circolo sociologico sloveno stendono l'abozzo di una nuova Costituzione slovena. in maggio viene istituita l'Unione agricola slovena, poi anch'essa erettasi in partito. Nello stesso mese l'Esercito iugoslavo arresta il giornalista di Mladina ("Gioventù") Janez Jansa (premier sloveno negli anni 2004-2008) e con lui altri tre uomini.
Il processo innesca la cosiddetta primavera slovena. In appoggio ai quattro arrestati viene istituito il Comitato per la protezione dei diritti civili che il 21 giugno organizza un raduno di massa sulla Kongresni trg (Piazza del Congresso), dove le forze democratiche comprendono di avere dalla prorpia parte la maggioranza del popolo.
I vertici sloveni tentano di salvare il salvabile, rittoccando la Costituzione federale, ma oramai è tardi.
Già nel 1989 vengono istituite nuove unioni politiche (non ancora chiamate partiti perché la cosa sarebbe stata illegale) come l'Unione democratica slovena, l'Unione socialdemocratica slovena, i Democrati cristiani sloveni, e così via.
I nuovi partiti e il citato Circolo degli scrittori sloveni scrivono la Majniška deklaracija ("Dichiarazione di maggio") che ricorda la dichiarazione letta al aprlamento di Vienna da deputati sloveni, croati e serbi nel 1917 con la differenza che allora si domandava la costituzionre di uno Stato iugoslavo entro nei confini dell'impero austro-ungarico e invece stavolta si mira a uno Stato sovrano sloveno. La nuova dichiarazione viene letta dal poeta Tone Pavcek durante un raduno di massa nel Kongresni trg, l'8 maggio. Le autorità vietano il raduno, ma non riescono a fermare la folla.
Intanto in Polonia si svolgono le prime elezioni democratiche dentro il blocco comunista che prannunciano una nuova era democratica in tutti i Paesi comunisti. Essendo sempre più forte la pressione di Milosevic, i comunisti sloveni si trovano costretti a cercare un compromesso con l'opposizione democratica.
Il Partito comunista ritocca la Costituzione slovena permettendo l'istituzione di una democrazia parlamentare. Le unioni diventano finalmente partiti e formano subito la coalizione detta Demos che stravince le prime elezioni democratiche solovene nella primavera del 1990. Presidente del Consiglio dei ministri diventa Lojze Peterle. Alle elezioni presidenziali vince Milan Kucan.
Il 23 dicembre si vota dunque per l'indipendenza. L'88,2% dei 93,2% votanti è a favore. Sei sono i mesi di tempo a disposizione per mettere in pratica la volontà del popolo. Intanto la Slovenia comincia a costituire un'esercito proprio, rifiutandosi di mandare i propri ragazzi nell'Esercito popolare iugoslavo. Cominciano però a questo punto le prime tensioni tra i due eserciti.
Il parlamento sloveno dichiara unilaterlamente l'indipendenza e assume il controllo dei confini mentre i vertici politici iugoslavi ricusano il gesto. Il consiglio federale iugoslavo, guidato dal croato proiugoslavo Ante Markovic, ordina l'attacco militare. I primi scontri tra la Difesa territoriale slovena e l'Esercito popolare iugoslavo iniziano la mattina del 27 giugno.
L'esercito e la polizia sloveni fermano parecchie unità corazzate iugoslave, riconquistano i valichi con gli altri Stati e bloccano nelle caserme l'Esercito iugoslavo. L'azione militare si conclude il 3 luglio 1991. L'Armata sconfitta si ritira nelle caserme.
Su pressione dell'Unione Europea le parti s'incontrano a Brioni. Il 7 luglio sottoscrovono un accordo che il parlamento sloveno conferma il 10 successivo. Il processo d'indipendenza viene congelato per tre mesi, ma solo de iure: de facto s'intensifica.
Giungono a questo punto i primi riconoscimenti di Stati europei: prima la Santa sede il 13 gennaio 1992 (quando riconosce assieme la Slovenia e la Croazia), poi la Germania il 15. Di ciò va reso merito all'arcivescovo Sustar, al beato Giovanni Paolo II, al dott. Joze Pucnik e ad altre personalità. Sicuramente nel processo d'indipendenza la Chiesa slovena ha giocato un ruolo di prim'ordine.