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SCENARI

La Siria vicina al punto di non ritorno

Washington e Parigi bocciano il piano di Mosca che nette sullo stesso piano governo e rivoltosi. Perché si prepara un intervento militare occdientale?

Attualità 21_12_2011
Siria

 

Bizantini giochi diplomatici, iniziative tese a guadagnare tempo e fughe in avanti per anticipare le azioni degli avversari. La crisi siriana con i suoi crescenti sviluppi internazionali riassume tutti i molteplici interessi in gioco nella cosiddetta “primavera araba”.

Una rivoluzione che se in Egitto appare già un “inverno” e in Libia sta sprofondando nell’anarchia, in Siria stenta ad affermarsi rischiando soprattutto di degenerare in guerra civile. Le vicende militari lo testimoniano senza ombra di dubbio soprattutto se si presta fede ai dati forniti dalle Nazioni Unite e dal regime. L’Onu riferisce  di 5mila morti dall’inizio della rivolta contro Bashar Assad mentre per Damasco tra le vittime vi sono anche 1.100 soldati e poliziotti uccisi dall’armata ribelle costituitasi in Turchia con il nome di esercito libero siriano e che gode del supporto militare di Ankara e di alcuni Paesi europei (Gran Bretagna e Francia) e arabi (Giordania, Qatar ed Emirati Arabi Uniti).

Un’alleanza appoggiata dagli Stati Uniti che non ha ancora assunto iniziative militari dirette anche se la Turchia vorrebbe che l’Onu o almeno la Lega Araba approvassero la costituzione di “corridoi umanitari”  o di un’area interdetta alle truppe di Damasco lungo il confine tra i due Paesi e a nord di Homs, la città in mano ai ribelli assediata dalle truppe lealiste. La smania di Ankara di imporsi come potenza regionale anche con l’uso delle armi è finora cozzata contro la consapevolezza che,  a differenza di quanto accaduto nel conflitto libico, Russia e Cina porrebbero il veto a una risoluzione che autorizzi interventi internazionali in Siria mentre una legittimità offerta solo dalla Lega Araba potrebbe risultare troppo limitata. Intorno a queste considerazioni si sono sviluppate le importanti iniziative diplomatiche degli ultimi giorni. Innanzitutto la proposta di Mosca, l’alleato di ferro di Damasco che ha presentato al Consiglio di sicurezza una bozza di risoluzione che condanna le violenze in Siria compiute “da entrambe le parti”. Una definizione giustificata dalle crescenti operazioni militare condotte dai ribelli che ha conseguito il duplice obiettivo di togliere i russi dall’angolo, cioè dalla scomoda posizione di sostenitori acritici del regime siriano, e di far apparire il conflitto una guerra civile e non solo una violenta repressione di moti pacifici.

Washington e Parigi hanno rifiutato di mettere sullo stesso piano il governo e “la resistenza del popolo siriano” come ha detto il portavoce del ministero degli Esteri francese, Bernard Valero. Occidentali e arabi ritengono che Mosca voglia far guadagnare tempo ad Assad con il quale avrebbero concordato di mostrare disponibilità alla comunità internazionale specie dopo che l'Assemblea generale dell'Onu ha votato una risoluzione di condanna agli abusi dei diritti umani in Siria  passata con 133 voti a favore, 11 contro e 43 astensioni.

Per questo il regime ha accettato la richiesta della Lega Araba di inviare osservatori in Siria pe monitorare la situazione sul campo chiedendo a Damasco di liberare i prigionieri politici e ritirare le truppe dalle città in rivolta. Il viceministro degli Esteri siriano, Faisal al-Maqdad, ha firmato il protocollo sottoposto dal segretario generale della Lega Araba, Nabil al-Arabi e il primo team di 12 osservatori raggiungerà Damasco giovedì. I russi hanno approvato la decisione di Damasco anche se Assad ha più volte ribadito che la presenza degli osservatori non limiterà la sovranità siriana sul proprio territorio. Durissima invece la reazione del Consiglio Nazionale Siriano, cioè l’organismo con sede in Turchia che rappresenta gli insorti. Il presidente  Burhan Ghalioun ha liquidato la firma del protocollo come uno "stratagemma" del regime per sottrarsi alle sanzioni ed “evitare che la questione siriana sia sottoposta al Consiglio di sicurezza dell'Onu".

La missione degli osservatori durerà un mese e potrà essere rinnovata mentre i team saranno composti da esperti giuridici, amministrativi e della sicurezza che potranno spostarsi liberamente nel Paese per redigere  un rapporto. L’apertura di Damasco sembra quindi puntare a guadagnare tempo, esigenza prioritaria anche per mantenere il forte sostegno popolare di cui sembra ancora godere il regime ora che l’embargo economico rischia di mettere Assad con le spalle al muro, con imminenti difficoltà a pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Gli sviluppi diplomatici difficilmente potranno però modificare gli schieramenti in questo confronto che vede Russia, Cina, Iran e Iraq (guidato da un governo sciita) sostenere il regime siriano mentre Occidente e Lega Araba intendono farlo cadere.

Assad sembra esserne consapevole e si prepara alla battaglia finale che potrebbe scoppiare al termine della missione degli osservatori della Lega Araba. Minati i confini con Turchia, Libano e Giordania, che sono già presidiati da ingenti forze militari come in attesa di un attacco esterno la cui percezione è stata rafforzata dalla notizia che almeno una brigata di truppe statunitensi in fase di ritiro dall’Iraq sono state trasferite in Giordania, a pochi chilometri dal confine siriano.  Sul fronte interno Assad ha poi inasprito le pene, da 15 anni di carcere alla morte, «per chiunque fornisca armi o aiuti a procurare armi utili a compiere atti terroristici all'interno del Paese». Vale la pena ricordare che il regime definisce le rivolte in atto da metà marzo «atti compiuti da gruppi terroristici finanziati da Paesi arabi e occidentali per destabilizzare la Siria».