La scommessa di Pascal è sempre troppo rischiosa
Si discute di eutanasia, sempre presentata come il diritto alla scelta di porre fine alla sofferenza. Ma non si parla mai della vera posta in gioco: la vita oltre la morte. La Chiesa li chiama da sempre i Novissimi: morte, giudizio, Paradiso e Inferno. Non ricordarlo, quando si parla di eutanasia, non è affatto misericordioso.
Mentre in Parlamento si sta per discutere di testamenti biologici, sui media arrivano le notizie dell’italiano che, malato di Sla, ha chiesto di andarsene tramite sedazione profonda. Quando diceva lui, cioè. A ruota, fa il giro del mondo l’immagine web dei due coniugi inglesi che si accomiatano dal mondo mano nella mano in un letto d’ospedale. Julie e Mike, che il cancro si è portati via a distanza di una settimana esatta l’uno dall’altro. La prima cosa che la foto sembra suggerire, eccola: sarebbe stato bello se avessero potuto andarsene nella stesso giorno, possibilmente il 14 febbraio, giorno di San Valentino e Festa degli Innamorati. Ma lei se ne è andata sette giorni prima, peccato: non è riuscita ad aspettare il marito.
Ora, certo, tutto questo è molto commovente e solo un fanatico integralista senza cuore potrebbe ricamarci sopra. La morte è il momento più importante di tutta la vita e uno dovrebbe avere il diritto di presiedere la propria come gli pare. Il guaio è che non è così, e non c’è niente da fare. Sono rari quelli che possono decidere quando e se (suicidi volontari a parte), gli altri defungono non quando vogliono loro, ma quando lo dice il Fato. Il quale ha il brutto vizio di portarsi via soprattutto gente che non vuole affatto morire; anzi, che a morire non ci pensava proprio. Si pensi, tanto per fare un unico esempio, alle vittime della strada. La verità è che nessuno di noi vuole morire. Già questo, di per sé, basta al credente come prova: non siamo fatti per la morte, sennò non faremmo tante storie quando ci tocca. Il credente, infatti, sa che quando si nasce è per sempre, perché le vite sono due, e la seconda, essendo eterna, è quella che davvero conta.
Ora, in democrazia contano le maggioranze, perciò il punto di vista del credente non può essere disprezzato dall’opinione di una risicata minoranza. Si dà il caso che la religione più diffusa al mondo sia quella cristiana, e il cristianesimo dà un’importanza enorme alla morte, definendolo l’atto supremo. Non a caso ha come suo emblema un Dio morto ammazzato. Anche se nessun prete osa più mettersi contro la minoranza di cui si è detto, il catechismo rubrica sotto la voce «Novissimi» (chissà perché) i seguenti concetti: Morte, Giudizio, Paradiso, Inferno. In questo ordine.
La minoranza dice, con ragionamento liberale (dunque, ideologico): e se uno non ci crede? Non fa una grinza. Noi non sappiamo con esattezza che cosa ci sia nell’Altro Lato, ma nessuna religione, nessuna, prevede un apposito Settore Non Credenti nel quale far confluire chi ha opinioni diverse. Detto fuor dai denti: io posso anche non credere nell’esistenza del muro contro il quale mi sto lanciando; col solo risultato di schiantarmi. Il credente sa, certo, che nelle sfere superne regna anche un atteggiamento chiamato Misericordia, e l’attuale pontefice ci si sta giocando la faccia da quando è stato eletto. Ma qualcuno deve pur dire che non è affatto misericordioso non informare la gente che le cose potrebbero non stare come sogna. Che è un rischio troppo grave fare il «grande salto» alla cieca. Infatti, le opzioni sono solo due, e si ha il cinquanta per cento di probabilità che abbia ragione il credente. Cinquanta. Troppo. E’ la scommessa di Pascal. Meriterebbe un dibattito totale, che l’ideologia soggettivista liberale non può pretendere di dominare.