La scienza totalitaria, caratteristica del nostro tempo
Metodo efficiente, contenuto assurdo: così Hannah Arendt ha sintetizzato la scientificità ideologica che sta a fondamento dei moderni totalitarismi. È il binomio perfetto - che si esprime attraverso "predizioni infallibili" (e non verificabili) - per spingere le masse verso direzioni impensabili.
Nell’ultimo articolo abbiamo cercato di mostrare come sia andato a costituirsi il sistema chiuso della tecno-scienza, considerata ormai l’unica dimensione “vera” della conoscenza, l’unico linguaggio universalmente accettabile, e soprattutto l’unica narrazione capace di portare all’unanimità dei consensi, condizione indispensabile per l’assoggettamento delle volontà all’ineluttabile e ineffabile verità oggettiva.
Non sorprende dunque che i totalitarismi del XX secolo abbiano trovato in questo sistema tecno-scientifico l’indispensabile alleato, fino ad arrivare a quella che Hannah Arendt ha identificato come una vera e propria ossessione per le prove scientifiche (cf. Le origini del totalitarismo, 2009, p. 477). Un’ossessione che è ovviamente funzionale al potere e che, pertanto, non si fa troppi scrupoli ad eliminare gli scienziati che avevano tirato la volata dell’ascesa di questo potere. Saturno divora i suoi figli.
La Arendt faceva un’analisi dei movimenti totalitari del Novecento e non aveva previsto quello che oggi è realtà, ossia, come stiamo cercando di spiegare in questa serie di articoli, che la tecno-scienza, con la sua matematizzazione della realtà, è divenuta non un mero strumento, bensì la visione del nuovo totalitarismo. Ma certamente la filosofa tedesca aveva saputo cogliere ed esprimere quell’aspetto che rende il carattere scientifico della propaganda così irresistibile e così inattaccabile: «La propaganda totalitaria ha perfezionato la tecnica, propria della scientificità ideologica, di dare alle proprie affermazioni la forma di predizioni, portando al massimo l’efficienza del metodo e l’assurdità del contenuto, perché dal punto di vista demagogico non c’è un modo migliore, per evitare la discussione, che svincolare un argomento dal controllo del presente dicendo che soltanto il futuro può rivelarne i meriti» (p. 478).
Metodo efficiente, contenuto assurdo: è il binomio perfetto per spingere le masse verso direzioni impensabili. Il contenuto assurdo non appare più tale proprio a motivo di quell’ininterrotta ascesa del prestigio della scienza a partire dal XVI secolo e della sua validazione proiettata nel futuro. Ovvero, mai. Questa fiducia incondizionata nelle proiezioni certe della scienza nasce dall’esibizione dei suoi presunti o reali successi nel passato; ma anche questo avviene sempre in quella chiave ideologica, che ereditiamo dall’epoca illuminista, per cui tutto ciò che esisteva “prima” non era che una forma primitiva e barbara dell’umanità.
L’effetto così ottenuto è quello di un marcato e netto chiaro-scuro, di fronte al quale gli uomini non possono non volgere le spalle per quello che è mostrato loro come oscurità e volgersi verso quella forza di progresso - la scienza – che li ha portati alla luce. Chiunque si opponga alla “scienza” è anche nemico del progresso dell’umanità, della sua sicurezza, della sua prosperità e diventa perciò facile bersaglio delle masse.
Che si tratti di economia, medicina o clima, la forma della scienza totalitaria è quella che la Arendt chiama «predizione infallibile», che si basa «sulla corretta interpretazione delle forze assolutamente sicure della storia o della natura» (pp. 481-2). Non esistono gli imprevisti, non esistono le scelte libere degli uomini, non esistono forze ultraterrene. La traduzione di ciò nella Germania della prima metà del Novecento fu quella che assicurava che l’eliminazione di malati mentali, persone con handicap ed ebrei avrebbe assicurato lunga vita e imperitura ai tedeschi. Non vi erano dubbi, né era concesso che vi fossero: lo assicurava la genetica. The Nazi Primer, il manuale officiale della Hitlerjugend, incalzava: «Noi forgiamo la vita del nostro popolo e la nostra legislazione in conformità al parere della genetica». Non differenti erano le infallibili analisi economiche che sostenevano lo sterminio dei kulaki: le cause scientificamente provate del nostro futuro declino, devono essere eliminate oggi per salvare il domani.
Una logica che abbiamo visto all’opera quando si riteneva meglio far morire in casa persone anziane di solitudine per salvare il Natale; o provocare una depressione negli adolescenti per salvare la Pasqua; o distruggere un’intera economia per appiattire la curva. In effetti, qualcuno dovrebbe spiegare quale sostanziale differenza vi sarebbe tra quel «metodo efficiente» e quello che ha portato noi a sostenere contenuti non meno assurdi, che, ad elencarli tutti, il presente articolo non avrebbe più spazio per altre considerazioni. Ne bastino un paio, oltre a quello sopra richiamato: che ci si sarebbe potuti serenamente sedere fianco a fianco con persone immunizzate da un vaccino che non immunizzava (e che mai era stato testato per questo); che parchi eolici e parchi fotovoltaici sarebbero più gaia friendly, mentre devastano aree boschive e invadono ettari di campi agricoli.
Il fascino della scienza è così forte che i suoi sacerdoti, specie quelli con il camice bianco, possono permettersi di sbagliare ogni previsione, pronunciare palesi falsità, calpestare ogni buon senso e continuare ad essere ascoltati. Com’è possibile? Perché essi vengono comunque identificati come gli annunciatori della buona novella dell’oggettività dei numeri, dell’infallibilità dei modelli predittivi, della speranza dell’imminente scoperta che metterà fine alla sofferenza, all’insicurezza, alla morte.
È questa speranza “messianica”, resa più ardente dalla paura di quello che accade e di quello che potrebbe accadere, abilmente alimentata dalla propaganda, a far sì che le persone offrano le proprie spalle per portare il giogo sempre più pesante di regole che si moltiplicano, protocolli che nascono dal nulla e senza alcuna ratio, regole che erodono sempre di più lo spazio di libertà. Ma queste regole, questi protocolli, queste procedure appaiono come l’oracolo della scienza, assolutamente vere perché perfettamente “imparziali”, in quanto discendono dal numero, dalla statistica, dagli algoritmi.
«Da questo punto di vista, il burocrate ideale somiglia a un computer: si attiene rigorosamente alla logica del suo sistema senza lasciarsi “distrarre” dalla individualità delle persone che “aiuta”[...] Un computer non è un Altro iniquo o ingiusto; è un Altro che applica una logica invariabile […]. Un computer è molto simile al leader totalitario ideale: un leader che impone la sua logica spietata alla popolazione» (M. Desmet, Psicologia del totalitarismo, pp. 96-7).
L’uomo non esiste più; eppure sembra che gli uomini applaudano per una sempre maggiore e più pervasiva “digitalizzazione”. Perché essi hanno bisogno di coerenza: la coerenza del sistema, anche se spersonalizzante e disumano, li rassicura maggiormente rispetto alla realtà che ai loro occhi viene presentata come caotica, incerta, pericolosa. È la ragione per cui, in un recente passato, si sono accolte ideologie folli e disumane, che però mostravano una compattezza teorica, una coerenza interna del sistema. Per questa coerenza, le masse sono state pronte a sacrificare la realtà, e con la realtà anche se stessi; «e ciò non perché siano stupide o malvagie, ma perché nel disastro generale questa fuga sembra garantir loro un minimo di rispetto di sé e di dignità» (Le origini del totalitarismo, p. 487).