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EX URSS

La Russia subisce una battuta d'arresto in Ucraina

Le forze russe non sono sufficienti a invadere il territorio ucraino e stanno già iniziando a ritirarsi. "Senza l'Ucraina, la Russia cessa di essere un impero euroasiatico" dice Zbignew Brzezinky (consigliere Usa).

Esteri 01_04_2014
Irregolari russi in Crimea

La crisi ucraina ha riproposto il tema del confronto tra Mosca e Occidente che sembrava ormai archiviato dopo la fine della Guerra Fredda. I timori di Kiev di subire un’invasione da parte dei 100 mila soldati russi schierati lungo i confini tra i due Paesi denunciati dal presidente del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino, Andriy Parubiy, hanno determinato un rafforzamento dei dispositivi aerei della NATO schierati a difesa di Polonia, Repubbliche Baltiche, Romania e Bulgaria. Forze aeree anglo-americane alle quali potrebbero aggiungersi una dozzina di velivoli da caccia  anche francesi e tedeschi.

Le truppe russe schierate lungo i confini ucraini non sarebbero in realtà più di 50 mila secondo fonti statunitensi, inclusi i 22 mila dislocati in Crimea. Un numero non poi  così elevato se si considera che la frontiera russo-ucraina si estende per 1.600 chilometri e certo del tutto insufficiente a scatenare una blitzkrieg contro Kiev.

In ogni caso le truppe russe  hanno cominciato ieri a ritirarsi  dal confine in concomitanza con l’avvio dei colloqui tra il Segretario di stato John Kerry e il Ministro degli Esteri Serghei Lavrov. La notizia del ritiro è stata annunciata dal ministero della Difesa russo confermata dal Centro per gli studi politici e militari di Kiev che ha stimato rimangano solo 10 mila soldati lungo i confini ucraini.

Ad alzare la tensione militare aveva provveduto il 29 marzo il Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, sostenendo che l'annessione della Crimea potrebbe "non essere sufficiente” per il presidente russo Vladimir Putin e precisando che l'Alleanza è "estremamente preoccupata" per le mosse del Cremlino. "Le consideriamo una minaccia concreta nei confronti dell'Ucraina, e vi vediamo il potenziale per ulteriori interventi”.

Quanto la crisi ucraina venga considerata dai russi al centro degli interessi nazionali è confermato da un sondaggio dell’istituto Levada condotto fra il 21 e il 24 marzo da cui emerge che il 74 per cento dei russi sosterrebbe il Cremlino nel caso di un intervento militare contro l'Ucraina. Percentuale quasi analoga (il 73%) sostiene illegittimo l’attuale governo ucraino mentre il 23 per cento degli intervistati è convinto che una guerra ci sarà. Ciò detto l’esercito russo oggi non ha la capacità militare di invadere un Paese con l’estensione e gli abitanti  (oltre 45 milioni) dell’Ucraina. Un’operazione che richiederebbe centinaia di migliaia di soldati e uno sforzo finanziario insostenibile. In un clima di rinata guerra  fredda qualcuno ha paventato addirittura il rischio di escalation nucleare ma la dottrina militare di Mosca ne prevede l’uso solo in caso di attacco diretto al suo territorio nazionale.

Ancor più improbabile il rischio, a cui anche la Nato ha fatto riferimento la scorsa settimana, che Mosca si annetta con le armi la Transnistria, già presidiata da un migliaio di soldati russi  ma di fatto isolata dal territorio della Federazione trovandosi tra l’Ucraina e la Moldova. In realtà l’annessione della Crimea ha provocato, per rappresaglia contro Mosca,  il blocco delle frontiere della Transnistria da parte di moldovi e ucraini. Un’azione militare di Mosca in questa regione presupporrebbe l’invasione dell’Ucraina meridionale o un blitz anfibio, sempre in territorio ucraino, dal Mar Nero.

Ipotesi improponibili che tendono a presentare una strategia russa offensiva che non sembra avere possibilità di concretizzarsi. Anzi, poiché la Transnistria è riconosciuta solo da Mosca il mutato atteggiamento ucraino renderà difficile per i russi inviare truppe e rifornimenti nella piccola repubblica un intervento militare di Mosca nella piccola striscia di terra è plausibile solo se il blocco dovesse continuare e se Mosca vi ravvisasse un pericolo per i suoi concittadini.

Lo stesso allarme che potrebbe registrarsi tra i russi dell’Ucraina orientale. Se in quelle regioni gli scontri di piazza degenerassero in guerra civile Mosca non potrebbe sottrarsi al dovere di proteggere la popolazione russa e filorussa. L’uscita dell’Ucraina dall’orbita di Mosca e dall’Unione Euroasiatica  (che raggruppa alcune repubbliche ex sovietiche) costituisce una bruciante sconfitta per Vladimir Putin e uno smacco strategico per la Russia. Una disfatta mitigata parzialmente dall’annessione della Crimea che permette ai russi di conservare le basi navali e il controllo del Mar Nero.

Come sottolineò già nel 1997 Zbigniew Brzezinsky, consigliere per la sicurezza nazionale dell’Amministrazione Carter, “senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero euroasiatico”. Infatti la strategia di Mosca sembra essere più difensiva che offensiva. Sul piano militare è in fase di messa a punto un piano di sicurezza per la Crimea mentre sul versante politico i russi negoziano direttamente con gli Stati Uniti un assetto costituzionale federalista per l’Ucraina che salvaguardi l’autonomia delle province orientali abitate per lo più da russi o russofoni che minacciano la secessione da Kiev per imitare la Crimea.

Paradossale che una crisi scoppiata (o fatta scappiare) in territorio europeo e le cui conseguenze sono del tutto a carico dell’Europa veda l’Unione Europea del tutto assente dai negoziati in atto. Un dialogo riservato tra russi e statunitensi come ai tempi della Guerra Fredda .Eppure trovare un compromesso con Mosca dovrebbe essere interesse prioritario per l’Europa non solo per garantirci tranquillità nei rifornimenti energetici m anche perché il regime di sanzioni e il braccio di ferro con i russi stanno già determinando danni per miliardi di euro all’interscambio e all’export europeo (anche italiano) verso la Russia. Costi che si sommano ai miliardi (per ora 15, dopo chissà?) di aiuti economici che la Ue si è impegnata a versare nelle casse di Kiev.