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DA MOSCA

La Russia, espulsa dall'Europa, guarda a Oriente

La Conferenza internazionale sulla Sicurezza di Mosca è la prova che la politica estera russa si stia riorientando verso l'Asia. Estromessa dall'Europa, dai tempi della crisi in Ucraina fino al caso Skripal, la Russia consolida i legami con la Cina e punta a rafforzarli con India e Brasile. E l'Europa cosa ci guadagna da tutto questo?

Esteri 07_04_2018
Wei Fenghe, ministro della Difesa cinese alla Conferenza di Mosca

La Conferenza internazionale sulla Sicurezza di Mosca ha costituito un interessante osservatorio per misurare gli orientamenti strategici della Russia, tra proiezione internazionale di influenza e isolamento da un Occidente che sembra determinato a considerare i russi una minaccia non inferiore a quella rappresentata a suo tempo dai sovietici.

Entrambe le facce della medaglia sono apparse nitidamente alla settima edizione della Moscow Conference in International Security tenutasi nell’imponente Royal Radisson Hotel, l’ex Hotel Ucraina situato simbolicamente di fronte alla “Casa Bianca”, sede del governo della Federazione Russa. Assente Vladimir Putin, impegnato ad Ankara nel vertice sulla Siria con Recep Tayyip Erdogan e Hassan Rohani, la conferenza moscovita ha visto come mattatori il ministro della Difesa Sergey Shoygu, che ha aperto i lavori in qualità di padrone di casa (l’evento è organizzato dal suo ministero) e quello degli Esteri Sergey Lavrov, che ha tenuto l’intervento conclusivo.

L’assenza di delegazioni occidentali (inclusa quella italiana) e una presenza europea limitata al 10% degli 850 partecipanti provenienti da 65 Stati hanno sottolineato l’attuale momento di crisi nelle relazioni tra la Russia e la Nato ingigantita dal caso Skripal. Una vicenda che sta creando non pochi imbarazzi a Londra e dovrebbe crearne anche negli Stati che hanno seguito le indicazioni anglo-americane di espellere diplomatici russi, soprattutto perché in concomitanza con la MCIS di Mosca è emerso che i laboratori militari britannici di Porton Down non hanno trovato alcuna prova che l’aggressivo nervino che ha colpito Sergey Skripal e sua figlia Yulia sia di origine russa. Il responsabile del laboratorio, Gary Aitkenhead, ha detto infatti che non è stato possibile “risalire all’origine precisa dell'agente chimico”. Il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, che aveva dichiarato in un tweet che la certezza espressa dagli stessi laboratori era del “110 per cento” si è trovato così smentito dalle stesse fonti ufficiali britanniche: una figuraccia a cui ha cercato maldestramente di rimediare cancellando il tweet nel quale sosteneva che gli scienziati avevano concluso che l'agente novichok usato nell'attacco era "prodotto in Russia".

Per limitare i danni, il governo ha affermato che i test di Porton Down sono "solo una parte del quadro di intelligence" e che "non c'è altra spiegazione plausibile" che una responsabilità russa. Spiegazione debole che induce a credere che Londra abbia cercato di manipolare i governi e l’opinione pubblica europea. Ne è convinta anche il ministro degli Interni “ombra” laburista Diane Abbott, secondo la quale "Boris Johnson rappresenta la Gran Bretagna sulla scena mondiale, ma ancora una volta ha dimostrato di non poterlo fare in modo responsabile".

Il caso Skripal è balenato anche alla Conferenza di Mosca dove il capo dei servizi di spionaggio russi all'estero (Svr) Sergey Narishkin, ha accusato l'Occidente di “essere pronto a costruire una nuova cortina di ferro. E' importante fermare questo gioco irresponsabile con l'aumento costante della posta in gioco e rinunciare alla forza nei rapporti interstatali" nonché "evitare una seconda crisi cubana". Il capo degli 007 russi ha sottolineato che quello che occorre oggi non sono divisioni, ma "uno sforzo comune" per affrontare sfide del tutto nuove, come il terrorismo internazionale e lo sviluppo sostenibile del mondo in cui viviamo. "E' impensabile - ha concluso Naryshkin - trovare la risposta a queste sfide, senza il coinvolgimento di Russia, Cina, India e Brasile e altri poli di un mondo policentrico".

Un tema, quello del policentrismo, più volte sviluppato dai diversi ministri e militari intervenuti ma interpretato, soprattutto da russi e cinesi, in contrapposizione alla potenza globale statunitense. Emarginata dall’Occidente, la Russia guarda ad altri continenti come ha confermato la massiccia presenza di ministri della Difesa e capi da stato maggiore (31 in tutto) provenienti da molti Stati asiatici, sudamericani ed africani. Il nuovo ministro della Difesa cinese Wei Fenghe ha espresso sostengo alla Russia sottolineando che la partecipazione cinese alla conferenza di Mosca punta “a far capire agli americani gli stretti rapporti tra le forze armate cinesi e russe, soprattutto in questa situazione".

La crisi siriana e in generale la minaccia jihadista (dall’Asia Centrale al Sahel, dal Medio all’Estremo Oriente) sono stati al centro di diversi panel della conferenza, anche se non è stato dibattuto direttamente il recente annuncio della Casa Bianca di voler ritirare le truppe statunitensi dal Paese mediorientale, iniziativa contestata dal Pentagono e da molti ambienti governativi americani perché lascerebbe campo libero alle forze turche e a quelle di Bashar Assad con i suoi alleati russi e iraniani. "Non solo nei confronti della politica americana in Siria, ma anche nei confronti di tutta una serie di importanti questioni internazionali, abbiamo difficoltà a capire quali obiettivi perseguano gli Usa” ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Il ministro non ha risparmiato una frecciatina all’Amministrazione Trump imputando in parte "la contraddittorietà" degli Usa ai cambiamenti tra i responsabili della politica estera Usa, visto che "nessuno dei membri dell'amministrazione Usa con delega agli affari esteri ha lavorato almeno un anno con tale incarico".

La MCIS ha quindi evidenziato le tensioni esistenti indicando prospettive e limiti dalla politica di potenza della Russia, costretta a puntare le sue carte oltre l’Europa soprattutto a causa di una nuova guerra fredda che in pochi anni, dalla crisi in Ucraina del 2014, ha trasformato in muri e profonde trincee i ponti gettati con l’Europa fin dagli anni’90. L’ormai evidente estromissione della Russia dall’Europa è probabilmente il più grande successo strategico conseguito negli ultimi anni dagli Stati Uniti, indipendentemente dall’uomo che siede alla Casa Bianca, e dai loro alleati britannici. Resta da chiedersi quanto gli Stati europei abbiano da guadagnare o meno da un simile contesto geopolitico e soprattutto quanto siano essi artefici consapevoli o solo succubi esecutori dei disegni strategici d’oltre Atlantico e d’oltre Manica.