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VERSO IL SINODO

La rivoluzione sessuale nell'aula della Gregoriana

Il seminario a porte chiuse tenutosi nell'Università Gregoriana, in vista del prossimo Sinodo, è stato promosso dalle conferenze episcopali tedesca, francese e svizzera. Come ci si poteva ampiamente attendere, le citazioni anonime di quel che si è detto rivelano la tendenza a reinterpretare la dottrina in materia sessuale.

Ecclesia 27_05_2015
Mons. Marx

La fonte è una sola, o quasi, almeno per noi poveri mortali. E cioè quella del quotidiano Repubblica, visto che era “l’unico media italiano invitato” ai lavori a porte chiuse che si sono tenuti alla Università Gregoriana in vista del prossimo Sinodo. Di che tipo di incontro si sia trattato La Nuova Bussola aveva già rendicontato ieri, ma oggi, grazie a Repubblica, siamo in grado di dire qualcosa in più.

A dire il vero leggendo i virgolettati non si ricava una grande sorpresa. Come sapete i lavori erano stati “promossi” specialmente da tre conferenze episcopali, quella tedesca, quella francese e quella svizzera, ossia tra chiese che spingono fortemente per una evoluzione della prassi (e della dottrina) in campo morale. 

Oltre al cardinale Reinhard Marx, il vero big del seminario, c’erano altri pezzi da novanta come il presidente della Conferenza episcopale francese, mons. Gorge Pontier, il vescovo di Dresda, Koch, lo svizzero mons. Gmur, alcuni teologi e professori, tra cui anche il presidente della Comunità di S. Egidio, Marco Impagliazzo. A fare da padrone di casa il vice rettore della Gregoriana, padre Hans Zollner SJ. Gli ospiti erano vincolati a non attribuire le dichiarazioni agli intervenuti.

Innanzitutto la questione delle unioni gay. Perchè l’occasione del referendum irlandese era troppo ghiotta. E, infatti, un anonimissimo “sacerdote e teologo tedesco” convenuto avrebbe detto che “la questione non è tema del Sinodo, ma è comunque materia culturale. Se fra due persone dello stesso sesso c’è una relazione molto forte, che porta a un riconoscimento, questo deve diventare un vincolo anche per la Chiesa”. Basta non chiamarlo matrimonio.

Una “docente”, invece, avrebbe esposto una sua personalissima idea della fedeltà coniugale. “Con l’allungarsi della vita – riporta l’unico media italiano ammesso – anche la frontiera della fedeltà si sposta. Ma, la disciplina della Chiesa lungi dall’essere immobile. Dopo un fallimento, un abbandono, ci si può impegnare in una nuova vita con un’altra persona. Questi problemi ci arrivano anche da esponenti impegnati nel magistero, oltre che dai fedeli.” Applausi.

La questione, è risaputo, ruota intorno a una interpretazione dello sviluppo del dogma che travalica l’omogeneità, per spingersi verso la trasformazione. Un “vescovo tedesco” ha detto che “i dogmatici dicono che l’insegnamento della chiesa è fisso. Invece uno sviluppo esiste. E abbiamo bisogno di uno sviluppo sulla sessualità”. Il problema è proprio intendersi su dove si voglia andare a parare con “lo sviluppo”, il cardinale Muller, prefetto della Dottrina della Fede, lo ha ripetuto più e più volte. A questo proposito, risultano significative le parole di Anne Marie Pelletier a Vatican Insider. La biblista francese, presente all’incontro, ha detto che “se, alla fine del Sinodo, la Chiesa continua ad affermare quello che ha sempre detto, sarebbe un fallimento”.  

Ma torniamo all’aula della Gregoriana dove si citano a piene mani Freud e Fromm, tra i guru della rivoluzione sessuale, e alcuni teologi non vanno per il sottile nell’impostare i loro ragionamenti. “La mancanza della sessualità”, dice un intervenuto, “può paragonarsi alla fame, alla sete. La domanda che la caratterizza è: “Hai voglia di fare sesso? Ma questo non significa desiderare l’altro, se l’altro non vuole. La domanda dovrebbe essere: “Tu mi desideri?” Ecco allora come il desiderio sessuale dell’altro può unirsi all’amore”. In un certo senso, quindi, potremmo dire che nell’ambito della sessualità ciò che conta è che l’altro ci stia. Non una grandissima novità, semmai un po’ riduttiva per spiegare l’amore.

Ma, d’altra parte, i convenuti sono stati onesti, visto che un “presbitero che è anche professore” ammette che “essendo la nostra una vita da single il celibato di noi preti rende difficile parlare agli altri delle loro vite di coppia”.

Il tono della discussione ha quindi ruotato intorno al modo in cui è possibile “lo sviluppo” del dogma, perché non si può perdere il contatto con la gente. In fondo tutto è racchiuso in una domanda lanciata da un “sacerdote e docente”, un dilemma che ha scosso i tavoli dove erano assisi i convenuti. “Cosa possiamo dire a una gioventù che non si ritrova negli orientamenti della Chiesa? Come dobbiamo impostare una pratica dell’eros? Qui ci troviamo di fronte a problemi con cui fare i conti, altrimenti la gente finirà per allontanarsi.”

Infatti, nel comunicato ufficiale, più paludato dei virgolettati riportati da Repubblica, si ribadisce che il punto è nel modo di comprendere la tradizione cristiana che deve avvenire «nella storia» e «sulla base del discernimento delle realtà spirituali da parte dei fedeli e attraverso l’insegnamento del magistero». A partire da questo orientamento di base sono stati tre i temi affrontati: l’interpretazione biblica delle parole di Gesù sul divorzio, la sessualità come linguaggio dell’amore e dono prezioso di Dio e, infine, le condizioni della biografia delle singole persone come storia di grazia. In particolare quest’ultimo punto ha tenuto conto del “contesto sociale pluralista e complesso delle nostre società”, in cui “l’individuo è chiamato a confrontarsi con crescenti difficoltà senza posa nella costruzione responsabile della propria vita. La presa di distanza dalle eredità tradizionali rende questa costruzione ancora più delicata. I progetti personali e i giudizi di coscienza svolgono un ruolo molto più importante. Tutto ciò ha un forte impatto nella comprensione morale della vita e costituisce altrettante sfide per la pastorale coniugale e familiare».

Che ci siano sfide nessuno lo mette in dubbio, ma che le soluzioni siano quelle prospettate dai fedeli di queste tre conferenze episcopali, così come emergono dalle risposte ai questionari intersinodali, solleva altrettanti dubbi.