La «rivoluzione» dell'evangelizzazione per un mondo disperato
Un milione e mezzo di persone hanno partecipato alla messa a Quito, in cui papa Francesco ha parlato della tragedia del mondo contemporaneo, cui ha offerto come soluzione la pacifica «rivoluzione» dell'evangelizzazione.
- AD ATTENDERE IL PAPA UNA BOLIVIA "AGITATA", di Marinellys Tremamunno
Il 7 luglio 2015 Papa Francesco, nella terza giornata del suo viaggio in Ecuador - prima di incontrare, quando in Italia era già notte, il mondo della scuola e dell'Università (ne daremo conto domani) - ha celebrato Messa nel Parco del Bicentenario di Quito davanti a un milione e mezzo di persone. Sono numeri che si ripetono di giorno in giorno: in un piccolo Paese come l'Ecuador sono senza precedenti e testimoniano un'accoglienza straordinaria. Il Papa ha parlato della tragedia del mondo contemporaneo, cui ha offerto come soluzione la pacifica «rivoluzione» dell'evangelizzazione, di cui questo mondo ha disperatamente bisogno.
Francesco è partito dalle ore precedenti alla Passione, quando Gesù «sta sperimentando nella propria carne il peggio di questo mondo, che ama comunque alla follia: intrighi, sfiducia, tradimento, però non nasconde la testa, però non si nasconde, non si lamenta». Anche noi «constatiamo quotidianamente che viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza». Il Signore «ci invia proprio a questo mondo che ci sfida, con i suoi egoismi, e la nostra risposta non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera. La nostra risposta riecheggia il grido di Gesù e accetta la grazia e il compito dell’unità».
Il Papa cita la «Evangelii gaudium» affermando che per rispondere al dramma del mondo occorre uno sforzo straordinario e nuovo per l'evangelizzazione, «veicolo di unità di aspirazioni, di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie». L'evangelizzazione deve arrivare a tutti. «Da qui, la necessità di agire per l’inclusione a tutti i livelli – lottare per l’inclusione a tutti i livelli! – evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo, incentivando la collaborazione». Ma questo - spiega Francesco, tornando su un tema che gli è caro - non potrà accadere «se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. E questo a danno dei più poveri, dei più esclusi, dei più indifesi, di coloro che non perdono la propria dignità malgrado gliela colpiscano tutti i giorni».
Il Papa ha anche sottolineato ancora una volta la differenza fra evangelizzazione, che consiste nell'annunciare la verità in modo cordiale e rispettoso della persona dell'interlocutore, e proselitismo, che pretende di convertire partendo da un atteggiamento arrogante di condanna e di giudizio. «L’evangelizzazione non consiste nel fare proselitismo: il proselitismo è una caricatura dell’evangelizzazione». La vera evangelizzazione è un «attrarre con la nostra testimonianza i lontani», riuscendo ad avvicinarsi anche «a quelli che si sentono giudicati e condannati a priori da coloro che si sentono perfetti e puri».
Riuscirà a essere evangelizzatore solo chi dapprima sarà stato missionario verso il proprio intimo, «verso l’interno», alla ricerca di quel luogo di comunione dove «l’intimità di Dio» si comunica all'uomo come «comunione, comunicazione, donazione, amore».
Gesù chiede l'unità nella Chiesa, però «l’unione che chiede Gesù non è uniformità ma la ‘multiforme armonia che attrae’. L’immensa ricchezza del diverso, del molteplice che raggiunge l’unità ogni volta che facciamo memoria di quel Giovedì santo, ci allontana dalla tentazione di proposte uniciste, più simili a dittature, a ideologie, a settarismi». Dobbiamo evitare «un aggiustamento fatto a nostra misura, nel quale siamo noi a porre le condizioni, scegliamo le parti in causa ed escludiamo gli altri. Questa religiosità di élite, non è quella di Gesù!».
Evangelizzare ultimamente è possibile solo se ci sentiamo veramente, non solo a parole, fratelli delle persone che vogliamo evangelizzare. «Il nostro grido, in questo luogo che ricorda quel primo grido di libertà - ha concluso il Pontefice riferendosi alla rivoluzione ecuadoriana che portò all'indipendenza -, attualizza quello di san Paolo: ‘Guai a me se non annuncio il Vangelo!’. È tanto urgente e pressante come quello che manifestava il desiderio di indipendenza. Ha un fascino simile, ha lo stesso fuoco che attrae. Fratelli, abbiate gli stessi sentimenti di Gesù; siate una testimonianza di comunione fraterna che diventa risplendente». «Questo significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione – perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria – questo è il nostro più profondo e costante grido».
- AD ATTENDERE IL PAPA UNA BOLIVIA "AGITATA", di Marinellys Tremamunno