La riforma che sguarnisce la Difesa
Lo slogan del ministro Giampaolo Di Paola è «meno generali e ammiragli e più operatività e tecnologia». Tradotto, significa solo ridurre la nostra operatività.
Meno armi e meno soldati perché ci sono meno soldi da spendere per le Forze Armate. La riforma dello strumento militare preannunciata due mesi or sono dal ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, è stata finalmente annunciata alle commissioni Difesa di Camera e Senato. Un documento di appena sedici pagine, più di indirizzo che di sostanza, che evidenzia cosa fare ma non entra nei dettagli e che di fatto rimanda al Parlamento la definizione dei tagli all’apparato militare che richiederanno «dieci anni o più».
I punti salienti della riforma prevedono un taglio del personale di 33mila militari (su 183mila) e 10mila civili (su 30mila) che si svilupperà in oltre dieci anni e verrà attuato riducendo del 30 per cento i nuovi arruolamenti (già quest’anno tagliati da 12mila a 9mila) quindi non rimpiazzando parte del personale che andrà in pensione. Inoltre i militari in eccesso, per lo più ufficiali e marescialli, potranno usufruire di facilitazioni per transitare ad altre amministrazioni dello Stato, pratica che in realtà potrebbe avere un successo molto limitato. L’obiettivo di ridurre il personale è determinato soprattutto dal fatto che i continui tagli al bilancio della Difesa (sceso in 20 anni del 30% in termini reali e oggi pari allo 0,84 del Pil contro una media europea dell’1,61 per cento) fanno si che quest’anno il 70,6 per cento dell’intero budget è assorbito dal pagamento degli stipendi. Di Paola vorrebbe ridurre questa percentuale al 50% per lasciare l’altra metà disponibile per addestramento, manutenzione e acquisizione di nuovi armamenti ed equipaggiamenti.
Un risultato che il piano presentato renderà raggiungibile solo nel 2032 quando gli organici previsti saranno 145mila suddivisi tra 18mila ufficiali, 25mila marescialli, 22mila sergenti, 56mila militari di truppa in servizio permanente e 24mila in ferma breve. Forse troppo tardi per salvare le capacità operative delle forze armate. Il vero problema si porrà infatti nei prossimi anni quando i tagli già previsti ridurranno il budget per le forze armate dai 13,6 miliardi di quest’anno ai 12 miliardi del 2014, quando anche con 5mila militari in meno di oggi la spesa per il personale sarà oltre l’80% del totale lasciano quindi pochi soldi per acquistare nuovi mezzi e ancor di meno per gestirli e addestrare il personale. In questo contesto il rischio è di comprare nuovi jet e navi per non avere poi i soldi per riempirne i serbatoi di carburante.
Benché il ministro abbia presentato la riforma con lo slogan «meno generali e ammiragli e più operatività e tecnologia» in realtà le riduzioni di alti gradi non sembrano poi gran cosa. Di Paola ha riferito che ii generali e ammiragli a tre stelle (il grado militare più elevato) verranno ridotti di circa il 30% ma l’Italia schiera oggi 425 generali, circa la metà dei 900 presenti negli Stati Uniti dove le forze armate sono otto volte più numerose di quelle italiane con quasi un milione e mezzo di militari. La riforma prevede di tagliarne una novantin, ma su questo fronte si poteva certo fare di più.
Di fatto poi anche l’operatività subirà dei tagli con la riduzione di mezzi e reparti. Di Paola ha riferito poi di un taglio delle «strutture militari del 30 per cento in cinque o sei anni» ma non è stato specificato quali comandi, enti, scuole e reparti verranno recisi dalla scure dei tagli attuati per ottenere ''una migliore efficacia dell'operatività” e per “liberare un importante piano di dismissione delle infrastrutture''. L’Esercito perderà 2 delle sue 11 brigate, verranno sacrificati, reggimenti corazzati, blindati, di artiglieria e logistici. La Marina farà a meno di 4 delle 10 fregate Fremm previste perderà 8 pattugliatori e corvette su 18 oggi in servizio, disporrà di soli 4 sottomarini invece di 6 e subirà riduzioni anche nella flotta di cacciamine. Per l’Aeronautica si tratterà di rinunciare a parte dei 96 caccia Typhoon in servizio o ordinati e di ridurre da 131 a circa 90 i nuovi cacciabombardieri F-35, una quindicina dei quali saranno però destinati alle forze aeree della Marina che li imbarcherà sulla portaerei Cavour.
Si tratta di tagli importanti che limiteranno possibilità di partecipare a lunghe operazioni oltremare. Basti pensare che il capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Bruno Branciforte, valutava l’anno scorso che un taglio alle 10 fregate Fremm avrebbe inficiato pesantemente le capacità operative tenuto conto che oggi l’Italia schiera sempre una o due navi di questa categoria nell’Oceano Indiano per la lotta alla pirateria. Ridurre le capacità militari nazionali con mezzo Mediterraneo che sta cadendo in mano a islamisti e jihadisti potrebbe non essere una buona idea e anche l’integrazione nella “Difesa europea” sembra oggi più che mai una favola per bambini nonostante a richiamarla sia stato recentemente il Consiglio Supremo di Difesa. Secondo Germano Dottori, analista strategico e docente della Università Luiss Guido Carli è un’assurdità. «Non è mai stata fatta negli anni '50, con le truppe del Patto di Varsavia schierate ai confini della Cortina di Ferro, figuriamoci adesso in una fase di nazionalismi. E' completamente irrealistico pensare che un contribuente italiano possa dare il suo appoggio nella difesa delle Falkland, come anche per operazioni francesi in Africa». Del resto, aggiunge provocatoriamente Dottori «con l'integrazione delle forze armate europee si dovrebbero europeizzare anche gli arsenali nucleare britannico e francese che invece rimangono assetti strategici esclusivamente nazionali».