Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico

SINODO

La relazione del cardinale Peter Erdo

Dottrina, giovani, divorziati risposati nella relazione introduttiva al Sindo del cardinali Peter Erdo, arcivescovo di Esztergon-Budapes. Il testo integrale.

Ecclesia 07_10_2014
Il cardinale Peter Erdo

 

Beatissimo Padre,

Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri sinodali,

cari fratelli e sorelle,

Gesù Cristo è il nostro primo Maestro ed il nostro unico Signore. Solo in Lui si trovano «parole di vita eterna» (cf Gv 6, 68). Questo vale anche riguardo alla vocazione umana e alla famiglia. Il messaggio di Cristo non è comodo, ma esigente: richiede la conversione dei nostri cuori. Eppure esso è una verità che ci libera. L’obiettivo fondamentale della proposta cristiana sulla famiglia deve essere «la gioia del Vangelo» che «riempie il cuore e la vita intera di coloro che s’incontrano con Gesù» e «si lasciano salvare da Lui» sperimentando la liberazione «dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» - come insegna papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 1). Per questo è opportuno richiamare l’importanza dei temi della speranza (cf Gaudium et spes n. 1) e della misericordia, tanto sottolineata da Papa Francesco (cf, ad esempio, Evangelii gaudium, 119 e 198).

L’annuncio, quindi, si articola come proposta, dialogo e cammino insieme. Come dice papa Paolo VI nella sua magistrale esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (n. 3) "… è assolutamente necessario metterci di fronte ad un patrimonio di fede che la Chiesa ha il dovere di preservare nella sua purezza intangibile, ma anche di presentare agli uomini del nostro tempo, per quanto possibile, in modo comprensibile e persuasivo".

La base, il contenuto dell’annuncio è la fede della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia, riassunta in diversi documenti, in modo speciale nella Gaudium et spes, nella Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, chiamato da papa Francesco "papa della famiglia", nel Catechismo della Chiesa Cattolica ed in numerosi altri testi del Magistero. La famiglia di oggi è non solo oggetto di evangelizzazione, ma anche soggetto primario nell’annuncio della buona novella di Cristo nel mondo. Perciò è necessaria l’incessante comprensione e attualizzazione del Vangelo della famiglia che lo Spirito suggerisce alla Chiesa. Le stesse problematiche familiari più gravi vanno considerate come un "segno dei tempi", da discernere alla luce del Vangelo: da leggere con gli occhi ed il cuore di Cristo,e con il suo guardo in casa di Simone il fariseo (cf Lc 7,36-50).

1. Il Vangelo della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione 

a) Metodo del discernimento sulla famiglia

La ricerca delle risposte pastorali si svolge nel contesto culturale dei nostri giorni. Molti dei nostri contemporanei provano difficoltà nel ragionare logicamente, nel leggere testi lunghi. Viviamo in una cultura dell’audio-visualità, dei sentimenti, delle esperienze emozionali, dei simboli. I luoghi di pellegrinaggio, in molti paesi, persino in quelli più secolarizzati, sono sempre più frequentati. Decine di migliaia di coniugi vanno per esempio nel santuario mariano di ?a?tin, in Slovacchia, per chiedere l’aiuto della Madonna nei loro problemi matrimoniali. Molti percepiscono la loro vita non come un progetto, ma come una serie di momenti nei quali il valore supremo è di sentirsi bene, di stare bene. In tale visione ogni impegno stabile sembra temibile, l’avvenire appare come una minaccia, perché può accadere che nel futuro ci sentiremo peggio. Anche i rapporti sociali possono apparire come limitazioni ed ostacoli. Rispettare, "volere il bene" di un'altra persona, può richiedere anche rinunce. L’isolamento è spesso collegato quindi con questo culto del benestare momentaneo. Tale cultura generale si rispecchia nel gran numero delle risposte al questionario preparatorio di questa assemblea sinodale, le quali presentano un fatto quasi globale, cioè il calo dei matrimoni civili, la tendenza sempre più tipica di vivere insieme senza alcun matrimonio religioso o civile. La fuga dalle istituzioni si presenta come segno di individualizzazione, ma anche come sintomo di crisi di una società ormai appesantita di formalismi, obbligazioni e burocrazia. La fuga dalle istituzioni quindi come segno di povertà, di debolezza dell’individuo di fronte alla dilagante "complicatezza" delle strutture. E’ in questo contesto che dobbiamo annunciare il Vangelo della famiglia. Eppure, la cultura della parola non è scomparsa. La trasmissione del Vangelo avviene tenendo presente la ricchezza dell’insegnamento della Chiesa. Abbiamo bisogno della forza dello Spirito Santo per trovare le vie della verità nella carità, le risposte che esprimono la giustizia e allo stesso tempo la misericordia, perché queste due sono inseparabili. Hesed e tzedaka, misericordia e giustizia sono nell’Antico Testamento proprietà di Dio che in Lui coincidono. Nel Suo aiuto confidiamo nei nostri lavori.

Va sottolineato che il Vangelo della famiglia è prima di tutto buona novella di una grazia donata dallo Spirito nel sacramento del matrimonio: è possibilità nuova offerta alla fragilità dell’uomo, da accogliere e celebrare con gioia e gratitudine, a livello sia personale, che comunitario. Gli obblighi derivanti dal matrimonio non vanno certamente dimenticati, ma evidenziati come esigenze del dono, che lo stesso dono rende possibili. Vale anche a questo riguardo il monito di Papa Francesco: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Evangelii gaudium, n. 49).

La chiara e piena verità del Vangelo dà quella luce, quel senso e quella speranza dei quali l’uomo di oggi ha tanto bisogno. Tale "verità medicinale", la Chiesa deve proporla in maniera da essere effettivamente riconosciuta come "rimedio", anche per le tante situazioni familiari problematiche, spesso molto sofferte. In altre parole, senza sminuire la verità, essa va proposta ponendosi anche dall’angolazione di coloro che più "fanno fatica" a riconoscerla come tale e a viverla.

b) Metodo del lavoro sinodale

Nel momento attuale della cultura, quando siamo inclini a dimenticare le verità essenziali, il quadro complessivo, e tentati a smarrirci nei dettagli, risulta particolarmente utile che ai pastori delle comunità locali vengano offerte delle linee direttrici chiare per poter aiutare a quanti vivono in situazioni difficili. Infatti, non si può realisticamente aspettare che essi trovino da soli le giuste soluzioni conformi alla verità del Vangelo e vicine alle situazioni particolari. In questa luce, la collegialità episcopale, che ha nel Sinodo un’espressione privilegiata, è chiamata a caratterizzare le sue proposte, armonizzando il rispetto e la promozione delle specifiche esperienze delle singole Conferenze episcopali, con la ricerca di linee pastorali condivise. Questo deve valere anche a livello di chiese locali, evitando le improvvisazioni di una "pastorale del fai da te", che finisce con il rendere più difficile l’accoglienza del Vangelo della famiglia. Va poi richiamato che l’assemblea sinodale straordinaria del 2014 è la prima tappa di un cammino ecclesiale che sfocerà nell’assemblea ordinaria del 2015. Ne deriva che il linguaggio e le indicazioni devono essere tali da promuovere l’approfondimento teologico più nobile, per ascoltare con la massima attenzione il messaggio del Signore, incoraggiando allo stesso tempo la partecipazione e l’ascolto di tutta la comunità dei fedeli. Per questo è importante la preghiera affinché il nostro lavoro dia i migliori frutti, quelli che Dio vuole.

2. Il Vangelo della famiglia e la pastorale familiare

a) La sfida educativa della famiglia: scuola di umanità, socialità, ecclesialità e santità

La cura di pastori e fedeli nei confronti delle giovani generazioni si esprime, in modo particolare, nell’impegno formativo verso coloro che intraprendono con coraggio e speranza la via che conduce al matrimonio. Pertanto, è compito proprio della pastorale familiare quello di sostenere la sfida educativa, nelle sue diverse fasi: attraverso la formazione generale dei giovani all’affettività, nella preparazione prossima alle nozze, con l’accompagnamento nella vita matrimoniale e specialmente mediante il sostegno nelle situazioni più difficili, in modo che la famiglia costituisca un’autentica scuola di umanità, socialità, ecclesialità e santità. La famiglia è scuola di umanità, perché scuola di amore nella vita e nella crescita della persona (cf GS 52: famiglia "scuola di umanità"), grazie alla relazione che il matrimonio richiede e stabilisce fra i coniugi e fra genitori e figli (cf Gaudium et Spes 49 e Familiaris consortio 11). La famiglia è scuola di socialità perché fa crescere la persona nello sviluppo delle sue capacità di socializzazione e nella costruzione della società (cf FC 15 e 37). In maniera analoga, la famiglia è grembo di vita ecclesiale, che educa a vivere nella comunione della Chiesa e ad essere protagonisti attivi in essa (cf FC 48 e 50). La famiglia è, infine, anche scuola di santificazione, in cui si esercita e si alimenta il cammino di santità dei coniugi e dei figli (cf GS 48 e FC 56 e 59). Per queste ragioni la Chiesa annuncia il valore e la bellezza della famiglia. Con questo rende un servizio decisivo a un mondo il quale chiede, quasi implora di essere rischiarato dalla luce della speranza.

Il variegato profilo della realtà familiare, che emerge dall’Instrumentum Laboris, mostra come nella varietà dei contesti socio-culturali ci sia un consenso, più grande di quanto non appaia a prima vista, sul fatto che matrimonio e famiglia sono beni originari della cultura dell’umanità, patrimonio che deve essere custodito, promosso e, quando necessario, difeso. Anche oggi la maggior parte degli esseri umani cerca la felicità della propria vita in un legame durevole tra un uomo ed una donna, insieme con i figli generati dalla loro unione. La famiglia incontra certamente oggi molte difficoltà; ma non è un modello fuori corso, si rileva anzi diffusamente fra i giovani un nuovo desiderio di famiglia. Lo dimostra, non da ultimo, la testimonianza dei molti matrimoni e delle famiglie cristiane vissute felicemente. Queste esperienze positive non vanno perse di vista, malgrado le diffuse situazioni precarie ed irregolari.

Tra i cristiani cattolici la sostanza dell’insegnamento del Nuovo Testamento e del Catechismo della Chiesa Cattolica sul matrimonio sembra abbastanza conosciuta. Però, gli aspetti specifici della dottrina e del Magistero della Chiesa sul matrimonio e la famiglia non sono sempre sufficientemente conosciuti dai fedeli. Oltre alla questione della conoscenza si prende atto del fatto che tale dottrina spesso non è seguita nella prassi. Questo non significa che la dottrina sia messa in discussione in linea di principio dalla stragrande maggioranza dei fedeli e dei teologi. Nella forma in cui è presentata dal Concilio Vaticano II (cf Gaudium et spes 47-52), riassunta nell’Instrumentum Laboris, la dottrina incontra un ampio consenso tra i cattolici praticanti. Ciò vale in particolare per quanto riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la sua sacramentalità tra battezzati. Non viene messa in questione la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio in quanto tale, essa è anzi incontestata e nella maggior parte osservata anche nella prassi pastorale della Chiesa con le persone che hanno fallito nel loro matrimonio e che cercano un nuovo inizio. Quindi, non le questioni dottrinali, ma le questioni pratiche – inseparabili d’altro canto dalle verità della fede - sono in discussione in questo Sinodo, di natura squisitamente pastorale.

Infine, dall’Instrumentum Laboris emergono due aspetti chiari riguardo l’omosessualità. Prima di tutto, un ampio consenso riguardo al fatto che persone di tendenza omosessuale non devono essere discriminate, come ribadisce anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2357-2359). In secondo luogo emerge con altrettanta chiarezza che da parte della maggioranza dei battezzati – e della totalità delle conferenze episcopali - non è attesa una equiparazione di questi rapporti con il matrimonio tra uomo e donna. Neppure le forme ideologiche delle teorie del gender trovano consenso presso la stragrande maggioranza dei cattolici. Molti vogliono, invece, superare i tradizionali ruoli sociali, condizionati culturalmente, e la discriminazione delle donne, che continua a essere presente, senza con questo negare la differenza naturale e creaturale tra i sessi e la loro reciprocità e complementarietà.

Non c’è dunque motivo all’interno della Chiesa per uno stato d’animo di catastrofismo o di abdicazione. Esiste un patrimonio di fede chiaro e ampiamente condiviso, dal quale l’Assemblea Sinodale può partire, di cui si dovrebbero rendere più universalmente consapevoli i fedeli attraverso una più profonda catechesi sul matrimonio e la famiglia. Sulla base di questa fondamentale convinzione è possibile una riflessione comune sui compiti missionari delle famiglie cristiane e sulle questioni della giusta risposta pastorale alle situazioni difficili.

Sarebbe auspicabile che il Sinodo, partendo dalla comune base di fede, guardasse al di là della cerchia dei cattolici praticanti e, considerando la situazione complessa della società, trattasse delle obiettive difficoltà sociali e culturali che pesano oggi sulla vita matrimoniale e familiare. Non abbiamo a che fare solo con problemi di etica individuale, ma con strutture di peccato ostili alla famiglia, in un mondo di disuguaglianza e d’ingiustizia sociale, di consumismo da una parte e di povertà dall’altra. Il rapido cambiamento culturale in tutti gli ambiti trascina le famiglie, che sono la cellula fondamentale della società, in un processo di stravolgimento che mette in questione la tradizionale cultura familiare e spesso la distrugge. D’altra parte, la famiglia è quasi l’ultima realtà umana accogliente in un mondo determinato pressoché esclusivamente dalla finanza e dalla tecnologia. Una nuova cultura della famiglia può essere il punto di partenza per una rinnovata civiltà umana.

b) Solidità e chiarezza nei percorsi formativi

Accostando ora più da vicino la pastorale rivolta alle famiglie in via di costituzione, si deve rilevare l’incertezza che accompagna molti giovani, che aspirano con speranza ad un amore stabile e duraturo. Rivolgendosi alla Chiesa, essi domandano - non sempre in modo esplicito - di essere motivati a vincere le loro legittime paure e ad essere accolti da una comunità, che testimoni loro la bellezza e la concretezza della vita matrimoniale con tutte le sue reali difficoltà, specialmente relazionali ed economiche. Il desiderio di famiglia che essi portano nel cuore ha bisogno di essere confermato e sostenuto da catechesi solide, che invitino loro anche ad inserirsi nella comunità delle famiglie credenti. Tali comunità sono presenti in molte parrocchie del mondo e sono un segno molto incoraggiante dei nostri tempi.

In tal senso, occorre accompagnare i nubendi verso una chiara consapevolezza di quello che è il matrimonio nel disegno del Creatore, alleanza che tra i battezzati ha sempre la dignità sacramentale (CIC, can. 1055 §§ 1-2). Gli elementi sostanziali e le proprietà essenziali (unicità, fedeltà, fecondità) di questo disegno, se sono non semplicemente disattesi, ma esclusi con un atto positivo di volontà, rendono invalido il matrimonio. D’altra parte, la fede personale facilita l’accoglienza della grazia sacramentale, per la quale il matrimonio cristiano viene corroborato, nel perseguimento responsabile dei suoi beni essenziali. Malgrado le parole molto chiare della liturgia che gli sposi pronunciano, non pochi, infatti, si accostano al sacramento senza la chiara consapevolezza di assumere dinanzi al Signore l’impegno di accogliere e donare la vita al coniuge, senza condizioni e per sempre. Anzi, sotto l’influsso della cultura dominante, non pochi si riservano il cosiddetto "diritto" di non osservare la fedeltà coniugale, di divorziarsi e risposarsi se il matrimonio non dovesse funzionare, o di non aprirsi alla vita. La serena e coraggiosa assunzione di tale responsabilità, invece, è segno della personale scelta di fede senza la quale il sacramento, seppur valido, non risulta efficace. Il matrimonio, infatti, oltre ad essere un rapporto personalissimo ed un vincolo spirituale, è necessariamente anche un’istituzione della società. Questo vuol dire che la condizione matrimoniale della persona davanti a Dio, realtà che non è percepibile con i sensi umani, deve essere accolta nel modo più vero possibile anche dalla comunità. Perciò alcune presunzioni sono indispensabili circa lo stato matrimoniale della persona. Dalla stessa natura delle presunzioni consegue però la possibilità della divergenza tra la condizione presunta e quella reale, sacramentale, della persona. Infatti, anche se l’amore in sé non è una realtà soggetta al giudizio ed alla verifica di terzi, lo è, senza dubbio, l’istituto del matrimonio e della famiglia, vista la loro rilevanza sociale ed ecclesiale.

Nel corso dei secoli, la Chiesa ha voluto salvaguardare la verità dell’umano anche con norme giuridiche tese a garantire che l’impegno della libertà, assunto con consapevolezza nell’atto del consenso, non venisse equiparato a qualsiasi altro impegno. Lo sforzo pastorale della Chiesa nell’accompagnare i fidanzati al matrimonio dovrà essere sempre maggiore per mostrare il valore ed il fascino di un legame perenne.

c) La famiglia come protagonista dell’evangelizzazione

Oltre alla vocazione speciale e primaria della famiglia all’educazione umana e cristiana dei figli, esiste una missione dei membri della famiglia di trasmettere la fede e renderne testimonianza davanti agli altri. La famiglia risulta anche nucleo della comunità parrocchiale. In molti paesi del mondo esistono comunità vive nelle parrocchie, composte da coniugi o da famiglie intere, che si incontrano regolarmente, pregano insieme, studiano e approfondiscono il Catechismo, leggono la Bibbia, parlano di problemi della vita quotidiana, delle difficoltà e bellezze della vita comune della coppia, di questioni di educazione. In altre parole, si sforzano di coniugare la fede con la vita. Si aiutano a vicenda in caso di malattia, disoccupazione od altri problemi. Molti di loro partecipano al lavoro della caritas. Non pochi aiutano nella preparazione degli sposi al matrimonio stabilendo con loro rapporti di amicizia che durano anche dopo la celebrazione del matrimonio. Ci sono gruppi di giovani madri cattoliche con figli piccoli che accolgono anche madri senza un’appartenenza religiosa o non credenti, realizzando così una nuova forma di missione. Dalle famiglie provengono diverse nuove comunità che aiutano alle coppie in crisi o assistono alle donne in difficoltà esistenziali o psicologiche. Sembra importante di promuovere e diffondere queste iniziative per tutta la Chiesa.

d) L’azione pastorale in situazioni di crisi

L’Instrumentum Laboris constata: «che la perdita di valori, e addirittura la disgregazione della famiglia, possono trasformarsi in occasione di fortificazione del legame coniugale. Per superare la crisi può essere di aiuto il sostegno di altre famiglie disposte ad accompagnare il difficile cammino della coppia in crisi. In particolare, si sottolinea la necessità che la parrocchia si faccia prossima come una famiglia di famiglie» (n. 63).

e) Difficoltà interne alla famiglia e pressioni esterne

La diffusa difficoltà a stabilire una comunicazione serena all’interno del nucleo familiare è dovuta a molteplici fattori quali: le preoccupazioni di tipo lavorativo ed economico; visioni diverse nell’educazione dei figli, provenienti da differenti modelli educativi genitoriali; tempi ridotti del dialogo e del riposo. A ciò si aggiungono fattori disgreganti quali la separazione e il divorzio, con le conseguenze di realtà familiari allargate o, viceversa, monoparentali, in cui i riferimenti genitoriali si confondono o si riducono, fino ad annullarsi. Infine, non è di poco conto la diffusa mentalità egoista che si chiude alla vita, con la preoccupante crescita della pratica abortiva. Lo stesso egoismo può condurre alla falsa visione di considerare i figli come oggetti di proprietà dei genitori, che possono essere fabbricati secondo i loro desideri.

Specialmente in contesti dove la povertà è ampiamente diffusa, sono particolarmente le donne e i bambini a risentire di violenza ed abusi; tuttavia, anche nei contesti maggiormente sviluppati non mancano fattori disgreganti, dovuti a varie forme di dipendenza, come alcol, droghe, gioco d’azzardo, pornografia, altre forme di dipendenza sessuale e social network. Dinanzi a tali sfide, la Chiesa avverte l’urgenza di evangelizzare la famiglia mediante l’annuncio della sobrietà e dell’essenzialità, incoraggiando il valore delle relazioni personali, la sensibilità verso i più poveri, la capacità di un uso responsabile dei mass media e delle nuove tecnologie, nel rispetto della dignità delle persone, specialmente le più deboli e indifese, che pagano il prezzo più alto della solitudine e dell’emarginazione.

Tra le pressioni esterne, la crescente precarietà lavorativa rappresenta un incubo per molte famiglie; il fenomeno migratorio induce spesso nella famiglia consistenti squilibri, come quelli sperimentati da coloro che si muovono dalla propria terra - spesso a causa della guerra e della povertà - o da coloro che si trovano a riceverli nel proprio paese. Il concreto sostegno da parte della Chiesa verso queste famiglie non può prescindere da un fattivo impegno degli Stati e degli enti pubblici preposti alla tutela e promozione del bene comune, mediante politiche adeguate.

3. Le situazioni pastorali difficili

a) La Chiesa come "casa paterna" (EG 47)

Come afferma il Papa Francesco: «La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità [...] la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società» (Evangelii gaudium, 66). Al riguardo, l’Instrumentum Laboris rileva: «Dalle risposte emerge la comune considerazione che, nell’ambito di quelle che possono definirsi situazioni matrimoniali difficili, si celano storie di grande sofferenza, come pure testimonianze di sincero amore. "La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre"» (EG 47). Una vera urgenza pastorale è quella di permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale.

Per affrontare correttamente tali situazioni, in primo luogo, la Chiesa afferma il valore irrinunciabile della verità dell’indissolubilità del matrimonio, fondata già sul progetto originale del Creatore (Gen 1,27; 2,24; cf Mt 19, 4-9). Riguardo alla dignità sacramentale, invece, che esso riveste fra battezzati, afferma che si basa sul profondo collegamento fra il vincolo nuziale e quello indissolubile di Cristo con la Chiesa (Ef 5,22-33). In secondo luogo, è necessaria una rinnovata e adeguata azione di pastorale familiare. Essa deve sostenere i coniugi nel loro impegno di fedeltà reciproca e di dedizione ai figli. Inoltre, è necessario riflettere sul modo migliore di accompagnare le persone che si trovano nelle suddette situazioni, in modo che non si sentano escluse dalla vita della Chiesa. Infine, occorre individuare forme e linguaggi adeguati per annunciare che tutti sono e restano figli e sono amati da Dio Padre e dalla Chiesa madre.

b) Verità e misericordia

Negli ultimi decenni il tema della misericordia è emerso sempre più in primo piano come un punto di vista importante nell’annuncio del Vangelo. La misericordia di Dio, già presentata diffusamente nell’Antico Testamento (cf Es 34,6; 2 Sam 24,14; Sal 111,4 ecc.), è rivelata al suo vertice soprattutto nei gesti e nella predicazione di Gesù. Nella parabola del Padre misericordioso (cf Lc 15,11-32), oltre che in tutto il Nuovo Testamento, la misericordia costituisce una verità centrale: Dio è ricco di misericordia (cf Ef 2,4). Secondo Tommaso d’Aquino, essa è la più importante proprietà di Dio (cf. Summa theol. II/II q. 30 a. 4; Evangelii gaudium, 37); esprime l’assoluta sovranità di Dio e indica la creatrice fedeltà a se stesso del Dio che è amore (cf. 1Gv 4, 8.16). Per ricevere questa misericordia il figliol prodigo ritorna al Padre, chiede perdono, comincia una vita nuova. La manifestazione più decisiva della divina misericordia verso l’umanità è l’Incarnazione e l’Opera salvifica di Cristo. Secondo il Vangelo di San Marco, Cristo stesso comincia l’annuncio della Buona Novella con l’appello alla conversione: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Dio infatti non si stanca mai di perdonare al peccatore che si converte, e non si stanca di dargli sempre di nuovo una possibilità. Questa misericordia non significa giustificazione del peccato, ma giustificazione del peccatore però nella misura in cui si converte e si propone di non peccare più.

La misericordia significa dare oltre al doveroso, regalare, aiutare. Solo la misericordia di Dio può realizzare il vero perdono dei peccati. Nell’assoluzione sacramentale Dio ci perdona mediante il ministero della Chiesa. Per noi rimane il compito di rendere testimonianza della misericordia di Dio e di esercitare gli atti classici, conosciuti già nell’Antico Testamento, della misericordia spirituale e corporale. Il luogo privilegiato di vivere questi atti di misericordia è proprio la famiglia.

Il significato della misericordia per la Chiesa di oggi è stato messo in risalto da San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II. Egli ha dichiarato che la Chiesa in ogni tempo deve opporsi all’errore; oggi tuttavia essa deve ricorrere alla medicina della misericordia più che alle armi del rigore. In questo modo il Papa ha conferito la tonalità fondamentale al Concilio. San Giovanni Paolo II ha ripreso questa istanza nella sua seconda enciclica Dives in misericordia (1980) e ha dedicato alla Divina Misericordia la seconda domenica del tempo pasquale. Papa Benedetto XVI ha approfondito il tema nell’enciclica Deus caritas est (2005). Sin dall’inizio del Suo pontificato, Papa Francesco ha ribadito: "Dio mai si stanca di perdonarci, mai! [...] noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono" (Angelus del 17 marzo 2013). Anche nel caso della famiglia, del matrimonio, del significato della sua indissolubilità, valgono le parole di Papa Francesco: «La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé. Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio» (EG 112). Essa è «il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (ivi 114).

La misericordia, come tema centrale della rivelazione di Dio, è insomma importante per l’ermeneutica dell’agire ecclesiale (cf EG 193 ss.); naturalmente, essa non elimina la verità e non la relativizza, ma conduce a interpretarla correttamente nel quadro della gerarchia delle verità (cf UR 11; EG 36-37). Non elimina neanche l’esigenza della giustizia. La misericordia non toglie quindi neppure gli impegni che nascono dalle esigenze del vincolo matrimoniale. Questi continuano a sussistere anche quando l’amore umano si è affievolito o è cessato. Ciò significa che, nel caso di un matrimonio sacramentale (consumato), dopo un divorzio, mentre il primo coniuge è ancora in vita, non è possibile un secondo matrimonio riconosciuto dalla Chiesa.

c) Le convivenze e i matrimoni civili

Com’è stato rilevato dalle risposte al Questionario e riassunto nell’Instrumentum Laboris, le situazioni difficili o irregolari sono diverse e non si può stabilire per tutte in forma rigida il medesimo percorso (cf n. 52) occorre discernere caso per caso. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna, consiste nel cogliere la realtà dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, anche delle convivenze. Infatti, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove, e può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista ad un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale.

La Chiesa non può non cogliere anche in situazioni, a prima vista lontane da criteri rispondenti al Vangelo, un’opportunità per farsi accanto alle persone al fine di farle arrivare ad una consapevole, vera e giusta decisione circa il loro rapporto. Non c’è alcuna situazione umana che non possa diventare per la Chiesa occasione per trovare linguaggi adeguati a far comprendere il valore dell’unione matrimoniale e della vita familiare alla luce del Vangelo. La sfida che ci è posta oggi, consiste nel riuscire a mostrare quel meglio che spesso non si coglie o si è incapaci di cogliere.

d) La cura pastorale dei divorziati risposati

Innanzitutto, quello dei divorziati risposati civilmente è solo un problema nel grande numero di sfide pastorali oggi acutamente avvertite (cf in proposito FC 84). Anzi è da registrare che in alcuni paesi non si dà questo problema, in quanto non esiste matrimonio civile, in altri paesi la percentuale dei divorziati risposati tende a diminuire a motivo della non volontà di contrarre un nuovo matrimonio – neanche civile – dopo il fallimento del primo. In base alle risposte date al Questionario risulta che questo problema ha accenti diversi nelle singole regioni del mondo (cf Instrumentum Laboris nn. 98-100).

Alla luce di quanto è già stato detto, non si tratta di mettere in questione la parola di Cristo (cf Mt 19,3-12 par.) e la verità dell’indissolubilità del matrimonio (cf Denzinger - Hünermann 1327; 1797; 1807; GS 49), e neanche di ritenerle di fatto non più in vigore. Sarebbe inoltre fuorviante il concentrarsi solo sulla questione della recezione dei sacramenti. La risposta, quindi, può essere cercata nel contesto di una più ampia pastorale giovanile e di preparazione al matrimonio. E’ necessario anche un accompagnamento pastorale intensivo del matrimonio e della famiglia, in particolare nelle situazioni di crisi. Per quel che concerne i divorziati che si sono risposati civilmente, non pochi ribadiscono che bisogna tener conto della differenza tra chi colpevolmente ha rotto un matrimonio e chi è stato abbandonato. La pastorale della Chiesa dovrebbe prendersi cura di loro in modo particolare.

I divorziati risposati civilmente appartengono alla Chiesa. Hanno bisogno e hanno il diritto di essere accompagnati dai loro pastori (cf Sacramentum caritatis n. 28). Essi sono invitati ad ascoltare la parola di Dio, a partecipare alla liturgia della Chiesa, alla preghiera e a compiere le opere buone della carità. La pastorale della Chiesa deve prendersi cura di loro in un modo tutto particolare, tenendo presente la situazione di ciascuno. Da qui la necessità di avere almeno in ogni chiesa particolare un sacerdote, debitamente preparato, che possa previamente e gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Infatti, molti sposi non sono coscienti dei criteri di validità del matrimonio e tanto meno della possibilità dell’invalidità. Dopo il divorzio, questa verifica deve essere portata avanti, in un contesto di dialogo pastorale sulle cause del fallimento del matrimonio precedente, individuando eventuali capi di nullità. Allo stesso tempo, evitando ogni apparenza di un semplice espletamento burocratico ovvero di interessi economici. Se tutto questo si svolgerà nella serietà e nella ricerca della verità, la dichiarazione di nullità produrrà una liberazione delle coscienze delle parti.

e) La prassi canonica delle cause matrimoniali e la via extra-giudiziale

Tenendo presente quanto rilevato dall’Instrumentum Laboris, a proposito della ampia richiesta di semplificazione delle cause matrimoniali (cf nn. 98-102), dal punto di vista pastorale, e tenendo conto della diffusione della mentalità divorzista in ordine alla valida celebrazione del sacramento, non sembra azzardato, come appena accennato, ritenere che non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi. Per accertare in maniera efficace e snella l’eventuale nullità del vincolo sembra, a non pochi, che sia da rivedere, in primo luogo, l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, procedendo al secondo grado solo se c’è appello da una o da entrambe le parti ovvero da parte del difensore del vincolo, entro un tempo definito. Un eventuale soluzione di questo genere dovrebbe, in ogni caso, evitare qualsiasi meccanicità e l’impressione della concessione di un divorzio. Tuttavia, in certi casi potrebbero essere necessarie altre garanzie, per esempio l’obbligo del difensore del vincolo ad appellare, al fine di evitare soluzioni ingiuste e scandalose.

In secondo luogo, per la già accennata larga diffusione della mentalità divorzista in molte società e vista la prassi dei tribunali civili che pronunciano le sentenze di divorzio, accade frequentemente che le parti che celebrano un matrimonio canonico, lo fanno riservandosi il diritto di divorziare e contrarre un altro matrimonio in presenza di difficoltà nella convivenza. Tale simulazione, anche senza la piena consapevolezza di questo aspetto ontologico e canonico, rende invalido il matrimonio. Per provare detta esclusione dell’indissolubilità basta la confessione della parte simulante confermata dalle circostanze ed altri elementi (cf CIC cann. 1536 § 2, 1679). Se è così già nel processo giudiziale, è pensabile, per alcuni, la produzione della stessa prova nel quadro di un processo amministrativo. Inoltre, secondo proposte autorevoli, occorrerebbe valutare la rilevanza dell’intenzione della fede dei nubendi in ordine alla validità del matrimonio sacramento, secondo il principio generale che per la validità di un sacramento è necessario che vi sia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (cf Benedetto XVI, Discorso al Tribunale della Rota Romana, 26 gennaio 2013, n. 4).Questa via extra-giudiziale potrebbe prevedere – secondo loro - un itinerario di conoscenza, discernimento e approfondimento che, nel caso di presenza delle condizioni di invalidità, potrebbe culminare nella dichiarazione di nullità da parte del Vescovo diocesano, il quale andrebbe anche a proporre un cammino di presa di coscienza e conversione alla persona interessata in vista di un eventuale futuro matrimonio, per non ripetere la stessa simulazione.

In terzo luogo, bisogna tenere presente che per risolvere certi casi esiste la possibilità di applicare il "privilegio paolino" (cf CIC, cann. 1143-1147) o ricorrere al "privilegio petrino" (nei casi di matrimoni contratti con disparità di culto). Infine, bisogna anche tenere presente la possibilità dello scioglimento, "per grazia", del matrimonio rato e non consumato.

f) La prassi delle Chiese ortodosse

L’Instrumentum Laboris segnala che certe risposte suggeriscono di esaminare più approfonditamente la prassi di alcune delle Chiese ortodosse, che prevede la possibilità di seconde nozze e terze connotate da un carattere penitenziale (cf n. 95). Detto studio si rende necessario per evitare interpretazioni e conclusioni non sufficientemente fondate. Questo tema sottolinea l’importanza dello studio della storia della disciplina della Chiesa in Oriente e in Occidente. A questo riguardo si potrebbe riflettere sul possibile contributo della conoscenza della tradizione disciplinare, liturgica e dottrinale delle Chiese orientali.

4. La famiglia e il Vangelo della vita

 a) Annunciare il Vangelo della vita

Data la diversità culturale e di tradizioni in seno alle varie realtà che compongono la Chiesa cattolica, risulta di grande aiuto nell’opera di evangelizzazione, di inculturazione del Vangelo, l’apporto delle singole Conferenze episcopali. Ugualmente a quanto si realizza nella comunione episcopale, è necessario che questa sinergia nell’annuncio si realizzi sub Petro et cum Petro.

L’apertura alla vita non si aggiunge, per un’imposizione esterna o per una scelta opinabile e facoltativa, all’amore coniugale, ne è parte essenziale, esigenza intrinseca, perché quest’amore tende alla comunione e la comunione genera vita. Nel mondo occidentale non è raro trovare coppie che scelgono deliberatamente di non avere figli, situazione paradossalmente simile a quella di chi fa di tutto per averne. In entrambi i casi la possibilità di generare un figlio è appiattita sulla propria capacità di autodeterminazione, ricondotta a una dimensione di progettazione che mette se stessi al centro: i propri desideri, le proprie aspettative, la realizzazione dei propri progetti che non tengono presente l’altro.

L’amore sponsale, e più in generale la relazione, non deve mai costruirsi come un circolo chiuso. Nell’accoglienza dei figli si condensa l’accoglienza dell’altro, degli altri, con cui si impara a scoprire e a costruire la nostra umanità. Accogliere un figlio non è soltanto metterlo al mondo, ma generarlo nella sua alterità, dargli la vita.

L’accoglienza della vita non può essere pensata come limitata unicamente al concepimento e alla nascita. Essa si completa nell’educazione dei figli, nel sostegno offerto alla loro crescita. E anche su questo versante si richiede una riflessione che tocca le dinamiche culturali e sociali, soprattutto il rapporto tra le diverse generazioni.

b) La famiglia nel contesto relazionale

È anche vero tuttavia che l’accoglienza della vita, l’assunzione di responsabilità in ordine alla generazione della vita e alla cura che essa richiede, sono possibili solo se la famiglia non si concepisce come un frammento isolato, ma si avverte inserita in una trama di relazioni. Ci si educa ad accogliere veramente il figlio se si è dentro una realtà di relazioni parentali, amicali, istituzionali, sia civili che ecclesiali. Diventa sempre più importante non lasciare la famiglia, le famiglie, da sole, ma accompagnarne e sostenerne il cammino. Quando questo non accade, le tensioni e le inevitabili fatiche di quella comunicazione che è implicata nella vita della famiglia, nella relazione tra coniugi o in quella tra genitori e figli, possono acquistare talvolta toni drammatici, tanto da esplodere in gesti di follia distruttrice. Dietro le tragedie familiari c’è molto spesso una disperata solitudine, un grido di sofferenza che nessuno ha saputo scorgere.

Perché si possa veramente accogliere la vita nella famiglia e averne cura sempre, dal concepimento fino alla morte naturale, è necessario ritrovare il senso di una solidarietà diffusa e concreta. Recuperare la responsabilità formativa della comunità, in particolare della comunità ecclesiale. Attivare a livello istituzionale le condizioni che rendano possibile questa cura facendo cogliere la nascita di un bambino, così come l‘assistenza a un anziano, quale bene sociale da tutelare e favorire. C’è bisogno di comunità ecclesiali che organizzano i tempi e gli spazi della pastorale a misura di famiglia. C’è bisogno, poi, di superare la tendenza alla privatizzazione degli affetti. Il mondo occidentale rischia di fare della famiglia una realtà affidata esclusivamente alle scelte del singolo, totalmente sganciata da un quadro normativo e istituzionale. Una simile privatizzazione rende più fragili i legami familiari, li svuota progressivamente del senso che è loro proprio.

La relazione che dà vita ad una famiglia, le relazioni che si stabiliscono al suo interno, sono punto di incrocio tra la dimensione privata e quella sociale. Nelle società tradizionali la dimensione sociale del matrimonio e della famiglia si esplica in un controllo comunitario così forte da risultare talvolta soffocante. Occorre trovare il giusto punto di equilibrio tra queste differenti dimensioni, entrambe però essenziali alla vita della famiglia così come alla realtà della persona, che è sempre insieme persona singola e persona sociale. Nella vita della famiglia si sperimenta come nelle scelte più intime del soggetto sia presente una dimensione di trascendenza. Attraverso i coniugi, il loro concreto aprirsi alla generazione della vita, si fa l’esperienza di un mistero che ci trascende. L’amore che unisce i due coniugi e che diventa principio di nuova vita, è l’amore di Dio.

c) La responsabilità della Chiesa e l’educazione

Alla Chiesa spetta annunciare e testimoniare l’altissima dignità della persona umana. La Chiesa non si limita a dire ai fedeli e agli uomini di buona volontà cosa essi debbano fare, ma si fa solidale con loro. Condivide le loro speranze, i loro desideri e le loro difficoltà. Questo è un forte segno di credibilità davanti agli occhi del mondo.

Una particolare cura va destinata in tal senso all’educazione dell’affettività e della sessualità. Occorre infatti prima di tutto saperla apprezzare e annunciarne il valore. Va ribadita in tal senso l’importanza dei cammini formativi. La testimonianza da parte degli adulti aggiunge credibilità agli ideali che devono essere presentati con chiarezza. Senza dubbio, alle giovani generazioni aiuta molto la testimonianza di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, di accoglienza reciproca, di perdono, capace di crescere nel tempo senza consumarsi nell’immediatezza. Nello stesso tempo occorre però evitare banalizzazioni, superficialità e forme di "tolleranza" che nascondono una sostanziale indifferenza e incapacità di attenzione. Risulta inoltre necessario continuare nella proposta della visione personalista dell’amore coniugale delineata dal Vaticano II (cf Gaudium et spes, n. 49), tenuto conto anche delle grandi sfide costituite dal modo di presentare l’amore e la famiglia in molti mass media. Anche questo è un tema che richiede più studio.

d) Temi riguardanti l’Humanae vitae

Su queste prospettive è possibile una riproposta positiva del messaggio dell’Humanae vitae attraverso un’ermeneutica storica adeguata, che sappia cogliere i fattori storici e le preoccupazioni che hanno retto la sua stesura da parte di Paolo VI. In altre parole, occorre rileggere l’Enciclica nella prospettiva che lo stesso Paolo VI indicava nell’udienza del 31 luglio 1968: «… non è soltanto la dichiarazione di una legge morale negativa, cioè l’esclusione di ogni azione, che si proponga di rendere impossibile la procreazione (n. 14), ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità "nella visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna" (n. 7). È il chiarimento di un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e sociale dell’uomo, ma non è la trattazione completa di quanto riguarda l’essere umano nel campo del matrimonio, della famiglia, dell’onestà dei costumi, campo immenso nel quale il magistero della Chiesa potrà e dovrà forse ritornare con disegno più ampio, organico e sintetico».

Va poi specificato che la norma morale da essa ricordata si attua alla luce della "legge della gradualità", secondo le indicazioni già formulate nel n. 34 di Familiaris consortio: ricordando che l’uomo in quanto essere storico «… conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita».

Conclusione

Se guardiamo alle origini del cristianesimo, vediamo come esso sia riuscito ad essere accettato ed accolto – malgrado ogni rifiuto e diversità culturale – per la profondità e forza intrinseca del suo messaggio. Infatti, è riuscito a illuminare la dignità della persona alla luce della Rivelazione, anche riguardo l’affettività, la sessualità e la famiglia.

La sfida da accogliere da parte del Sinodo è proprio di riuscire a proporre nuovamente al mondo di oggi, per certi versi così simile a quello dei primi tempi della Chiesa, il fascino del messaggio cristiano riguardo il matrimonio e la famiglia, sottolineando la gioia che danno, ma allo stesso tempo di dare delle risposte vere ed impregnate di carità (cf Ef 4,15) ai tanti problemi che specialmente oggi toccano l’esistenza della famiglia. Evidenziando che la vera libertà morale non consiste nel fare ciò che si sente, non vive solo di emozioni, ma si realizza solamente nell’acquisizione del vero bene.

In concreto ci viene chiesto prima di tutto di porci a fianco delle nostre sorelle e dei nostri fratelli con lo spirito del buon Samaritano (cf Lc 10, 25-37): essere attenti alla loro vita, essere in particolare vicini a coloro che sono stati "feriti" dalla vita ed aspettano una parola di speranza, che noi sappiamo, solo Cristo può darci (cf Gv6, 68).Il mondo ha bisogno di Cristo. Il mondo ha bisogno anche di noi, perché apparteniamo a Cristo.

6 ottobre 2014