La prossima implosione di Forza Italia
Sia gli ultimi risultati delle amministrative che i sondaggi pre-elettorali mostrano uno scenario molto chiaro: l'implosione di Forza Italia. Difficilmente la scissione di Fitto potrà avere un seguito, ma è Berlusconi stesso a non esercitare più alcuna presa sull'elettorato. Il grosso del suo zoccolo duro non vota più.
Raffaele Fitto non è e non diventerà mai un leader nazionale, così come non lo erano e non lo sono diventati i vari transfughi di Forza Italia. Chi ha lasciato il partito di Berlusconi negli ultimi anni lo ha fatto quasi sempre per calcoli di potere e non per dissenso sui contenuti. Tuttavia, sarebbe sbagliato liquidare l’uscita dell’europarlamentare pugliese come l’ennesima “mini-scissione” nel centrodestra.
Il quadro politico rispetto al 2013, epoca della rottura Berlusconi-Alfano, è profondamente diverso e anche la consistenza elettorale della pattuglia azzurra si è assai ridotta da allora. L’emorragia di consensi nella galassia forzista viene percepita da tutti come irreversibile. Al di là dei proclami di circostanza, dettati dal clima pre-elettorale, nessuno più crede nell’inversione di tendenza. Il progressivo appannamento dell’immagine del fondatore coincide con l’erosione di quel patrimonio di fiducia che aveva consentito al centrodestra di vincere le elezioni del 1994, del 2001 e del 2008. Oggi Forza Italia nei sondaggi viene accreditato di un 12%, percentuale pari a un terzo di quella dei momenti gloriosi. Pertanto, se la fuoriuscita di dieci o venti parlamentari, fino a qualche anno fa, passava inosservata o veniva catalogata come fisiologica dinamica interna a un partito, oggi scelte come quella di Fitto vengono interpretate come la riprova della dissoluzione ineluttabile. D’altronde già alcune settimane fa, esponenti di punta dell’entourage berlusconiano avevano intonato il de profundis al progetto forzista auspicando, senza troppa convinzione, un cambio di passo nella gestione del partito.
Rispetto al 2013 sono cambiate tante cose, ma soprattutto è cambiato l’avversario. Contro la vecchia guardia postcomunista (D’Alema, Bersani) la competizione poteva essere gestibile, ma contro un rottamatore come Renzi la battaglia è apparsa subito impari. Berlusconi ha oscillato tra l’accordo con l’attuale premier e l’opposizione antigovernativa senza sconti, col risultato di disorientare il suo elettorato e di lasciare campo libero alle altre opposizioni, dal Movimento Cinque Stelle alla Lega, apparse più coese e credibili agli occhi dell’opinione pubblica.
Un’indagine sulle intenzioni di voto pubblicata ieri paventa il rischio di un’astensione vicina al 50%. Il partito dei “senza partito” è di gran lunga maggioranza nel Paese, considerato che il Pd difficilmente bisserà il successo delle europee e si attesterà abbondantemente sotto il 40%. Un italiano su due non sa per chi votare e sembra intenzionato a disertare le urne. Tra gli apatici e i disillusi certamente gli ex elettori di Forza Italia sono la maggioranza. Il loro leader non appare più attrattivo e le altre proposte politiche alternative non convincono. Da anni, ormai, Berlusconi e i suoi hanno smesso di parlare al loro elettorato dei temi cruciali e distintivi quali la pressione fiscale, la sicurezza, la libertà d’impresa e si sono avvitati in sterili diatribe correntizie che puzzano tanto di vecchia politica politicante.
Lo zoccolo duro dell’elettorato di centrodestra si è dunque sparpagliato tra l’astensione, la Lega e Renzi. Molte indagini sul profilo dell’elettore renziano concordano su una cosa: l’attuale premier, quanto più mostra il pugno duro nei confronti della sinistra interna al Pd, tanto più raccoglie consensi nel recinto un tempo presidiato stabilmente dall’ex Cavaliere.
La cosiddetta area moderata è in evoluzione e gran parte di essa potrebbe ritenere più affidabile Renzi di Salvini. Lo stesso Fitto, che pure non ha mai digerito il Patto del Nazareno, potrebbe rivedere le sue posizioni ove il premier tagliasse i ponti con la sinistra più ideologica e si ponesse a capo di un’area di centro alternativa alle ali estreme di destra e di sinistra.
Quel che resta di Forza Italia finirà per andare con Renzi. L’apripista sarà Verdini, subito dopo le elezioni regionali. Ma non è escluso che lo stesso Berlusconi, in caso di sconfitta in Liguria e Campania, dovendo scegliere tra la definitiva sudditanza a Salvini e un nuovo accordo sulle riforme con Palazzo Chigi, opti per quest’ultima soluzione e riconsideri la possibilità di un appoggio esterno al governo.
Se domenica 31 maggio il centrosinistra vincesse in sei regioni su sette (tranne il Veneto di Zaia), Forza Italia imploderebbe e Salvini potrebbe andare definitivamente all’incasso, lanciare l’Opa decisiva sul centrodestra e chiedere subito le primarie per la scelta del leader. Quanti lo seguirebbero? Tra i due Matteo i dirigenti e gli elettori di Forza Italia chi sceglierebbero? E’ questa la vera scommessa dalla quale dipendono le sorti del centrodestra e probabilmente anche il futuro della legislatura.