La promessa di un destino buono, dopo tanti sacrifici
Il racconto dell’Eneide si apre in medias res, quando la nave di Enea sta salpando diretta verso il Lazio e Giunone decide di non darsi per vinta, cercando di ostacolare in ogni modo l’eroe. Fino a quando…
Il ricordo della città di Troia è immortale, non perché la storia ne abbia consacrato le vicende, ma perché l’arte con la sua potenza ha reso eterno il ricordo di quella città, realmente esistita. Oggi nessuno ne parlerebbe, se non fossero stati scritti poemi come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide o un carme come Dei sepolcri in cui Foscolo celebra con grande efficacia espressiva quel luogo:
Ed oggi nella Troade inseminata
Eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dardano figlio,
onde fur Troia e Assaraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
[…] Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo […].
Foscolo ricorda la discendenza divina della città. La ninfa Elettra, amata da Giove, chiede prima di morire che possa essere ricordato almeno il suo nome, dal momento che non le è concessa l’eternità. Dardano, figlio del dio e della ninfa, si insedia nell’Asia minore: da lui deriva il nome dei Dardanidi, sinonimo di Troiani, da lui proviene anche il nome dell’insediamento urbano chiamato Dardania. Troo, nipote di Dardano, fonda invece la città di Troia; ha tre figli: Ilo (da cui deriva Ilio, sinonimo di Troia), Assaraco e Ganimede. Ilo è padre di Laomedonte, da cui discende Priamo, ultimo re di Troia. Assaraco è, invece, padre di Capis, da cui discende Anchise. Dal rapporto di quest’ultimo con la dea Venere proviene Enea, marito di Creusa: da qui deriva Ascanio o Iulo, capostipite della gens Iulia. Ganimede, bellissimo, rapito da Giove per divenire coppiere degli dei, sarà una delle cause dell’inestinguibile odio di Giunone per i Troiani.
Virgilio ci ricorda che un tempo Cartagine era prestigiosa e feconda, città prediletta da Giunone che ben sapeva che «da sangue troiano sarebbe/ discesa una progenie destinata a rovesciare un giorno le rocche dei Tirii» (Cartagine). Per questo motivo e per tante altre ragioni («il giudizio di Paride, l’oltraggio alla bellezza spregiata,/ […] gli onori resi a Ganimede rapito»), Giunone tiene lontano dal Lazio i Troiani, che vagano ormai da anni per i mari, «incalzati dai fati». Fondare il popolo romano era compito tanto oneroso, riflette Virgilio.
Insomma, il racconto dell’Eneide si apre in medias res, quando la nave di Enea sta salpando dai mari vicino alla Sicilia diretta verso il Lazio e Giunone decide di non darsi per vinta, anche se il fato le si oppone. Così la dea si dirige verso le isole Eolie in cerca di Eolo che comanda i venti e che li segrega «in celle e in catene», altrimenti essi potrebbero risucchiare «mari e terre e il cielo profondo». Giunone implora Eolo, cui è stato dato il potere «di calmare i marosi e sollevarli coi venti», perché incuta «violenza ai venti» e sommerga le navi. Gli promette in dono la ninfa bellissima Deiopea: diventerà sua sposa e lo renderà «padre d’una magnifica prole». Eolo obbedisce alla regina degli dei e pianta la lancia nel «fianco/ cavo del monte».
D’improvviso le nubi cancellano cielo e luce del giorno
Agli occhi dei teucri; pesa sul mare una notte tetra.
Rintrona la volta planetaria […]
[…] e tutto minaccia agli uomini morte imminente.
Enea impietrisce di paura e si rivolge in preghiera al cielo, lamentandosi di non aver trovato anche lui morte in guerra per mano di un eroe greco, come per esempio Diomede. Le navi dei Troiani sono incalzate dai venti e sommerse dalle acque. Nettuno, dio del mare, vede i Troiani in difficoltà, convoca i venti e li rimprovera perché hanno osato «rimescolare/ cielo e terra» senza la sua autorizzazione. Promette loro che la pagheranno, ma prima vuole riportare la tranquillità sul mare per salvare i Troiani.
Stremati, i compagni di Enea cercano di guadagnare
In fretta la costa più prossima, e puntano sulle spiagge africane.
C’è una baia profonda e nascosta: se ne fa porto
un’isola, riparandola con i fianchi […].
Enea ripara lì, con le sette navi sopravvissute al naufragio. I Troiani s’impossessano della spiaggia, si distendono sulla sabbia, «madidi di mare». I compagni cercano di portare in salvo il cibo «avariato dall’acqua» e gli arnesi «per tostar la granaglia», mentre Enea sale su uno scoglio per scrutare l’orizzonte. Non vede una nave in mare, ma cervi sulla spiaggia. Li abbatte per prepararne un pasto, distribuisce il vino e consola gli animi afflitti:
Compagni miei, da tempo condividiamo sventure;
ne avete passate di peggio: anche a queste un dio metterà
fine. […]
Forse anche questo un giorno vi piacerà ricordare.
Per disparati accidenti, per tanta varietà di pericoli
puntiamo sul Lazio, là dove i fati ci additano una
dimora tranquilla: là è scritto risorga il regno di Troia.
Tenete duro, e serbatevi alla buona fortuna.
Allora, recuperate le forze, si rievocano i compagni perduti e «più di tutti il pio Enea piange fra sé la fine atroce» degli amici morti, Oronte, Lico, Gia, Cloanto.
Venere si rivolge a Giove chiedendo che cosa possa aver commesso di male il suo Enea perché gli sia precluso il mondo, dopo le innumerevoli traversie e i lutti patiti: lui stesso, il padre degli dei, ha promesso che dai Troiani discenderanno i Romani, i condottieri che domineranno i mari e le terre; forse sono cambiati i disegni del cielo? È giusto che per l’ira di una sola dea ai Troiani sia impedito di approdare in Italia?
Giove rassicura allora la figlia. Il destino di Enea è immutato: la città promessa sarà fondata, il «magnanimo Enea» sarà portato fino alle stelle del cielo, ma prima dovrà sostenere una guerra tremenda in Italia, dovrà sconfiggere popoli. Dopo tre secoli Romolo fonderà la città che darà nome ai Romani. Alle gesta di questo popolo Giove non porrà confini di tempo, perché il loro potere sarà illimitato. Dai Romani proverrà un Cesare che darà l’Oceano come confine dell’impero e riporterà la pace universale. Questa è la profezia dell’avvento dell’imperatore Ottaviano Augusto.