APPROPRIAZIONE INDEBITA
                La primavera araba fra autoritarismo e islamismo
Sembrano spegnersi le speranze per una profonda trasformazione del Medio oriente. La debolezza dei giovani della rivoluzione si trova davanti la forza dell’esercito e dei partiti islamisti...
                Appropriazione indebita
                05_04_2011
                                
												
				ASIANEWS - (Roma). Nei mesi scorsi  il Nordafrica e il Medio oriente sono stati scossi e trasformati dal  vento della cosiddetta “primavera araba”. Soprattutto in Egitto si sono  avute dimostrazioni di unità nazionale fra cristiani e musulmani,  desiderio di vedere più democrazia, più rispetto dei diritti umani, più  lavoro. Ora, a qualche settimana dalla caduta di Mubarak, pare esservi  un ritorno alla “normalità” o forse alla “normalizzazione”: il  referendum sulla nuova costituzione non ha cambiato molto la carta;  l’esercito ha proibito manifestazioni pubbliche; i Fratelli musulmani  divengono più assertivi…
  Anche in Tunisia esiste la stessa difficoltà a trovare una via  di governo che non sia segnata dalla passata corruzione e intanto si è  aperto il fronte di una guerra in Libia che per la prima volta vede  coinvolto l’occidente in modo ambiguo. Ecco quanto ci ha detto il nostro  esperto sull’Islam.
 Non c’è futuro per questa primavera araba?
 Per rispondere a queste domande cerco di concentrarmi soprattutto  sul caso dell’Egitto, che conosco di più. Da una parte è normale che  dopo i rivolgimenti dei mesi passati, si cerchi di ritrovare il  quotidiano: la riapertura delle scuole per non far perdere l’anno agli  studenti; il lavoro per far crescere l’economia ancora in crisi.  L’atteggiamento dell’esercito è normale ed era prevedibile: Noi vi  sosteniamo – dicono – ma adesso il Paese deve riprendere a marciare per  non fallire dal punto di vista economico.
 Anche il referendum sulla costituzione era inevitabile nei suoi  risultati. Va precisato che all’interno del referendum non era previsto  il cambiamento dell’articolo 2, quello sulla sharia come fondamento  della legislazione egiziana, anche se i giovani vogliono sottometterlo a  referendum in un prossimo futuro.
 Ma se oggi ci fosse un referendum su questo, ci sarebbe solo un 30%  di persone che lo vogliono cancellare. Non perché il resto, il 70% sono  islamisti, ma perché la gente non è informata e conclude che, essendo  l’Egitto un Paese a maggioranza islamica, deve essere governato da leggi  islamiche. Va detto che in Egitto non vige una sharia così stretta come  in Arabia saudita, Iran o Pakistan. Questo problema perciò è sentito  solo dalle sensibilità più acute. Nel mondo arabo si discute sì sulla  laicità, ma molti non sanno nemmeno cosa sia. I cristiani sentono la  questione in modo forte, ma i musulmani non vi vedono alcun problema.
 I giovani che hanno fatto la rivoluzione non sono organizzati 
 In Egitto, gli unici partiti organizzati sono quello di Mubarak e i  Fratelli musulmani. Loro hanno fatto votare i dieci punti del  referendum, fatto varare la nuova costituzione, programmato le nuove  elezioni legislative per il mese di settembre 2011. Purtroppo, per i  giovani che hanno fatto la rivoluzione, sei mesi sono troppo pochi per  organizzarsi e ancora oggi non riescono a darsi un leader. Questo li  penalizzerà nelle elezioni. D’altronde questo è inevitabile: il Paese  non poteva rimanere troppo tempo senza costituzione e senza nuove  elezioni. In generale, perciò, posso dire che non vedo un boicottaggio  della rivoluzione, ma un semplice tentativo di incanalamento nella  normalità.
 È vero però il timore di un’involuzione islamica. I Fratelli  musulmani fanno propaganda per islamizzare di più la società attraverso  segni visibili: fanno pressione sulle ragazze che vanno senza velo,  oppure scandalizzano la popolazione mostrando El Baradei [candidato alla  presidenza in Egitto – ndr] come il fautore di una laicità “atea” e  “immorale”. Secondo un video che gira su internet, se la laicità viene  in Egitto, il Paese sarà anno dopo anno invaso dalle minigonne, dal bere  alcolici, dalla droga, dal matrimonio fra omosessuali, ecc..: tutti  aspetti che non c’entrano per nulla con la laicità. Questa propaganda  tocca la gente. Nelle reazioni al video, da me consultate, solo un  commento afferma: ma questo non è la laicità.
 Purtroppo il partito che ha fatto la rivoluzione non sa da che  parte andare. Devono trovare un leader capace di guidare, altrimenti,  sì, c’è il rischio di un passo indietro. Il futuro è dunque  un’incognita.
 I partiti islamici vogliono sequestrare la rivoluzione
 In Tunisia va meglio, da un certo punto di vista, ma anche lì il partito islamico Ennahdha, fondato da Rached Ghannouchi e vietato dal 1991, è stato riconosciuto il 1° marzo 2011. Con il partito Ettahrir (non  autorizzato) stanno cercando di cancellare la laicità. Il primo gesto  che hanno richiesto era di permettere il volto velato sui documenti  d’identità delle donne, che prima era vietato. Ieri, 2 aprile, è stato  votato questo “diritto”.
 Anche molti tunisini si sentono “musulmani” e alcuni tra i giovani  rifiutano la “laicità”. Fra gli intellettuali è diverso: essi vogliono  la laicità. Ma la maggior parte di loro vede questo problema attraverso  il sentimento degli immigrati in Francia: vivere in un Paese laico  limita le feste musulmane, proibisce il velo, permette la promiscuità…
 La preoccupazione dei cristiani per il futuro: democrazia e laicità 
 La preoccupazione per il futuro dei cristiani si pone soprattutto  in Iraq, Siria, Egitto, Libano, Giordania, Palestina, dove esistono  cristiani locali. Negli altri Paesi vi sono cristiani, ma si tratta di  stranieri e lavoratori immigrati.
 In Egitto la questione è molto seria. Quando ci sarà il referendum  sull’articolo 2 [la sharia come fondamento di tutte le leggi – ndr],  vedremo se ci saranno dei progressi. Alcune settimane fa ho parlato con  Tarek Heggy [scrittore liberale egiziano e imprenditore- ndr], e lui mi  ha confidato che “occorreranno almeno 10 anni per cancellare questo  articolo”. E questo sarà certo una delusione per i cristiani.
 In Siria, pur con tutte le rivolte, forse non cambierà nulla. Va  detto che i vescovi cristiani non vogliono che cambi nulla: il regime di  Assad (alauita) garantisce sicurezza e laicità, perché con il suo  autoritarismo mette fuori legge l’islamismo radicale. Chi è contrario  agli Assad non sono le minoranze; non sono i cristiani, che temono  l’avvento di un regime sunnita. Chi sta lottando (e sono la  maggioranza), sono i nemici degli Assad e cioè i sunniti – che si  sentono esclusi dal potere – e i Fratelli musulmani, che sono repressi  da decenni.
 Noi cristiani vogliamo la libertà, la democrazia, la giustizia, ma  anche la laicità, cioè la neutralità religiosa, vogliamo che tutti siano  considerati solo come cittadini, e non in quanto musulmani, cristiani o  altro. Purtroppo in Medio oriente, dovendo governare su gruppi forti e  fanatici, la laicità può essere imposto solo con la forza. Così è per  gli Assad, per l’Iraq di Saddam Hussein, per Mubarak, per la Tunisia.
 Lì dove c’è un regime meno forte, deve per forza fare concessioni  all’islamismo. Siamo quindi presi fra due opposti: la democrazia con la  laicità, o l’islamismo. Noi cristiani vogliamo entrambi, cioè democrazia  e laicità; ma in pratica per ora in Medio Oriente non si riesce ad  affermarli insieme. Così i cristiani alla fine preferiscono avere un  regime autoritario, ma che garantisca loro almeno un minimo di libertà  religiosa.
 Questo è il dramma del Medio oriente. In Europa democrazia e  laicità sono andate di pari passo; in Medio oriente vanno in  opposizione.
 Un esempio positivo: il Libano
 Di fronte a questa situazione, mi sembra importante citare l’unico  esempio positivo: quello del Libano, dove c’è democrazia e insieme una  laicità rispettosa delle religioni, totalmente diversa dalla laicità  occidentale. Nei giorni scorsi (il 2 aprile) il mufti sunnita Muhammad  Rachid Kabbani è salito a Bkerké – sede del patriarca maronita dal 1823 –  per incontrare il nuovo patriarca maronita Bechara Rahi (v. foto). Il  mufti ha proposto che vi sia presto a Bkerké, un grande incontro  islamo-cristiano “perché Bkerké – ha detto - è la sede nazionale e  spirituale attorno a cui convergono tutti i libanesi, cristiani e  musulmani”. Siccome in Libano non c’è ancora il governo, il mufti pensa  che in questo modo si può rafforzare “la comunione spirituale e sociale  per riedificare il tessuto sociale”.
 L’unico Paese dove c’è simbiosi fra i due elementi, è il Libano. E  benché i cristiani siano oggigiorno caduti al 35% circa della  popolazione totale, i musulmani sono d’accordo nel mantenere la loro  presenza politica al 50% dei seggi. Il motivo: si sono accorti che la  presenza dei cristiani è benefica per la società, e perciò li invitano a  non emigrare in Occidente!
 Fra i Paesi dove c’è calma, vi è la Siria, dove c’è autoritarismo,  ma laicità; e la Giordania, dove grazie al re vi è un certo equilibrio.  In Egitto vi sono molti che vogliono la convivenza e fanno  manifestazioni mostrando insieme la croce e il Corano, ma vi sono anche  coloro che aizzati dagli imam possono distruggere le chiese in un batter  d’occhio.
 Riflessione finale
 Il problema è che il popolo arabo non è maturo per la democrazia.  Temo che dovrà passare attraverso guerre civili o dittature islamiche  (come in Iran) per rendersi conto che quelle non sono soluzioni. C’è  però qualche speranza: chi in Egitto vuole una società ispirata  all’islam, rifiuta però un’immagine come quella dell’Arabia saudita o  dell’Iran.
 Finora, l’unico Paese dove cristiani e musulmani parlano e  dialogano alla pari è il Libano. Altrove non esiste perché sono ancora  troppo poche le voci musulmane che difendano la democrazia e la  neutralità in ambito religioso. Soprattutto sono rarissime le voci degli  imam che difendono la separazione tra politica e moschea, religione e  Stato.
 Infine, l’educazione religiosa nelle scuole è ancora troppo legata  alla cultura del passato e ai schemi del primo millennio. Manca  l’apertura alla modernità collegata colla rilettura delle fonti  religiosi. Una nuova ermeneutica dei testi fondatori è urgente. Ma ci  sono i maestri ? …
(tratto da AsiaNews 4-4-2011) 
			    
