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CROAZIA

La prima donna cattolica alla testa di un paese spaccato

Prima donna presidente per la Croazia. E la prima dell'Hdz dopo la morte di Franjo Tudjman (fondatore della Croazia indipendente) nel 1999. Kolinda Grabar Kitarović è cattolica, conservatrice, anti-comunista convinta. Ma ha vinto solo per una manciata di schede: le città le hanno votato contro.

Esteri 13_01_2015
Kolinda Grabar Kitarović festeggia la vittoria

Kolinda Grabar Kitarović è la nuova Presidente della Repubblica di Croazia. Dopo un appassionante testa a testa con il candidato socialdemocratico Ivo Josipović, Presidente uscente, la candidata del centro-destra ha alla fine prevalso con il 50,74% dei suffragi, una differenza di soli trentaduemila voti su un totale di due milioni duecentomila voti validi. 

L’esito di queste elezioni porta con sé, per molti aspetti, una novità assoluta per il Paese. Nella giovane storia della Croazia indipendente, infatti, l’ex Ministro degli esteri è la prima donna a essere eletta alla più alta carica dello Stato. E’ la prima volta che un Presidente uscente non viene confermato per un secondo mandato quinquennale (la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica non si possa presentare per una terza elezione). Inoltre, dopo la morte del Padre della Patria e primo presidente Franjo Tudjman, avvenuta nel dicembre del 1999, non era mai accaduto che un candidato dell’Hdz, principale partito di centro-destra, riuscisse a imporsi in occasione delle elezioni presidenziali.

Kolinda Grabar Kitarović è nata a Fiume il 29 aprile 1968, è sposata e ha due figli. Si è laureata in lingue (inglese e spagnolo) presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Zagabria, e ha ottenuto la laurea magistrale in Rapporti internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche della medesima università. La sua carriera professionale è iniziata nel 1993 presso il Ministero della scienza e della tecnologia, per poi proseguire nell’ufficio del Vice-ministro degli esteri, come consigliere e successivamente quella di capo dipartimento della sezione per il Nord-America. Nel 1998 si è trasferita presso l’ambasciata croata in Canada, dove ha svolto la funzione di consigliere diplomatico. Nel 2003 è stata eletta in Parlamento nelle file dell’Hdz; nello stesso anno è stata scelta come Ministro degli Esteri, e dal 2005 come capo della delegazione croata nelle trattative per l’entrata della Repubblica di Croazia nell’Unione Europea. Una volta lasciato il governo, nel 2008 è stata ambasciatrice della Croazia negli Stati Uniti e successivamente funzionaria della Nato.

Dal suo curriculum appare più che evidente come la sua esperienza professionale e politica si sia sviluppata prevalentemente nell’ambito della politica estera, che del resto, insieme alla politica di difesa, rappresenta una delle principali prerogative del Presidente della Repubblica nel sistema semi-presidenziale croato, mentre negli altri ambiti egli ha solamente compiti di indirizzo e di stimolo nei confronti del governo, vero detentore del potere esecutivo.

La Presidente designata si ripropone di rimodulare la politica estera di Josipović. Al contrario del Presidente uscente, che aveva rafforzato i rapporti con l’Inghilterra e avviato una politica di formazione di un’area geopolitica balcanica, da molti vista come un tentativo di formazione di una nuova Jugoslavia, la Grabar Kitarović intende attuare, all’interno dell’Unione Europea, un ricollocamento del Paese nell’area mitteleuropea stabilendo un asse preferenziale con la Germania. Considera la Bosnia-Erzegovina «la seconda Patria del popolo croato», e dichiara di supportare le legittime rivendicazioni dei croati residenti in quel Paese. Intende sviluppare rapporti di buon vicinato con la Serbia, senza tuttavia sacrificare, a tale scopo, la riaffermazione della verità storica dell’aggressione serba alla Croazia nei primi anni degli anni Novanta del secolo scorso, come invece è avvenuto negli ultimi quindici anni durante i mandati presidenziali di Mesić e di Josipović.

E’ quindi indubbio che la Grabar-Kitarović, conosciuta e apprezzata dai leader politici europei, rafforzerà la posizione della Croazia sullo scenario europeo.

La neo-Presidente è cattolica, e ha affermato di considerare la fede, la famiglia e l’amore per la Patria i principi fondamentali su cui si fonda la sua vita e la sua azione politica. Ella inoltre ha votato a favore del referendum di due anni fa grazie al quale è stata inserita nella Costituzione una norma che considera come famiglia solamente l’unione di vita tra un uomo e una donna. Tuttavia, interrogata sull’aborto nel corso di questa campagna elettorale, ha dichiarato di essere personalmente contraria, ma di rispettare il diritto di scelta di ogni donna sulla questione, e ha fornito risposte vaghe sulla questione delle unioni omosessuali.

Sebbene quindi non si nasconda qualche perplessità su determinate idee della Presidente designata, negli ambienti cattolici la vittoria della candidata dell’Hdz, o meglio la sconfitta di Josipović, è stata accolta con grande soddisfazione. Nei prossimi cinque anni non si vedrà la massima carica dello Stato lodare persone che indossano la titovka, il tipico berretto partigiano con la stella rossa, né partecipare alla commemorazione di massacri serbo-cetnici ai danni di croati avvenuti nella Seconda guerra mondiale, travestiti da insurrezione antifascista, come accade da quindici anni nella località di Srb nell’entroterra dalmata. Si spera inoltre che la futura Presidente possa rendere giustizia alle migliaia di vittime innocenti delle vendette partigiane e comuniste sepolte in massa nelle foibe in tutto il territorio croato. Tale giustizia non poteva certo venire da Josipović, il cui padre, ancora vivente, durante la Seconda Guerra Mondiale fu in posizioni di comando della famigerata “11. dalmatinska brigada” (11a brigata dalmata) dei partigiani comunisti, protagonista di numerosi eccidi di cattolici e di sacerdoti in Dalmazia e in Erzegovina, tra i quali quello di trenta frati francescani di Široki Brijeg.

Queste elezioni presidenziali hanno confermato ancora una volta che il Paese è spaccato in due, non solamente dal punto di vista culturale e ideologico-politico, ma anche sociale e umano. E’ interessante notare, infatti, come in genere si siano espressi a favore di Josipović la maggioranza degli abitanti delle città, mentre ha votato in massa per la Grabar Kitarović chi vive in campagna. Si sono inoltre espressi in favore del Presidente uscente le aree che meno hanno sofferto distruzioni e sofferenze provocate dall'occupazione serba nel corso della Guerra per la Patria degli anni Novanta, mentre sono saldamente in mano alla Neo-presidente le aree più coinvolte nel conflitto. Ad esempio, a Drniš, nell’entroterra dalmata, a suo tempo occupata e rasa al suolo dai serbi, l’80% dei voti è andato alla Grabar-Kitarović, mentre nella città di Varaždin, nel nord del Paese nei pressi del confine con l’Ungheria, non coinvolta nel conflitto, il 71% degli elettori si è espresso a favore del Presidente uscente.

Come sempre accade, gli elettori croati residenti in Bosnia-Erzegovina e della diaspora hanno votato in massa per la candidata dell’Hdz. Ciò è avvenuto nonostante il tentativo del governo di rendere più difficoltosa la partecipazione alle elezioni, riducendo drasticamente le sezioni in Bosnia-Erzegovina. A Mostar, nell’unica sezione elettorale in Erzegovina - l’area di più densa presenza croata - per tutta la giornata si sono registrate resse paurose, soprattutto di persone non ancora registrate, e le votazioni sono andate avanti per tutta la notte.

Nonostante i toni concilianti della Presidente designata, la quale si propone di unire le forze di tutto il popolo croato, indipendentemente dalle convinzioni politiche di ciascuno, allo scopo di sollevare il Paese dalla gravissima crisi economica, morale e di fiducia in cui si trova, i messaggi provenienti dall’altra parte della barricata non sono molto rassicuranti. Mentre Josipović ha riconosciuto la propria sconfitta, troncando sul nascere le voci di un possibile riconteggio dei voti a causa del minimo scarto tra i due candidati, il premier socialdemocratico Milanović ha accusato la neo-Presidente di mentire sui suoi propositi di unità in quanto in campagna elettorale sarebbe stata un «soldato militante del suo partito», che rappresenta, ha aggiunto il premier riferendosi sempre all’Hdz, «una cooperativa (sic!) dedita al crimine».

Non è escluso che da oggi al mese di dicembre, quando si terranno le elezioni politiche, lo scontro politico e sociale si acuisca. Ciò non aiuterà Milanović e il suo partito, destinati a una sconfitta storica; tuttavia l’accentuata polarizzazione dei contrasti può rendere difficile la coabitazione con la Presidente proveniente dall’Hdz e provocare uno scontro istituzionale senza precedenti, rendendo più difficile trovare soluzioni concertate che portino la Croazia fuori dalla crisi.