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DATI SHOCK

La prima causa di morte al mondo nel 2019? L’aborto

Lo scorso anno l’aborto procurato è costato la vita a 42.4 milioni di persone, molto più di Aids, cancro e guerre. Lo rivela Worldometer, basandosi sui dati dell'Oms e dell'Istituto Guttmacher, un ente abortista. Verosimilmente, quindi, una sottostima. Eppure i grandi media preferiscono ignorare la notizia.

Vita e bioetica 05_01_2020

Ci sono notizie che, pur molto rilevanti, vengono puntualmente ignorate dai grandi media. Fra queste, occupa uno spazio di primo piano l’elaborazione statistica che Worldometer, «la calcolatrice più potente del pianeta» (così viene definito), ha fatto per il 2019, rilevando come lo scorso anno, in tutto il mondo, si siano verificati 58.6 milioni di decessi. Ora, dov’è la notizia? Nel fatto che – come Worldometer stesso, indirettamente, riconosce – ci sono altre decine di milioni di morti non conteggiate in quei 58.6 milioni. Quali? Quelle determinate dall’aborto volontario.

Una pratica che lo scorso anno è costata la vita a 42.4 milioni di esseri umani, sempre secondo Worldometer: che non è, lo si ripete, un ente cattolico bensì un sito accessibile a chiunque, per la cui affidabilità ha ricevuto riconoscimenti, tra gli altri, dall’American Library Association e che vanta collaborazioni con la Bbc. Gli oltre 42 milioni di vittime rappresentano un numero enorme e superiore, per capirci, a quello di tutte le vittime civili e militari in Europa della Seconda Guerra Mondiale, quando il nostro continente era dilaniato da distruzione, bombe e lager.

Non finisce qui. Infatti va ricordato che Worldometer, nell’elaborazione delle proprie stime (dato che dei calcoli esatti al centesimo sono, per ovvie ragioni, impossibili), si appoggia alle statistiche sulla salute e sulla mortalità dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la quale a sua volta si basa sui numeri dell’Istituto Guttmacher, noto ente abortista. Questo significa che i 42.4 milioni di soppressioni prenatali del 2019 sono verosimilmente una sottostima, dato che non considera tutti i milioni di «aborti invisibili» riconducibili, nel mondo, alla cosiddetta pillola del giorno dopo.

Ne consegue come non ci siano davvero dubbi sul primato mortifero globale dell’aborto volontario, primato peraltro appurato ormai da tanti anni. Anche perché le altre cause di decesso sono, a livelli di classifica, molto distaccate dal momento che si parla, per il 2019, di 8.2 milioni di persone morte per cancro, di 1.7 milioni per Hiv e di 13 milioni per malattie. Tutte frontiere, beninteso, estremamente drammatiche e da contrastare il più possibile con il progresso medico, l’assistenza e gli investimenti necessari. Viene tuttavia da chiedersi per quale ragione, nonostante i numeri agghiaccianti di cui sopra, dell’aborto si continui a non parlare come dell’emergenza planetaria che invece, dati alla mano, è.

La sensazione è che dietro questo omertoso silenzio vi siano almeno due tipi di spiegazioni. La prima, più generale e immediata, riguarda la natura intrinseca dell’atto abortivo che, nonostante tutte le pressioni culturali e mediatiche per normalizzarlo, viene tutt’oggi percepito dalla maggior parte delle persone come un atto immorale, ingiusto, tremendo. In una parola, ripugnante. Per questo si preferisce, d’istinto, evitare l’argomento.

Una seconda ragione per cui dell’aborto quale prima causa di morte al mondo non si parla - o, meglio, si evita deliberatamente di parlare - deriva dall’approccio che la cultura dominante ha, da decenni, sulla questione. Nello specifico, la strategia è la seguente: promuovere il «diritto» di abortire, ma non parlare mai dell’aborto in quanto tale, deviando sempre l’attenzione sui massimi sistemi: l’autodeterminazione, il Medioevo che ritorna, il patriarcato, eccetera.

Così alla fine di tutto ci si occupa, per l’appunto, fuorché di un fenomeno che solo nell’anno appena iniziato - sempre secondo Worldometer - ha già totalizzato oltre 440.000 vittime (fino al pomeriggio del 4 gennaio). Più di sette volte tanto il numero di militari americani morti in Vietnam. Un motivo in più per continuare, anche in questo 2020, la guerra culturale più importante: quella a difesa del nascituro.