La politica è legittimata dal diritto naturale o dal diritto rivelato?
La rivelazione e la fede non trasformano la politica in religione o la natura in sopra-natura, ma le illuminano facendo sì che esse siano vera politica e vera natura, cioè le riconsegnano purificate a se stesse.
Tra i cattolici non cessa il dibattito sui rapporti tra l’ordine politico, l’ordine naturale e la dimensione religiosa (cattolica). La legittimità della politica, dell’autorità stessa ma poi anche delle leggi e delle politiche, o si fonda sul consenso, o si fonda sul diritto naturale, o si fonda su Dio. Anche se ormai molti cattolici pensano che si fondi sul consenso democratico – sbagliando così di grosso – questa posizione è incompatibile sia con la ragione che con la fede cattolica. Non restano che le altre due possibilità, altrimenti la politica rimarrebbe infondata.
C’è quindi chi sostiene che la politica non si fonda su motivi religiosi, ma su motivi razionali di ordine naturale. Il potere politico è legittimato dal bene comune e la definizione dei diritti dipende dal diritto (naturale). Sia il bene comune che il diritto naturale sono conoscibili dalla ragione e sono quindi alla portata di tutti gli uomini, senza bisogno di tirare in ballo la religione, la qual cosa comporterebbe una dipendenza del potere secolare dal potere ecclesiastico.
Ma c’è anche chi sostiene che fondare la politica solo sul diritto naturale è sbagliato ed è una forma di naturalismo, ossia pensare che il piano naturale sia sufficiente a definire i suoi fini e a perseguirli, senza bisogno del piano soprannaturale della religione e della fede. Fermarsi al diritto naturale come fondamento dei doveri e dei diritti, secondo costoro comporterebbe l’esclusione di Dio dalla pubblica piazza. Da qui la proposta di fondare la legittimità della politica sulla rivelazione e sulla religione.
Credo che ambedue queste posizioni siano insufficienti e manchevoli. Cerco di spiegarmi facendo riferimento al discorso di Benedetto XVI del 2011 al parlamento tedesco. In questo famosissimo intervento, egli aveva dichiarato che “contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”.
Questa frase sembra dare ragioni alla prima posizione sopra esposta, quella del diritto naturale. Da san Paolo a san Tommaso ai grandi documenti del Magistero, mai è stato messo in dubbio il fondamento della potestas politica sul diritto naturale. Però, allora, perché Benedetto XVI, nello stesso discorso, parla del re Salomone che chiede a Dio il dono della sapienza per poter adeguatamente discernere il bene e il male?: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. Se fosse sufficiente il diritto naturale, conoscibile dalla sola ragione, come mai questa richiesta a Dio di una sapienza superiore, frutto di un Suo dono e non di capacità umana? E perché presuppone la fede nella Ragione creatrice di Dio?
Come si vede, né pensare che sia sufficiente il diritto naturale e né ritenere che basti direttamente il diritto rivelato, bastano a risolvere il problema. Benedetto XVI propone quindi un’altra via.
L’uomo può conoscere il diritto e la morale naturali, ma nel suo stato decaduto, anche la sua ragione naturale ha bisogno di essere purificata e salvata. Ne è prova il fatto, per esempio, che la Rivelazione di Dio contenga anche precetti di ordine naturale e non solo di ordine soprannaturale. Ne è prova anche il fatto - ricordatoci per esempio dall’enciclica Spe Salvi - che la volontà spesso non accetta di seguire la ragione se non aiutata dalla grazia. L’uomo ha tutta la dotazione che concerne la sua natura, ma la sua natura è ferita, la ragione può indebolirsi, le incertezze o gli interessi di parte possono prevalere. In altre parole: il piano naturale, pur avendone il titolo, non sta in piedi senza quello soprannaturale.
Però – ecco il punto – la rivelazione e la fede non trasformano la politica in religione o la natura in sopra-natura, ma le illuminano facendo sì che esse siano vera politica e vera natura, cioè le riconsegnano purificate a se stesse. Sicché la visione del diritto naturale è della ragione, ma senza la rivelazione e la fede, la ragione non è in grado di vederlo in modo adeguato e di rimanervi fedele.