LETTERATURA
La poesia di Costantini, una zattera verso l'Eterno
La fede è più forte della precarietà, i versi sublimi del sacerdote trevigiano.
«Non è vana», l'inedito sulla Pasqua. di G.Costantini
Cultura
23_04_2011
Lo stile e il tono del poeta Giovanni Costantini risaltano già da questa autopresentazione, apparsa come Notizia nel suo più recente volume di versi, Sacerdos in aeternum (Edizioni Ares, Milano 2010, pp.152, euro 15):
Giovanni Costantini è nato a Treviso il lunedì 27 aprile 1936 alle ventitré e trenta, ma, a quattro anni, ritorna a Sandrigo (VI). Il padre contadino e poi calzolaio, e sempre poeta paesano bilingue. La madre contadina, in seguito pantofolaia. Primogenito di cinque. Dalla prima media fino al sacerdozio, si è formato nel Seminario vescovile di Vicenza. Dottore in Lettere a Padova, nel 1967. Da quarantacinque anni insegna lettere nelle medie, nelle superiori e nello Studio teologico (latino e greco) del suddetto Seminario. Ha scritto una cinquantina di opere in poesia, in italiano, e quattro volumi di epica soprattutto contadina, in vicentino stretto. Da trentacinque anni cura l’edizione dell’Almanacco Meteorognostico Vicentino, noto come Il Pojana. Non partecipa a concorsi di poesia. Per interessamento delle case editrici ha vinto il Camposampiero 1986 ed è stato finalista a un San Pellegrino e ad altri premi di poesia. Gli piacerebbe la poesia senza nome e, sarebbe l’ideale, postuma. Scrive versi ogni giorno, per dare Gloria a Dio che si è fatto uno di noi, il più Bello tra i figli degli uomini.
Ecco dieci titoli, scelti un po’ a caso:
1. Profeta Yodh, Il Crivello, Cittadella, Padova 1971.
2. Viacrucis, ibidem 1974.
3. Oro di Pentecoste, Ed. Peretti, Quinto Vic. 1984.
4. Simboli, Panozzo, Lonigo 1988.
5. Strofe di Dio, Biblioteca Cominiana, Loreggia Padovana 1990.
6. Nel blu di Santa Trinita, Santi Quaranta, Treviso 1992.
7. Lo sposo è mezzanotte, Edizioni Ares, Milano 2000.
8. Versi intorno ai Novissimi, Editrice Veneta, Vicenza 2003.
9. E di Seminatori, Editrice Veneta, Vicenza 2007.
10. Stella mattutina, Esca, Vicenza 2008.
Personalmente, seguo Costantini fin dal suo primo libro, Profeta Yodh (1971), sul quale apertamente scommisi concludendo la recensione con queste parole: «Certo bisognerà leggere altre cose del poeta, saggiarlo su altri testi creativi: una rondine non fa primavera. Ma siamo sicuri di aver visto una rondine, non un pipistrello». La scommessa è stata vinta facilmente, basti ricordare che Raffaele Crovi considerava Costantini «il più grande poeta di oggi, un sacerdote che ha trasformato la teologia in poesia».
La tematica di Costantini è la più impervia, quella che non tollera mediocrità: Dio, la Madre Vergine, lo Spirito Santo, le figure della colpa e della redenzione. E Costantini, solitario, incide e scava, costruisce, plasma, dà forma in parole al tu-per-tu con l’Eterno nella misura massima consentita a chi, nel tempo, non si rassegna al muro del tempo. Hopkins? Sconcertati, si è in obbligo dell’appiglio di un nome, di almeno un nome: ma per scartarlo sùbito, perché Costantini è e lascia senza appigli.
I suoi libri sono specchi di cristallo che non rimandano la nostra immagine, ma un riflesso di Dio nella contemplazione del poeta, con tutto lo straniamento che la situazione induce: e se si resta senza fiato, ebbene la poesia è accertare la brevità del nostro fiato. Più facile, apparentemente, trovare antenati letterari, e viene il nome del primo Ungaretti, perché anche la poesia di Costantini è di scavo nella singola parola: ma un Ungaretti assiro, perché la lingua di Costantini – senza arcaismi di maniera – è risurrezione di una lingua morta che ci compare nuova, ingrommata in umori di crisalide dismessa appena. E certi barbarismi Costantini non fa a meno d’inventarli, slogando la parola quando gli viene corta o rinforzandola quando il dizionario la porge debole: «indifferente ai margini sbandoni», «c’indentriamo», «da Te sguardato io», «ma vi sleggevo segni di caso», «mi trovi incantonato», «sva alla gente», «mi slingua intero», «giù per la scarità», «m’insangui il passo», «trabalena la visione», «e per i suoi capelli m’indormenti», «di vagiti naspavo», «s’inruga a trappole», «tu che inveni la terra morta al fonte», «di grani insuga», «a inrossarmi d’amore», «gli orecchi mi si slungano in tua misura esatta», e «quando mi sginocchio», «vino svampando in questa terra», «sangue che sembri lo smorire».
Con visionarietà scultorea Costantini forgia la sua lingua di poeta riconoscibile alla prima pronuncia, come è dei poeti. E sul mare dei versificatori galleggia questa zattera che, tutta fiamma d’amore e d’intelletto d’amore, va e va e fa posto a chi lo vuole, a chi intuisce che solo nella precarietà è sicurezza, nello spogliamento la vittoria, nella fede la visione.