La "pistola fumante" di Ferrara contro Francesco
Un cartello innalzato alla manifestazione londinese degli islamici che dice: "Se parli male di mia madre ti do un pugno. Firmato Pope Francis". E questo basta a Giuliano Ferrara per riprendere la sua ossessiva crociata contro Papa Francesco, accusato addirittura di coprire i killer di Charlie Hebdo.
Beh, questa davvero è una notizia cattiva e inaspettata. Almeno per quelli che ancora non si sono rassegnati a consegnare mente e cuore alla banalità del pensare e alla spocchia dell’intellettualmente corretto. Giuliano Ferrara non solo si è dimesso dal Foglio da lui fondato, ma pure s’è staccato con definitivo addio dal bene più prezioso che in questi vent’anni di ironico giornalismo militante ci aveva testimoniato: il gusto dell’intelligenza, l’attaccamento alla realtà, il pensiero appassionato e perciò critico verso ogni travisamento ideologico e mainstream opportunista. Ieri, dopo una settimana di assenza, l’Elefantino è riapparso sul “suo” ex giornale con un pezzo che, spiace e fa male al cuore dirlo, rappresenta lo sprofondo mai toccato dalla polemica anti Papa che il Foglio conduce contro Francesco. Ma ora Ferrara ha superato se stesso, o forse, è tornato a essere se stesso senza più i freni di una compagnia di saggi colleghi e quella discussione che in una redazione di uomini liberi e ribelli un po’ limita i superpoteri di un direttore straripante e tendente alla teocrazia della personalità.
Nel suo editoriale, il Maestro è tornato sul “santo pugno” di Papa Francesco contro chi offende la madre, cioè sulla normalità della risposta decisa e impulsiva agli attacchi verso ciò che abbiamo di più caro. Ci è tornato per travisare, ancora una volta ma stavolta in modo violento, le parole di un Papa che tutti avevano perfettamente compreso nella loro più vera significanza e oltre l’immagine, forse un po’ troppo pop e spiccia, del pugno tirato nelle parti basse a difesa dell’onore di mamma. Ferrara non ha nessuna voglia di capire, per lui con quel pugno Francesco ha messo «da parte la celebrata misericordia, che è uscita di scena e si è trasformata in vendetta canonica a favore di telecamera». Violento e pure scafato showman e anche amico del giaguaro islamico. Eppure, la metafora del ring non era così astrusa e difficile da capire: dopo la planetaria sbornia libertaria e volterriana del “Je suis Charlie”, si trattava semplicemente di dare un contenuto materiale e affettivo all’assoluta libertà di critica e di pensiero ferocemente negata dai killer islamici. Quelle parole certo non avevano lo scopo di giustificare e comprendere gli stragisti di Parigi, tanto meno di suggerire che “se l’avevano cercata”.
Tutti l’avevano capito, ma Ferrara evidentemente no. Fin da subito, per lui quella non era una gaffe, ma un “incidente rivelatore di linguaggio”, cioè un lapsus. Scrisse e oggi lo riscrive a memoria dei lettori: «Vuoi vedere che il capo della chiesa cattolica intende coscientemente fiancheggiare la repulsione islamica verso una nostra libertà occidentale, laica, e sceglie di mettersi da quella parte con la metafora del pugno, che insieme addomestica e giustifica il funzionamento del fucile a pompa di Charlie Hebdo? Purtroppo avevamo ragione, e ne è seguita una tragica prova». La prova è questa: durante una manifestazione a Londra, indetta contro il diritto alla libera espressione della critica satirica delle religioni, un giovanotto ha issato un cartello con su scritto: “Se parli male di mia madre ti do un pugno. Firmato Pope Francis”. La manifestazione islamica sotto le finestre di Whitehall, sede del governo inglese, è per Ferrara l’anello mancante, la pistola fumante dell’osceno connubio tra Papa Francesco e i tagliagole di Charlie. Ecco fin dove arriva la furia elefantiaca: «il bollo predicatorio del capo della Chiesa, che nei cartelli dei manifestanti diventa una seconda lapide sulla sepoltura dei vignettisti, è affare molto più imbarazzante».
Imbarazzante è certamente l’ostinata tignosità con cui Ferrara continua a deformare a bella posta l’insegnamento di Francesco, parandosi dietro una farlocca e insopportabile nostalgia per il rigore morale e la razionalità del papa teologico Benedetto XVI (contro il quale, peraltro, giudicato troppo "pacifista" il Foglio arrivò nel 2009 a raccogliere firme tra la solita corte teocon). Mentre ora, chiude solennemente il suo editoriale l’anti Papa, «ci ritroviamo con un cartello che legittima la strage a difesa della dignità della fede, firmato Pope Francis». Un rovesciamento di fatti e intenzioni che rende l’operazione ferrrariana cinica e bara. E l’accomuna a quelli che hanno scritto lo scandaloso cartello. Che mischia gli attori e le situazioni in una commedia degli inganni, per attribuire a Francesco un’assurda copertura politica e teologica delle stragi islamiste.
Al pope Giuliano forse dovrebbe venire il sospetto che l’attuale clima di “sottomissione” che regna in Europa sia il prodotto del pensiero debole e relativista: non c’è più nulla per cui vale la pena di combattere e di morire, non abbiamo più niente di caro da difendere con la ragione e con i pugni, se necessario. Quando Papa Ratzinger tenne la famosa prolusione di Ratisbona laici, atei e buonisti della sinistra multiculturale gli rimproverarono la mancanza di prudenza e responsabilità alla quale attribuirono le reazioni del mondo musulmano più radicale. Oggi le stesse persone si mostrano sdegnate per il fatto che una satira irriverente e gratuita abbia causato tanti morti innocenti: le vittime delle piazze in tumulto contro Ratzinger si potevano risparmiare, quelle causate da Charlie Hebdo diventano un prezzo durissimo che va pagato alla libertà assoluta di criticare e dileggiare chi si vuole. A questi “fondamentalisti laicisti” si associa pure l’ateo ex devoto Ferrara: niente pugni contro chi disegna Maometto che ha il volto di un pene rovesciato o sghignazzano su Dio, Gesù e lo Spirito santo che si sodomizzano a vicenda. Strane concordanze, che si spiegano forse con la stessa incapacità a comprendere, prima di tutto, la questione umana che sottende al rapporto con l’islam, ma non solo.