La pioggia laverà anche la sindrome di Prometeo?
La siccità ci pone davanti a una dura realtà: siamo capaci di molte cose, ma non di far piovere. L'uomo contemporaneo, persuaso della propria autosufficienza, si ritrova così a deporre i panni di Prometeo e inginocchiarsi di fronte a Chi può sopperire ai suoi bisogni. E allora anche quella pioggia che diamo per scontata, diventa un dono da implorare.
Non si parlava d’altro da giorni e un semplice presagio bastava a dare l’illusione di attenuare la calura opprimente. Alla fine, abbiamo visto le prime gocce d’acqua (e speriamo non le ultime), accolte da un’attesa simile a quella dei bambini che aspettano la neve a Natale. Ai primi lampi e tuoni la gente si è affacciata alle finestre come se stesse ammirando i fuochi d’artificio... Potrebbe iniziare così il racconto di questi giorni, come una fiaba, perché quando non abbiamo il potere di provvedere da noi a qualcosa di cui abbiamo bisogno, ecco che anche un fenomeno naturale – la pioggia – che diamo per scontato si può tramutare in qualcosa di meraviglioso.
Dopo la lunga siccità il ritorno della pioggia appare come un dono. E come tale è stato chiesto, nonostante la pretesa autosufficienza dell'homo faber fortunae suae che si infrange di fronte alle temperature roventi e all’aridità dei campi. Al caldo si può sempre rimediare con il condizionatore, ma risolvere gli altri effetti negativi non è… a portata d’uomo. L'intelligenza umana ha inventato il dissalatore o altri mezzi per potersi servire di acqua già esistente, ma non è capace di crearla da sé. Qualcosa, insomma, sfugge al moderno figlio di Prometeo, che si era illuso di poter tutto dominare e fabbricare in laboratorio, persino la vita stessa, e che tutto fosse riproducibile e risolvibile artificialmente.
In mancanza di mezzi materiali perché non tentare quelli spirituali? Così per tutta la penisola si sono andate moltiplicando le invocazioni, dalla peregrinatio dell’arcivescovo Mario Delpini nelle aree del milanese maggiormente segnate, un mese fa, alla preghiera sul Po del vescovo di Parma, mons. Enrico Solmi. E ovunque, qua e là, si sono susseguiti tridui, novene e sacre funzioni per implorare il celeste refrigerio. C’era e c’è tuttora un’apposita liturgia ad petendam pluviam (per chiedere la pioggia): una colletta nel Messale attuale e un formulario più ampio (colletta, secreta e postcommunio) in quello precedente le riforme. Senza contare le varie benedizioni e l’antica tradizione delle Rogazioni, con cui un tempo si era soliti affidare al cielo il lavoro e il frutto dei campi.
Sembra di rivivere quel “mondo piccolo” guareschiano, in cui persino il comunista Peppone, non riuscendo ad avviare il trattore sovietico, senza fare troppo lo schizzinoso si decise a ricorrere a un potere più forte di quello del Partito, chiedendo a don Camillo di benedire il riottoso mezzo. O, per restare in tema, la processione sul fiume per chiedere la fine dell’inondazione che aveva travolto il paese, che in quel caso pativa l’eccesso, non la scarsità d’acqua. Dalla finzione letteraria e cinematografica alla realtà: durante l’alluvione del 2014 il “successore” di don Camillo, l’allora parroco di Brescello don Evandro Gherardi, portò in processione sul fiume proprio quel celebre crocifisso “parlante” che ormai da oggetto di scena è passato stabilmente al culto, facendo poi lo stesso all'insorgere della pandemia.
Sono discorsi che a qualcuno faranno storcere il naso, considerandoli residui di un mondo arcaico da seppellire definitivamente. Per alcuni cattolici “adulti” è ancora peggio: un’intollerabile commistione di cristianesimo e paganesimo, incrostazioni da rimuovere perché possa riemergere la “purezza evangelica” (talmente pura da assottigliarsi sotto il bisturi del moderno esegeta). Che poi, a dirla tutta, proprio nel Vangelo (Mc 4,39-40) si legge che Cristo comanda anche il vento e il mare: forse la pioggia è al di fuori della sua giurisdizione? Ma se non si può stabilire un rapporto automatico di causa-effetto, poiché la preghiera può far miracoli ma non magie, essendo una richiesta e non una tecnica, resta il fatto che male non fa. Lo scientista che deride queste iniziative è forse capace di far scendere la pioggia? Allora si faccia avanti. Ma se non ne è capace, perché deridere il credente che la chiede a Chi può donarla?
Concezioni «medievali», si obietterà, facendo uso di quell’aggettivo con cui si bolla (il più delle volte a sproposito, ma il discorso sarebbe lungo) tutto ciò che consideriamo (altrettanto a sproposito) arretrato e negativo. Di medievale in effetti qualcosa c’è: ovvero la consapevolezza di essere immersi in una realtà più grande, proprio come in quelle preziose tavole dove gli esseri terreni sono raffigurati più piccoli rispetto a quelli celesti. E non perché i pittori dell’Età di Mezzo non conoscessero le proporzioni, ma perché ne conoscevano una ancora più importante: quella che fa del nostro mondo un piccolo frammento abbracciato dall’infinito, nel bel mezzo di una «festa cosmica», come diceva il cardinal Giacomo Biffi.
Ogni emergenza che non possiamo dominare ci ricorda che non siamo autosufficienti: il figlio di Prometeo è, in realtà, figlio di Adamo, indifeso abitante di un universo che le sue mani non possono dominare appieno. Siamo dotati di talenti incredibili, inventiamo, sviluppiamo, realizziamo strumenti sofisticati (nel bene e talvolta nel male) ma sempre a partire da qualcosa che è già dato. Chissà che, dopo la lunga attesa, la pioggia non riesca anche a lavare via l’illusione prometeica di bastare a noi stessi.