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La pena dei demoni - Il testo del video

Ogni peccato ha delle conseguenze, ma se l'uomo finché è in vita può cambiare rotta, nel caso degli angeli decaduti si tratta di conseguenze immutabili e relative alla loro peculiare natura. Esaminarle ci aiuta a capire la tentazione diabolica e l'azione della Provvidenza divina.

Catechismo 24_09_2023

Proseguiamo questa lunga serie di catechesi sugli angeli. La scorsa volta abbiamo visto il peccato degli angeli, la loro colpa, che, in sostanza, è un peccato di superbia e conseguentemente di invidia. Oggi vediamo la pena conseguente a questa colpa.

Il peccato dell’angelo, come ogni peccato commesso da noi uomini, comporta sempre una pena – questa è una relazione che abbiamo dimenticato, non ci piace molto sentirla, ma è così; se volete un esempio banale: se io mangio un cibo cui sono allergico o faccio indigestione, porto con me la pena relativa a quello che ho fatto, cioè un gran mal di pancia, una reazione allergica, ecc. 

La rottura di un ordine – che è uno degli aspetti fondamentali del peccato – comporta un disordine e questo disordine comporta delle conseguenze su di noi e sul mondo intero (è importante ricordare anche questa dimensione, per così dire, comunitaria del peccato, ma ne parleremo). Intanto, è solo per introdurvi a questo concetto della pena relativa al peccato, cioè alle conseguenze che si riversano su coloro che commettono un peccato, e non solo sul singolo individuo, ma in ragione di quella solidarietà (nel senso più forte del termine) che lega non solo gli uomini tra di loro, ma le creature tra loro; c’è sempre una relazione più allargata rispetto a quella puramente individuale.

Ora, questa pena del peccato nell’angelo lo va a colpire in quanto corrisponde alla sua persona, che ha una natura puramente spirituale, cioè intelletto e volontà. Sono proprio l’intelletto e la volontà dell’angelo a essere così travolti dalla pena della loro colpa. 

San Tommaso ne parla nella quaestio 64 (stiamo seguendo il percorso che Tommaso offre nella Summa Theologiae su questo argomento). Per quanto riguarda l’intelletto (art. 1), san Tommaso spiega come la conseguenza del peccato, quindi la pena del peccato sull’intelletto angelico, sia un oscuramento, una tenebra che in qualche modo cade sull’intelletto dell’angelo. Ma san Tommaso fa una distinzione importante, cioè distingue l’intelletto proprio della natura angelica con quell’intelligenza che invece è data dall’elevazione in grazia; in questo secondo aspetto, fa un’ulteriore suddivisione, cioè l’intelletto che deriva dalla grazia speculativo, rispetto all’intelletto e a quella conoscenza che è invece più affettiva e che viene dalla carità. 

Dunque, vediamo questi “tre intelletti”, queste tre modalità di conoscenza dell’angelo. Per quanto riguarda la conoscenza naturale dell’angelo, san Tommaso ci dice che questa permane, rimane integra, non viene travolta. La conseguenza, invece, la “valanga” arriva a travolgere quell’intelligenza che deriva dalla grazia. Vediamo queste duplici modalità conoscitive che derivano dalla grazia: come detto, la prima è quella speculativa, la seconda è quella affettiva, che nasce dalla carità, che è quindi sapienziale (la sapienza vera e propria indica una conoscenza di tipo affettivo).

Ora, san Tommaso spiega: «La seconda conoscenza, quella che deriva dalla grazia, fermandosi però alla sola speculazione, non fu completamente tolta ai demoni, ma fu diminuita: poiché viene loro rivelato solo ciò che è indispensabile dei segreti divini o (…) mediante gli angeli oppure per mezzo di determinati affetti compiuti nel tempo dalla virtù divina» (a. 1). Quindi hanno una certa conoscenza speculativa, di quella conoscenza che è eccedente la natura angelica, cioè sovrannaturale, ma ce l’hanno diminuita, cioè continuano a sapere speculativamente alcune cose che sorpassano la natura, ma hanno questa conoscenza in qualche modo indebolita, diminuita. Quindi qui la pena conseguente alla colpa è arrivata come una diminuzione di questa conoscenza.

Invece, la conoscenza affettiva, la conoscenza propriamente sapienziale è stata completamente azzerata nell’angelo. L’angelo decaduto è per definizione quell’insipiens che troviamo nei salmi, l’insipiente, perché ha perso completamente la conoscenza affettiva; quindi non solo ha diminuito la sua conoscenza speculativa, ma ha azzerato totalmente quella conoscenza affettiva che, come dire, potremmo chiamare la "conoscenza piena", sapienziale, che nasce con la carità; questa nell’angelo è completamente perduta, completamente azzerata.

San Tommaso offre due precisazioni nella sua risposta alle obiezioni. La prima risposta alla terza obiezione riguarda la questione della conoscenza naturale. Abbiamo detto che essa rimane integra nell’angelo, tuttavia san Tommaso fa una precisazione. Se vi ricordate, abbiamo parlato in una catechesi della conoscenza vespertina, mattutina e diurnale negli angeli. Vediamo un attimo la conoscenza vesperale. Che cos’è? Quando l’angelo guarda alla creazione, non guardando direttamente a Dio, c’è una specie di oscurità, perché Dio è la luce piena e tuttavia non è buio totale perché nella creazione c’è sempre una presenza della luce divina che Dio vi ha posto. Ora questa conoscenza, dice san Tommaso, quella propriamente vespertina, la troviamo nell’angelo con una caratteristica. Cioè l’angelo, vedendo in qualche modo l’impronta di Dio, la luce di Dio nella creazione, non solo conosce ma ha questo movimento di ritorno a Dio, di lode a Dio in sostanza. Ora, spiega san Tommaso che «lo stesso si dica della conoscenza delle cose nella loro propria natura: se viene indirizzata alla lode del Creatore, come avviene negli angeli buoni, tale conoscenza ha un po’ della luce divina e può essere detta vespertina; se invece non è indirizzata alla lode di Dio, come avviene nei demoni, allora non è più detta vespertina ma notturna» (a. 1, ad. 3). Cioè i demoni che conservano la conoscenza naturale, tuttavia hanno una conoscenza propriamente notturna, perché in loro questa conoscenza non ritorna come lode a Dio e in questo senso quella luce che è presente in qualche modo nella creazione, non riflette nell’intelletto angelico perché gli angeli decaduti non rispettano, non osservano non seguono questo movimento di riconoscimento della luce divina e quindi di lode del Creatore. E questo è importante per capire che in fondo la conoscenza attuale dell’angelo decaduto, che è integra, tuttavia manca di questo aspetto fondamentale di ritorno come lode a Dio.

La seconda precisazione la troviamo in risposta alla quarta obiezione. Se vi ricordate, abbiamo detto che la conoscenza speculativa che oltrepassa la natura angelica è ancora presente in qualche modo nell’angelo ma è diminuita, è colpita, è affievolita. San Tommaso spiega che, per esempio, nei Vangeli noi troviamo i demoni che in qualche modo “studiano” il Signore. A volte sembrano confessarlo: “Sappiamo chi sei, il Santo di Dio” (cf. Lc. 4, 34). Ma attenzione, dice san Tommaso, se «avessero conosciuto perfettamente e con certezza che Cristo era il Figlio di Dio», in quella situazione precisa, e non in generale che ci sarebbe stata l’incarnazione, ma che quella persona, Gesù di Nazareth, era il Cristo, era il Figlio di Dio, e se avessero conosciuto «quale sarebbe stato l’effetto della sua Passione, non avrebbero mai fatto crocifiggere il Signore della gloria» (a. 1, ad. 4). Cioè negli angeli questa conoscenza che oltrepassa la loro natura, puramente speculativa, è stata colpita, è stata diminuita, al punto che non hanno realmente compreso, pienamente compreso, il mistero dell’incarnazione del Verbo nella concretezza con cui questo è avvenuto. In qualche modo, i demoni sono stati colti di sorpresa dall’incarnazione, così come è avvenuta, e dalla modalità della redenzione. Cioè attraverso quella Passione e Morte nella quale la divinità di Cristo sembrava totalmente assente, oscurata, in qualche modo i demoni hanno pensato a un trionfo, non comprendendo che invece era proprio lì che si giocava la salvezza. Dunque, vedete come questa conoscenza speculativa è stata gravemente manomessa dalla colpa.

Per quanto riguarda invece la volontà – siamo all’art. 2 –, la pena della colpa è l’ostinazione nel male. Attenzione, perché qui tocchiamo un punto molto molto delicato. A riguardo, si trova forse una delle poche volte nella Summa in cui Tommaso deve confutare apertamente un autore ecclesiastico ‒ non si può propriamente definire un Padre della Chiesa, ma che ha avuto un ruolo importantissimo: Origene. Perché Origene, come riporta lo stesso Tommaso nell’articolo 2, riteneva che in sostanza a motivo del libero arbitrio e degli uomini e degli angeli, sussista sempre in loro la possibilità di scegliere il male o il bene. Cioè l’uomo e l’angelo, in virtù del loro libero arbitrio possono, potrebbero sempre dal male passare al bene o dal bene passare al male. Ora san Tommaso esclude esplicitamente questa affermazione di Origene per due ragioni: la prima discende dalla natura della vita eterna. La vita eterna per sua natura è qualcosa che per definizione è eterno, non passa mai, è una condizione stabile. Se dunque l’uomo e l’angelo potessero sempre commettere qualcosa di male, l’idea stessa di una vita eterna beata verrebbe meno. E poi c’è chiaramente una contraddizione con quello che ci viene dalle Scritture; san Tommaso fa riferimento a Mt 25,46, il famoso passo dove si parla del supplizio eterno. 

A noi interessa maggiormente il tipo di argomentazione che san Tommaso dà, perché è veramente  molto importante. San Tommaso ci invita a comprendere che la perennità della pena dei demoni, cioè l’eternità dell’inferno, non è dovuta a una gravità della colpa (non che non sia grave) tale da superare in qualche modo la misericordia di Dio o la possibilità per Dio di salvare; o, se preferite, come dice il CCC al numero 393, l’eternità di inferno non è dovuta a «un difetto dell’infinita misericordia divina». Capite che oggi questo è un punto tanto importante, tanto messo in discussione: l’affermazione della misericordia di Dio (assolutamente corretta) porta in modo invece scorretto a escludere l’eternità della pena, sia per gli uomini dannati sia per gli angeli decaduti, quasi che questa eternità della pena sia una diminuzione della misericordia di Dio. 

San Tommaso dice che non c’entra niente: l’eternità della pena (e adesso parliamo degli angeli decaduti) è dovuta alla loro natura particolare. Dunque, Origene che pensava in questo caso a una possibilità di salvezza alla fine dei tempi anche per i demoni, erra. Vediamo l’argomentazione di san Tommaso: «l’intuizione dell’angelo si differenzia da quella dell’uomo per il fatto che l’angelo apprende con il suo intelletto in maniera irremovibile (…). L’uomo invece per mezzo della ragione apprende in maniera instabile, procedendo col ragionamento da una nozione all’altra, e ha la possibilità di scegliere fra due opposte sentenze» (a. 2).

L’abbiamo detto tante volte, qui capite l’importanza di aver dedicato delle lezioni alla conoscenza dell’angelo in parallelo a quella dell’uomo. L’uomo conosce raziocinando, è una conoscenza discorsiva, passa da un predicato a un altro, connette tra loro dei predicati, delle proposizioni, può sbagliarsi e può correggersi, può essere nel vero e poi sbagliarsi: questa è la modalità propria conoscitiva dell’uomo, in concreto. L’angelo non è così; l’angelo non ha una conoscenza discorsiva, ma una conoscenza che abbiamo definito più intuitiva o immediata. Qui Tommaso parla di irremovibilità della conoscenza. L’angelo ha nel suo atto intellettivo tutto quello che deve conoscere di una certa cosa, non deve procedere per ragionamenti. Ora questo comporta una conseguenza sulla volontà; quindi a motivo di questa natura intellettiva, la volontà dell’uomo aderisce a un oggetto in maniera instabile, conservando la facoltà di staccarsi da esso per aderire a un oggetto contrario; vedete che la volontà è legata alla modalità conoscitiva dell’uomo. La volontà dell’angelo invece aderisce stabilmente e irremovibilmente al suo oggetto. In sostanza, dice san Tommaso: «il libero arbitrio dell’uomo, tra due alternative, ha la capacità di portarsi sia verso l’una sia verso l’altra, tanto prima che dopo la scelta; invece il libero arbitrio dell’angelo si può volgere verso entrambe le alternative prima della scelta, ma non dopo». Cioè la sua natura fa sì che una volta che si è portato verso una scelta, la sua volontà aderisca in modo irremovibile a ciò che l’intelletto afferra, comprende in modo altrettanto irremovibile. Ecco perché la pena degli angeli decaduti è eterna. Un discorso un po’ diverso va fatto per gli uomini dopo la loro morte, ma non è questo il punto della nostra spiegazione al Credo per parlarne. 

Dunque, è importante questa precisazione, tant’è che san Tommaso nella risposta alla seconda obiezione afferma: «La misericordia di Dio libera dal male coloro che si pentono»; la misericordia di Dio sempre libera dal male coloro che si pentono. «Ma – spiega Tommaso – quelli che non sono più capaci di pentimento, aderendo irremovibilmente al male, non vengono liberati dalla misericordia divina» (a. 2, ad. 2). Gli angeli appunto sono questo. E lo sono anche gli uomini dopo la loro morte. Analogamente, la misericordia di Dio non può liberare dal male coloro che non si pentono anche in questa vita. Ricordo: il pentimento è la condizione fondamentale non perché Dio abbia misericordia, ma perché la misericordia di Dio ci possa raggiungere e salvare. Questo è un punto fondamentale, irrinunciabile. Stiamo lontani dalle false misericordie, dalle false esaltazioni della misericordia di Dio che in realtà non esaltano la misericordia di Dio, ma non comprendono più la natura dell’uomo, dell’angelo.

Nell’art. 3 san Tommaso si domanda se i demoni soffrano; se per sofferenza intendiamo le passioni, cioè qualcosa che ha a che fare con l’appetito sensitivo dell’uomo, chiaramente la risposta è no, perché gli angeli non hanno un corpo, non hanno dei sensi. Invece, soffrono quanto alla loro volontà. In che senso? San Tommaso lo spiega con questa frase: «in quanto insofferenza della volontà per ciò che è e per ciò che non è». Cosa vuol dire? Vuol dire in sostanza che i demoni sono  degli “avversari della realtà”: soffrono di fronte al reale, non sopportano la realtà. Perché? Per l’insofferenza della loro volontà per ciò che è, perché vorrebbero che non sia e di ciò che non è perché vorrebbero che sia. Gli angeli decaduti vorrebbero molte cose che non ci sono e non vorrebbero molte cose che ci sono.

Interessante questa riflessione, perché ci fa capire un aspetto importante della tentazione del demonio. Il demonio spinge l’uomo in questa stessa direzione. Cioè lo spinge a confliggere con la realtà e a star sempre lì a volere cose che non ci sono e a non volere cose che ci sono. Perché questa è la pena propria dei demoni: i demoni trovano in questo senso la loro volontà contrariata. E san Tommaso completa dicendo che questo dolore, questa sofferenza è piena in ragione del fatto che l’angelo sa che non potrà mai conseguire nemmeno quella beatitudine a cui tende naturalmente: gli è preclusa per sempre a causa della sua colpa e per il fatto che la sua volontà malvagia viene impedita. Il demonio è condannato perennemente a vedere che la sua volontà di male, anche quando parzialmente funziona, riceve uno scacco finale che la contraria in modo definitivo.

Questo ci permette di parlare dell’ultimo aspetto della catechesi di oggi, l’art 4, l’ultimo articolo della quaestio 64 che san Tommaso dedica a un tema che sembrerebbe un po’ superficiale, un po’ superato. Il titolo è questo: Se la nostra atmosfera sia luogo di pena dei demoni. Potrebbe sembrare una concezione oltrepassata, medievale; invece qui troviamo un trattato della Provvidenza divina tramite l’azione angelica.

In questo articolo infatti san Tommaso dice: è vero, i demoni sono condannati all’inferno, ma mentre alcuni sono già lì, sono lì e solo lì, diciamo, per tormentare le anime dannate, gli altri, invece, come dice quell’espressione di san Paolo, sono in giro, sono potenze dell’aria (cf. Ef 2, 1-2; 6, 12). Non nel senso che siano fatti di sostanza gassosa, evidentemente. Cioè, di fatto, in concreto, vuol dire che sono tra di noi, occupano questo mondo in qualche modo per tentare gli uomini. Ma attenzione al ragionamento che fa san Tommaso: «Gli angeli in ordine di natura stanno tra Dio e gli uomini. Ma la disposizione della provvidenza divina vuole che il bene degli esseri inferiori venga procurato per mezzo degli esseri superiori». Vi ricordate? questa è un’altra idea centrale: Dio non agisce normalmente in maniera diretta, ma si serve delle mediazioni, per cui la Provvidenza divina arriva agli esseri inferiori tramite gli esseri superiori. Lo vediamo nella vita umana dove un figlio in qualche modo viene beneficato da Dio tramite il genitore, il maestro, ecc., non direttamente, non solo direttamente. Ora, continua, gli uomini – che stanno sotto: sopra abbiamo gli angeli, sopra ancora abbiamo Dio, permettetemi questo modo di spiegare –, ricavano il loro bene in due modi, spiega Tommaso: «Primo, direttamente, inducendo al bene e allontanando dal male: e tutto ciò viene compiuto correttamente per mezzo degli angeli buoni». Dunque, gli angeli buoni partecipano all’azione provvidenziale di Dio sugli uomini in questo duplice modo: inducendo al bene – avremo modo di approfondire il discorso proprio sugli Angeli custodi – e allontanando dal male. Cioè gli angeli buoni esercitano nei nostri confronti un’azione benevola, che appunto ci porta al bene e ci allontana da ciò che ci sottrae al bene, cioè il male.

Ma, attenzione, la Provvidenza agisce per gli uomini anche indirettamente, «in quanto cioè uno viene esercitato nel bene per mezzo della lotta contro ciò che è contrario. Ed era conveniente che questo bene fosse procurato agli uomini per mezzo degli angeli cattivi, affinché i demoni dopo il peccato non diventassero del tutto inutili all’ordine della natura» (a. 4). In sostanza san Tommaso ci dice: ai demoni è permesso di rimanere in quella che definisce "l’atmosfera caliginosa" di questo mondo; non quindi direttamente nell’inferno, fino al ritorno di Cristo, perché attraverso la loro tentazione gli uomini, lottando contro la tentazione, si rinvigoriscano e si rafforzino nel bene. Dunque, vedete come i demoni che tentano con un’intenzione malvagia, vedono però la loro volontà contrariata (torniamo all’articolo di prima) dal fatto che invece questa azione, se l’uomo con l’aiuto di Dio lo vuole, diventa qualcosa che invece fa crescere gli uomini nel bene, nella virtù, nell’amore di Dio, nel rinnegamento di sé. Spiega san Tommaso: «Queste cure per la salvezza degli uomini dureranno fino al giorno del Giudizio: quindi il ministero degli angeli e le prove dei demoni dureranno fino a quel momento. Per cui fino a quel tempo gli angeli continueranno a essere inviati qua da noi, e i demoni continueranno a restare nella nostra atmosfera caliginosa per tentarci» (a. 4).

Solamente dopo, i demoni saranno collocati definitivamente all’Inferno, totalmente e definitivamente, e gli angeli buoni insieme agli uomini beati, ai santi. In sostanza, e chiudo, questo articolo è davvero un gioiello incastonato nella Summa, un trattato di come la Provvidenza divina derivi il bene dal male e voglia raggiungere il bene degli uomini, pur permettendo ai demoni di agire secondo la loro malvagia intenzione. Non viene contrariata la libertà dei demoni, quindi è rispettata la loro natura libera, ma al contempo viene utilizzata perché gli uomini raggiungano un bene. La lotta alla tentazione produce il bene; è un po’, se ricordate, il senso la frase attribuita a sant’Antonio Abate, che diceva in modo molto semplice e denso: «Togli le tentazioni e nessuno si salva». Dunque i demoni che quando ci tentano non vogliono la nostra salvezza, vogliono la nostra dannazione, tuttavia, tentandoci, diventano nel piano di Dio che ci soccorre con la sua grazia, strumenti di santificazione e di salvezza; e in questo modo la loro libertà viene rispettata, ma nello stesso tempo la loro volontà viene contrariata nel raggiungimento del suo fine malvagio. 

Vedete dunque, che si apre molto la prospettiva: noi siamo qui, come ci ricorda san Paolo, abbiamo questa lotta contro i demoni, ma sappiamo che non è una lotta tra noi e loro e basta, ma è dentro il quadro della permissione divina che vuole che gli uomini siano salvi; ed è per questo che permette l’azione degli angeli buoni, ma anche l’azione degli angeli cattivi, che però rimane dentro un quadro di bene e di salvezza, purché da parte nostra ci sia una risposta suscitata, accompagnata dalla grazia, ma ci sia la volontà di aderire a Dio e di combattere la tentazione. Se invece alla tentazione si aderisce è chiaro che per colpa nostra viene mancato questo fine, quanto a noi.

La prossima volta continueremo con queste catechesi relative agli angeli.