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TELEVISIONE

La nuova vecchia Rai è giunta a un bivio

Il rinnovo dei vertici Rai è avvenuto ancora con la Legge Gasparri e ha suscitato le consuete polemiche sulla lottizzazione. Ma a Renzi importa di più la nomina del nuovo direttore generale, Antonio Campo Dall'Orto. A lui spetta il compito di rinnovarla, per reggere la competizione dei colossi del digitale. 

Economia 07_08_2015
Matteo Renzi

Il rinnovo dei vertici Rai con la legge Gasparri ha scatenato anche questa volta gli appetiti dei partiti e ha prodotto l’ennesima lottizzazione delle poltrone, usanza che si ripeterà, c’è da scommetterlo, anche nell’assegnazione degli scranni di direttori delle testate e dei telegiornali. La minoranza dem ha il “dente avvelenato” col premier e non ha mancato di dimostrarlo anche in commissione di vigilanza, dove l’elezione dei membri del consiglio d’amministrazione ha risentito della spaccatura interna al Pd. E la questione dei 4 consiglieri pensionati, che, in base alle leggi vigenti, potrebbero decadere o dover lavorare gratis e per non più di un anno, non ha certo contribuito a distendere gli animi. L’elezione con un’ampia maggioranza (e con un rinascente “Patto del Nazareno”) di Monica Maggioni alla presidenza ha invece un po’ contribuito a stemperare le tensioni tra i diversi gruppi.

Ma a Renzi stava a cuore più che altro la nomina del direttore generale, che presto avrà ampi poteri nella gestione dell’azienda e potrà, entro certi limiti, prescindere dal consiglio per il varo di tutta una serie di decisioni che appaiono non più procrastinabili per garantire alla tv pubblica un effettivo rilancio di ruolo, di missione e di contenuti. Per quell’incarico è stato scelto ieri dal nuovo consiglio d’amministrazione Antonio Campo Dall’Orto, manager d’esperienza, profondo conoscitore dell’industria televisiva. A lui la sfida forse più difficile della sua carriera: dimostrare che la Rai è un’azienda risanabile e svincolabile dalla longa manus della politica.

Campo Dall’Orto ha davanti a sé una serie di scommesse da vincere. Anzitutto sull’idea di servizio pubblico. Il dilemma, non ancora sciolto, tra una tv pubblica al servizio del cittadino e con una programmazione di qualità, e una tv pubblica che compete con i privati sul piano della programmazione commerciale, è il primo step che il nuovo direttore generale deve provare ad affrontare. Da questa scelta dipenderanno altre scelte, come quelle riguardanti le modalità di finanziamento (riduzione o aumento del canone, riduzione o aumento dell’affollamento pubblicitario). Per sganciarsi dalla dittatura dello share e quindi dai condizionamenti del mercato dell’advertising occorrerebbe reperire altre risorse pubbliche. Ma quanti cittadini, con la qualità (scarsa) dell’attuale programmazione Rai, sarebbero disposti a pagare un canone più elevato? E la lotta all’evasione fiscale su questo versante come si combatterà? Legando, come si ipotizza da anni, il versamento del canone televisivo a quello della bolletta elettrica? Forse la soluzione più conveniente e adatta alla situazione italiana potrebbe essere quella di separare la parte di servizio pubblico, finanziata col canone, da quella prettamente commerciale, vendendo una rete Rai.

Altra scommessa, dopo quella per così dire “ontologica”, cioè legata alla natura del servizio pubblico, è quella tecnologica. Che tipo di presenza intende assicurare la Rai in internet? Come coltiverà il filone della convergenza multimediale? Come si integrerà la tv di Stato tradizionale con le diverse e innovative piattaforme trasmissive? Due competitor assai aggressivi sul mercato, come Sky e Discovery, si stanno facendo largo anche in ambito generalista, il che porrà alla Rai nuove sfide di natura tecnologica. Come intendono affrontarle i nuovi vertici Rai?

E poi ci sono questioni di stretta governance, come le necessarie cure dimagranti che dovranno essere imposte ad alcuni settori dell’azienda. La Corte dei Conti ha evidenziato che nei conti della tv di Stato i ricavi risultano in calo mentre i costi mantengono una certa rigidità. C’è chi propone di intervenire sulle sedi regionali, riducendole a 4. C’è chi denuncia che, a causa dei condizionamenti della politica, la Rai è una delle televisioni di Stato in Europa col più alto rapporto tra numero di dirigenti e numero di dipendenti. Troppe promozioni, quindi, rispetto all’effettivo fabbisogno di figure apicali. E allora, da dove cominciare nei tagli?

Quando si dice, infine, che la Rai deve ripartire dai contenuti, si sottolinea anzitutto l’esigenza di svecchiare il pubblico della tv di Stato, composto prevalentemente da casalinghe e pensionati, per favorire una maggiore diversificazione dell’utenza, anche potenziando l’interattività attraverso le ultimissime piattaforme tecnologiche di fruizione e condivisione. In questo modo si realizzerebbe quanto auspicato dal premier: riportare la Rai ai fasti di un tempo e trasformarla nella maggiore impresa culturale del Paese. Primo tassello in questo percorso di “nobilitazione” culturale della tv pubblica potrebbe essere quello organizzativo riguardante l’area dell’informazione. Il direttore generale uscente Luigi Gubitosi ha disegnato il piano di accorpamento delle testate giornalistiche in due news room. Accanto alla realizzazione di tale nuovo assetto organizzativo, bisognerà rendere più credibili, imparziali e di qualità i contenuti informativi, realizzando quel pluralismo vero, che la Corte Costituzionale ha ciclicamente richiamato nelle sue sentenze e che in Italia è stato sempre declinato come bilancino spartitorio tra partiti, correnti e consorterie.