La nuova normalità: puoi parlare solo se protetto dalla polizia
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Contestazione dei collettivi pro-Palestina al teatro Franco Parenti, per una conferenza con ospiti israeliani. Ormai è la norma avere la protezione della polizia per poter parlare, non solo su Israele.
Capita veramente poche volte che vengano richiesti i documenti nella propria città per poter accedere a una strada (e senza neppure la scusa della pandemia). Una di queste volte è stata il 6 giugno. Per entrare e per uscire dalla lunga e centrale via Pier Lombardo di Milano, si doveva passare attraverso due massicci schieramenti di Carabinieri in tenuta anti-sommossa, con elmi e scudi, camionette e reti paraschegge, transenne e cordoni. Tutto questo perché, in mezzo alla via c’è il teatro Franco Parenti. E quel giorno, in quel teatro, era stata annunciata la conferenza Verità sul conflitto israelo-palestinese, con tre relatori noti al pubblico ebraico: Hillel Neuer (direttore della Ong Un Watch), Eylon Levy (già portavoce del governo di Israele) e Rawan Osman (ideatrice di Arab Asks). Questo basta per creare una tensione da guerra civile, con la necessità, da parte delle forze dell'ordine, di adottare misure straordinarie di sicurezza. Tre quarti d’ora prima dell’evento, fra i sedili sono passati pure i cani anti-esplosivo.
La sicurezza era giustificata. Mentre all’interno del teatro si teneva il dibattito, all’esterno, i soliti collettivi pro-Palestina scatenavano la solita protesta, trattenuti dai Carabinieri. Al grido di “Oggi a Milano muore un teatro, boicottiamo il Parenti”, che tra l’altro è da sempre uno dei punti di riferimento della sinistra milanese. «Il teatro Franco Parenti nasce per un dibattito sano – risponde Andrée Ruth Shammah, la direttrice del teatro, prima dell’inizio della conferenza - È impensabile che io abbia la polizia a destra e sinistra, con gli scudi, solo per approfondire un argomento». Ma fuori dal teatro, non c’è alcuna propensione al dialogo: «Notiamo una grande presenza delle forze dell’ordine qui oggi, speriamo siano arrivati ad arrestare i criminali di guerra che questa sera sono al teatro Franco Parenti», ha detto uno dei manifestanti col megafono.
Avere la polizia, in tenuta antisommossa, “a destra e sinistra” sta diventando la nuova normalità. Un mese fa, il 10 maggio, era stato cancellato un convegno su Israele all’Università Statale di Milano, perché il rettore riteneva che fosse troppo alto il rischio di disordini. La reazione del rettore è stata (anche giustamente) contestata perché era una resa ai violenti e non era vero che la Questura avesse ordinato di rimandare l’evento. Ma che ci si dovesse attendere una reazione violenta a un dibattito in cui si sarebbe parlato anche delle ragioni di Israele: quello sì, era molto probabile.
Quando la polizia manca, come è mancata nel momento saliente del corteo del 25 aprile, allora si rischiano assalti. In quel caso erano i “maranza”, ragazzi immigrati di periferia ad attaccar briga e a menar le mani contro chi portava la bandiera di Israele. In questo caso sono i collettivi. E gli studenti, proprio come succede nelle università americane, già hanno impedito di parlare a Maurizio Molinari (all’Università Federico II di Napoli) e a David Parenzo (all’Università La Sapienza di Roma), entrambi di sinistra, ma entrambi ebrei e accusati di essere sionisti. Quindi indegni di prendere la parola.
Il conflitto mediorientale è il catalizzatore di questa nuova ondata di violenza politica che non è una caratteristica solo italiana. Ma prima che scoppiasse la guerra a Gaza, prima del pogrom del 7 ottobre, lo stesso tipo di violenza e il medesimo modello di intolleranza, era esercitato contro altri nemici.
Già nel maggio del 2023, Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, era stata zittita da una massa di contestatori, al Salone del Libro di Torino. Ed è stata zittita ancora, da una contestazione analoga, anche più di recente, in occasione degli Stati Generali della Natalità, dallo stesso tipo di contestatori: femministe radicali. In quel caso Israele non c’entrava: secondo i contestatori non può parlare perché è contro l’aborto. Il 25 ottobre 2022, gli scontri alla Sapienza fra collettivi e polizia erano scoppiati perché i primi volevano impedire a Daniele Capezzone di partecipare a un convegno organizzato da Azione Universitaria. In quel caso, si sarebbe dibattuto di capitalismo. Il 23 febbraio 2023, Mario Adinolfi venne aggredito (e ci volle la polizia per proteggerlo) dai centri sociali di Mestre, perché voleva presentare il suo libro Contro l’aborto al centro culturale Candiani. Alla vigilia del 25 aprile, a Torino, una manifestazione con bandiere della Nato e dell’Ucraina è stata attaccata dai centri sociali, al grido di “fuori la Nato dal 25 aprile!”, interrompendo il discorso conclusivo. Anche in questo caso è dovuta intervenire la polizia.
Quindi, anche se si toglie la parola ai sionisti, non ci si salva. Si deve aderire totalmente all’agenda neocomunista dei collettivi e dei soliti noti che mobilitano le piazze. Altrimenti loro hanno il diritto di contestare, cioè di zittire, con l’uso della forza, tutti i relatori che considerano troppo intolleranti per essere lasciati liberi di parlare.