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L'UDIENZA DEL PAPA

«La nostra Pasqua con i cristiani perseguitati»

All’udienza generale, papa Francesco ha proposto una meditazione sul Triduo Pasquale, che ha definito «il culmine della nostra vita cristiana». Quest’anno, ha detto, cerchiamo di farci accompagnare dai  tanti cristiani che continuano a essere uccisi per la loro fede, «veri martiri che offrono la loro vita a Gesù».

Ecclesia 01_04_2015
Papa Francesco

All’udienza generale del 1° aprile 2015, interrompendo il ciclo di catechesi sulla famiglia, papa Francesco ha proposto una meditazione sul Triduo Pasquale, che ha definito «il culmine di tutto l’anno liturgico e anche il culmine della nostra vita cristiana». Quest’anno, ha detto, cerchiamo di farci accompagnare e di accompagnare nella preghiera per Pasqua i tanti cristiani che continuano a essere uccisi per la loro fede, «tanti uomini e donne, veri martiri che offrono la loro vita con Gesù per confessare la fede», riflettendo su come la dimensione del martirio, parte integrante e sempre presente nell’esperienza cristiana, illumina anche la nostra vita di cristiani comuni.

Il Triduo, ha ricordato il Papa, si apre con la commemorazione dell’Ultima Cena e della lavanda dei piedi. Quest’ultima, ha detto Francesco, «esprime il medesimo significato dell’Eucaristia sotto un’altra prospettiva. Gesù – come un servo – lava i piedi di Simon Pietro e degli altri undici discepoli (cfr Gv 13,4-5). Con questo gesto profetico, Egli esprime il senso della sua vita e della sua passione, quale servizio a Dio e ai fratelli: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire” (Mc 10,45)». Non è un puro ricordo storico. Lo stesso, infatti, «è avvenuto anche nel nostro Battesimo, quando la grazia di Dio ci ha lavato dal peccato e ci siamo rivestiti di Cristo (cfr Col 3,10)». E questo avviene «ogni volta che facciamo il memoriale del Signore nell’Eucaristia: facciamo comunione con Cristo Servo per obbedire al suo comandamento, quello di amarci come Lui ci ha amato (cfr Gv 13,34; 15,12). Se ci accostiamo alla santa Comunione senza essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni agli altri, noi non riconosciamo il Corpo del Signore».

Secondo momento del Triduo: il Venerdì Santo. Il Papa ha insistito sulla parola di Gesù in croce, prima di spirare: «È compiuto!» (Gv 19,30). «Che cosa significa questa parola che Gesù dice: “È compiuto!”? Significa che l’opera della salvezza è compiuta, che tutte le Scritture trovano il loro pieno compimento nell’amore del Cristo, Agnello immolato. Gesù, col suo Sacrificio, ha trasformato la più grande iniquità nel più grande amore». Anche questa riflessione sul Venerdì Santo deve andare al di là della commemorazione storica ed entrare nella nostra vita quotidiana. «Nel corso dei secoli», ha detto il Pontefice, «ci sono uomini e donne che con la testimonianza della loro esistenza riflettono un raggio di questo amore perfetto, pieno, incontaminato». Francesco ha ricordato don Andrea Santoro, il missionario romano assassinato in Turchia il 5 febbraio 2006, «un eroico testimone dei nostri giorni». Poco prima della morte, don Santoro scriveva: «Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne … Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù».

Il caso di don Santoro non è certo isolato. «Anche oggi», ha commentato il Papa», ci sono tanti uomini e donne, veri martiri che offrono la loro vita con Gesù per confessare la fede, soltanto per quel motivo. È un servizio, servizio della testimonianza cristiana fino al sangue, servizio che ci ha fatto Cristo: ci ha redento fino alla fine». Nel martirio troviamo il significato ultimo della parola di Gesù: «È compiuto!». Ma nello stesso tempo nell’”È compito!” del martirio troviamo anche il significato ultimo della vita di ogni cristiano. «Che bello sarà quando tutti noi, alla fine della nostra vita, con i nostri sbagli, i nostri peccati, anche con le nostre buone opere, con il nostro amore al prossimo, potremo dire al Padre come Gesù “È compiuto!”, ma non con la perfezione con cui lo ha detto Lui, ma dire: “Ma, Signore, ho fatto tutto quello che ho potuto fare’”, è compiuto!». Tra la vita di ogni cristiano e la testimonianza dei martiri c’è un nesso, da scoprire ogni giorno. «Adorando la Croce, guardando Gesù, pensiamo nell’amore, nel servizio, nella nostra vita, nei martiri cristiani, e anche ci farà bene pensare alla fine della nostra vita. Nessuno di noi sa quando avverrà questo ma possiamo chiedere la grazia di poter dire: “Ma, Padre, ho fatto quello che ho potuto. È compiuto!”».

Arriveremo così più consapevoli alla terza tappa del Triduo Pasquale, il Sabato Santo, «il giorno in cui la Chiesa contempla il “riposo” di Cristo nella tomba dopo il vittorioso combattimento della croce». Il Sabato Santo è una giornata mariana. «Nel Sabato Santo la Chiesa, ancora una volta, si identifica con Maria: tutta la sua fede è raccolta in Lei, la prima e perfetta discepola, la prima e perfetta credente. Nell’oscurità che avvolge il creato, Ella rimane sola a tenere accesa la fiamma della fede, sperando contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) nella Risurrezione di Gesù». Infine, «nella grande Veglia Pasquale, in cui risuona nuovamente l’Alleluia, celebriamo Cristo Risorto centro e fine del cosmo e della storia; vegliamo pieni di speranza in attesa del suo ritorno, quando la Pasqua avrà la sua piena manifestazione». Ne abbiamo bisogno. «A volte il buio della notte sembra penetrare nell’anima; a volte pensiamo: “ormai non c’è più nulla da fare”, e il cuore non trova più la forza di amare… Ma proprio in quel buio Cristo accende il fuoco dell’amore di Dio: un bagliore rompe l’oscurità e annuncia un nuovo inizio, qualcosa incomincia nel buio più profondo. Noi sappiamo che la notte è più notte e ha più buio poco prima che incominci la giornata. Ma proprio in quel buio è Cristo che vince e che accende il fuoco dell’amore».

Con la Resurrezione «la pietra del dolore è ribaltata lasciando spazio alla speranza. Ecco il grande mistero della Pasqua! In questa santa notte la Chiesa ci consegna la luce del Risorto, perché in noi non ci sia il rimpianto di chi dice “ormai…”, ma la speranza di chi si apre a un presente pieno di futuro: Cristo ha vinto la morte, e noi con Lui. La nostra vita non finisce davanti alla pietra di un Sepolcro, la nostra vita va oltre con la speranza al Cristo che è risorto proprio da quel Sepolcro». Dobbiamo essere «sentinelle del mattino, che sanno scorgere i segni del Risorto». Solo così la nostra Pasqua «sarà una buona Pasqua».